7 Marzo 2020
#VD3

La vita non si fabbrica


di Silvia Guerini


Quando ho letto l’invito a partecipare all’incontro «La differenza sessuale alla prova del presente», immediatamente ho pensato che sono questioni da cui non si può prescindere: non si può prescindere dai nostri corpi e noi tutte siamo chiamate alla prova del presente, attorno a noi profonde trasformazioni vanno comprese. Da vent’anni anni seguo proprio questa strada portando avanti una critica a cosa rappresentano le tecno-scienze e alle loro conseguenze sull’intero vivente, con uno sguardo che cerca di capire le direzioni e le evoluzioni di questo sistema. I corpi sono al centro, sotto attacco, da ideologie che li smaterializzano e dai processi di questo sistema tecno-scientifico che li rende merce, che li smembra, che li rende selezionabili e modificabili nei laboratori biotech così come nelle cliniche di fecondazione assistita, che se ne accaparra fin dentro i loro processi vitali e che arriva fino alle nostre stesse esperienze che diventano materia prima. I nostri corpi, le nostre esperienze, i nostri comportamenti, i nostri desideri, l’essere umano che è il fine ultimo del progetto cibernetico e transumanista, questo c’è in gioco oggi. È una questione di responsabilità e di urgenza che dobbiamo sentire in noi stesse nel profondo e opporsi a questi processi per me significa cercare di incepparli, significa dire a gran voce riflessioni scomode, senza mezzi termini, senza calcoli di convenienza, significa che il terreno delle trasformazioni di oggi è quello in cui intervenire.

Un motivo che mi ha spinto a venire è la mia grande preoccupazione per la continua confusione tra sesso e genere e la cancellazione della differenza tra i sessi presente sia nelle teorie, sia nei movimenti transfemministi-queer e nelle loro rivendicazioni politiche. Mi sono chiesta il perché di questa confusione e ho trovato nello studio delle teoriche, come Haraway e Braidotti, e nei contesti di movimento, una profonda ossessione del corpo, della natura, della maternità, una non accettazione della nostra vulnerabilità e dei nostri limiti. Questo si colloca nel contesto post-moderno che decostruisce tutto, la stessa realtà non esiste, dove acquisisce più significato la parola rispetto alla realtà materiale, ma questa, come il sesso, preesiste al piano simbolico, esiste prima del discorso e al difuori di questo. «Il sesso, per definizione, è già sempre genere», leggiamo nella Butler, porta alla cancellazione della differenza tra i sessi e alla risignificazione e cancellazione della donna. Traudel Sattler nell’introduzione ha accennato alle “persone con o senza utero” e alle “persone gestanti”, questo mi rimanda all’Associazione delle ostetriche nordamericane che raccomanda di usare “persona che mette al mondo” invece di donna che partorisce e “allattamento al petto” invece di allattamento al seno o “buco davanti” invece che vagina dell’Associazione Medica Britannica. Queste non sono semplici tendenze linguistiche, è un preciso processo che vuole cancellare la dimensione della procreazione e la dimensione della sessualità del corpo femminile.

Secondo l’ideologia transumanista e tecno-scientifica l’essere umano può e deve affrancarsi dalle condizioni corporee della propria esistenza per realizzare ogni suo desiderio. Riallacciandomi a Chiara Zamboni che ha parlato di “rinunciare alla libertà di essere tutto”, penso che la realizzazione illimitata di ogni desiderio non sia libertà, ma sia aprire al mercato dei desideri, dove tutto viene macinato e ridotto a un qualcosa che si può comprare o a un qualcosa a cui si deve avere diritto. Penso che una chiave di volta sia proprio l’accettazione dei nostri limiti e smascherare la retorica della libertà e dell’autodeterminazione con cui vengono travestiti utero in affitto, prostituzione, ormoni a bambini e bambine, PMA per tutti e tutte. Non è la libertà, ma è un’adesione entusiasta ai valori del biomercato e del sistema tecno-scientifico.

Considerare le tecno-scienze emancipatrici e liberatorie, il voler cancellare ogni limite e, di fatto, cancellare la realtà materiale dei corpi, rappresentano i punti di incontro tra il cyborg-transfemminismo, il queer e il transumanesimo. Non facciamoci abbagliare dalle ultime “fabule” e dal “femminismo speculativo” di Haraway: frugando nel suo “compost” troviamo bambine e bambini modificati geneticamente e piccioni con sim-card e GPS perfettamente integrati nei nuovi progetti di Smart city. Le critiche agli “eccessi” e agli “usi impropri” delle tecno-scienze, con l’ingenua illusione di poter gestire i Big data, possono solo rinforzare i nuovi paradigmi del capitalismo della sorveglianza.

Troppe cose sfumano, diventano indefinite, manteniamo invece nette le linee di demarcazione tra organico/inorganico, circuiti elettronici/sistemi nervosi, vita/morte, naturale/artificiale, così come la differenza tra i sessi. Riprendo allora ancora Zamboni che ha sottolineato l’importanza del fatto che veniamo al mondo dalla relazione con la madre, per dire che dobbiamo riappropriarci del valore simbolico della madre e considerare la relazione madre-figlio come un baluardo di resistenza all’invasione tecno-scientifica dei corpi e alla neutralizzazione imperante che va a costituire un individuo senza storia, senza legami, senza relazioni, un mero neutrum economicum.

Nascere da donna viene considerato discriminatorio, ma un discrimine è una disuguaglianza o un qualcosa a cui non si può avere accesso. Qui non c’è nessuna disuguaglianza, c’è una differenza e all’essere donna, madre, non si può avere accesso, non è un diritto e non è un qualcosa che si può comprare. Un uomo non può partorire e questa è una differenza sostanziale, materiale, corporea, per nulla essenzialista. Per opporci a questi processi dobbiamo mantenere con forza il significato dell’essere madre, colei da cui veniamo al mondo, e affermarlo come un fatto non cedibile, che non può rientrare nella sfera di mercato e di contrattazione. Per le dimensioni che potrebbero mettere in discussione come veniamo al mondo e le stesse basi della sopravvivenza sul pianeta non dobbiamo rendere possibile alcuna contrattazione e regolamentazione. Partiamo dalla dimensione della procreazione per opporci alla sua artificializzazione e creiamo alleanze che mettano in relazione i nostri percorsi. Il nostro agire dovrebbe porsi come incidere sul presente, con la consapevolezza che non saranno soluzioni tecniche a poter risolvere problemi etici, sociali, ecologici e politici.

La vita non si fabbrica, né l’oncotópa, né il batterio sintetico di Craig Venter sono stati fabbricati dal nulla e il vivente nasce, sfugge, palpita, striscia, scalpita e non sarà mai del tutto controllabile. Il vivente e quindi i corpi, il corpo, rappresentano l’ostacolo al dominio assoluto della tecnica. Rimettendo al centro l’indisponibilità dei corpi e del vivente possiamo resistere.

(www.libreriadelledonne.it, #VD3, 7 marzo 2020)

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