7 Marzo 2015
La Sicilia

La saggezza delle donne per ripensare la città

di Pinella Leocata

 

Al convegno «La cité des dames» per prime parlano le cittadine, le abitanti dei quartieri, le immigrate che, in video, raccontano la città che vorrebbero: pulita, che offre un lavoro a tutti e dove le regole siano rispettate, una città senza traffico, con i bus che non si fanno attendere più di mezz’ora, le fontanelle che funzionano, i cassonetti per la raccolta differenziata non lontani da casa così come i nidi e gli asili per i bambini, una città che abbia centri assistenziali e luoghi di aggregazione in ogni quartiere, «anche e soprattutto in quelli periferici perché hanno diritto di migliorare». Parole semplici per dire del bisogno e del desiderio di una città ecosostenibile, a misura di bambino, che offra una buona rete di servizi socio-sanitari e di prossimità, una città che accoglie le differenze e le integra, una città che si riappropri dell’acqua pubblica e difenda i beni comuni, a partire dal suolo, una città che ripensi la mobilità, promuova l’innovazione e valorizzi la bellezza e i suoi beni culturali. Insomma una città ripensata e riorganizzata a partire dai bisogni della vita quotidiana e dal desiderio dei suoi abitanti, e che lo faccia con la sapienza, la saggezza e la cura delle donne.
Il convegno promosso dalla rete di associazioni La Ragna-Tela – introdotto da Mirella Clausi e coordinato da Anna Di Salvo, entrambe della Città Felice – propone un tipo di città, e di progettazione, estranea alle scelte urbanistiche attuate finora dalle amministrazioni locali. «Scelte che – come a Catania quelle del Pua, della variante del centro storico e dei parcheggi sotterranei – rispondono a logiche che mettono al centro la mercificazione della città anziché le relazioni», sostiene Giusi Milazzo, segretaria regionale del Sunia, secondo cui oggi bisogna confrontarsi con i temi dell’abitare, con le difficoltà delle persone e con le nuove povertà.
E non stupisce che, abitualmente, i progettisti non lo facciano. «La disciplina urbanistica si è costruita in funzione della salvaguardia della proprietà privata», nota Bianca Bottero, urbanista del Politecnico di Milano e della rete delle «Città vicine». Una progettazione astratta che gli uffici tecnici spesso fanno senza neppure andare sui luoghi interessati, senza ascoltare le esigenze e le richieste degli abitanti. E, invece, la città va ripensata a partire dai suoi quartieri, dal benessere cui deve tendere, dall’esigenza di prossimità perché, «come diceva Leopardi, tutti abbiamo bisogno della “società stretta”». E questo significa superare il localismo, ma partendo dal locale, e significa anche saper contaminare le discipline per rispondere alla domanda di fondo: quando una città è felice? A quali condizioni?
A condizione di ripartire dalla vita reale, dai bambini, dagli anziani, dalle donne. E questo – secondo Sandra Bonfiglioli, anche lei urbanista del Politecnico di Milano e della rete delle «Città vicine» – significa ripensare i tempi e gli orari delle città in modo da rispondere alle esigenze della città contemporanea che non è più quella costruita, insieme al Welfare, dopo il secondo conflitto mondiale, nell’ottica di immettere le donne sul mercato del lavoro. Ora, a suo avviso, bisogna rovesciare la prospettiva e organizzare i tempi e gli orari in modo da rispondere alle esigenze di cura dei suoi bambini e delle persone più deboli, secondo una nuova ottica di libertà e costruendo una città che questa libertà sappia ospitare. «Lo sta facendo anche Obama, negli Usa, dove alcuni studi hanno rilevato la scarsa qualità dell’apprendimento dei bambini perché dormono troppo poco, non ne vengono rispettati i tempi». E che non si dica che non si può fare: «Gli orari di lavoro sono frutto di un contratto pubblico e sociale, dunque si possono cambiare». E bisogna cambiarli anche nell’ottica di «dare valore alla prossimità che va ripensata nell’epoca della telematica e dei modi dell’abitare legati alla mobilità».
E che le cose si possono cambiare lo dicono i fatti. Clara Borsatti, urbanista, racconta l’esperienza della rinascita della cittadina di Concordia sulla Secchia, in Emilia, distrutta dal terremoto, dove, prima di progettare, i tecnici hanno ascoltato e raccolto i desideri e i bisogni dei cittadini in un percorso di partecipazione durato ben due anni prima di passare alle idee progettuali e ai bandi internazionali per realizzarli.
E Laura Saja, ingegnere allUniversità di Catania, ci tiene a sottolineare il ruolo fondamentale che le donne giocano nei processi di innovazione urbana. «È di evidenza empirica: dove c’è un processo di sviluppo innovativo ci sono donne nei ruoli chiave». È questa l’esperienza del «Patto della Valle del Simeto» che coinvolge vari centri e 150.000 abitanti, dove, grazie alle donne, sono in atto progetti di sviluppo ecosostenibili, con strategie di rifiuti zero, e improntati a processi di cittadinanza attiva e di rigenerazione urbana.
E un incubatore culturale per la città vuole essere – come spiega l’ing. Giovanna Regalbuto – anche la «casa delle donne» progettata da La Ragna-Tela, un luogo dove possano trovare rifugio le donne vittime di violenze e quelle sfrattate e, allo stesso tempo, un luogo di partecipazione e di confronto. Perché, come dice Cinzia Colajanni del Circolo Olga Benario, occorre ripensare i servizi della città a partire dai bisogni delle donne e dal loro diritto alla sicurezza.
(La Sicilia, 7 Marzo 2015)

 

 

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