24 Giugno 2013
Il Quotidiano della Calabria

La violenza non è la nostra regola

 di Franca Fortunato

 

«L’unica regola che valga veramente è quella dei rapporti di forza, il resto è disordine. (…) Credo che rinunciare alla prepotenza per convivere civilmente con altri, lo abbiano chiamato contratto sociale. Ci hanno scritto sopra dei gran libri e molta storia occidentale si è sviluppata alla luce di questa idea», è quanto scrive Luisa Muraro nel suo libro Dio è violent (Nottetempo 2012), offrendo una chiave di lettura di quanto è successo e succede nel mondo, almeno dalla Grande guerra a oggi. È finita la società moderna patriarcale, nata dal patto tra uomini, pensato in assenza delle donne, che ha dato vita a un ordine sociale e simbolico fondato sulla democrazia rappresentativa, sui diritti e i trattati internazionali. Una fine che si è trascinata per tutto il Novecento, fino ai nostri giorni, con le guerre in Libia, in Iraq e in Afganistan, tutte «promosse da paesi occidentali con argomenti manifestamente deboli se non contrari al diritto internazionale». Adesso si preparano a intervenire in Siria. Forza e violenza del potere si abbattono continuamente sulle città – come è avvenuto in Piazza Taksim a Istanbul, dove la polizia ha pesantemente represso la protesta che, nata per difendere un parco, l’unico polmone verde rimasto in città, si è trasformata nella lotta per la libertà di decidere della propria città come della propria vita.

La protesta, come quella della No Tav, del No Dal Molin, del No Muos e di gruppi e Associazioni nati un po’ ovunque nel nostro Paese in difesa dei “beni comuni”, del territorio, della propria città dalla speculazione e dalla logica di mercato, ci parla di un’altra democrazia, di un altro governo delle città e del suo territorio, di donne e uomini che vogliono essere protagonisti nello spazio pubblico. Da anni con la rete delle Città Vicine, che vede insieme donne e uomini amanti della propria città, seguo con interesse quanto accade nelle città. Ed è così che Istanbul l’ho sentita da subito una città a me vicina nel desiderio di una città altra da quella voluta da Erdogan. In prima fila nelle proteste ci sono le donne. A Istanbul, come in Val di Susa, a Niscemi, a Vicenza, nelle strade, nel Parco, le donne hanno affrontato senza paura i blindati della polizia, fronteggiato gli agenti, parlato con loro. Nella notte degli sgomberi una donna ha gridato loro «Fermatevi! Vi ho partorito io». «Voglio continuare ad alzare la testa – ha gridato una giovane liceale – senza aver paura di cosa la gente pensa di me, vorrei poter decidere della mia educazione futura, vorrei poter decidere in cosa credere e chi diventare». Nei quartieri il rumore delle pentole, le grida dalla finestra e il click delle luci accese e spente a intermittenza hanno accompagnato la protesta. Non so se il Parco sarà distrutto per fare largo al centro commerciale, ma so che le donne e gli uomini di Istanbul, che non rinunciano alla loro lotta, hanno già vinto, perché hanno dimostrato che un’altra città, un’altra Turchia, è possibile. È quanto è avvenuto anche a Vicenza, dove il movimento No Dal Molin è vero che non ha potuto impedire la costruzione della base americana, ma non ha disperso quanto ha guadagnato nella lotta. Donne e uomini, infatti, sono ancora lì a ricordare che un’altra Vicenza è possibile, specie dopo le conseguenze devastanti all’ambiente della base, che ha distrutto il sistema di drenaggio, creando un perpetuo pericolo di inondazioni, come è avvenuto con l’alluvione del 2010, che Vicenza non aveva mai avuto. Il 25 aprile le donne e gli uomini del movimento sono scesi in piazza con le bandiere della pace listate a lutto. Hanno protestato e fatto saltare per il 4 maggio l’Open day, l’inaugurazione della base che – come racconta Antonella Cunico sull’ultimo numero di Via Dogana – i militari volevano trasformare in una festa con la cittadinanza e seppellire, così, gli anni di opposizione della città. La base è stata inaugurata, ma senza festa condivisa. A Niscemi, altre donne, madri, nonne, sono in prima fila contro il Muos, il sistema satellitare voluto dalla marina militare americana, mentre in Val di Susa continuano la lotta contro l’alta velocità. Sono donne che non rinunciano a “Prendersi la città”, come hanno testimoniato con il loro racconto al convegno delle Città Vicine del 23 e 24 marzo scorso a Roma. E le donne del Parlamento dove sono? Perché stanno in silenzio? Perché hanno voluto essere elette?

 

(Il Quotidiano della Calabria, 24.06.2013)

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