12 Maggio 2016
il manifesto

L’arte dell’incontro è uno sguardo amoroso

di Laura Fortini

 

È questo un tempo storico e una stagione del vivere in cui il senso di desertificazione del presente e la sua mancanza di significazione coincidono con la scomparsa di una donna come Rosetta Stella e allora ci si sente ancora più perse, perché la sua mancanza repentina fa percepire d’un tratto tutta intera la difficoltà di trovare parole utili per continuare a pensare la contemporaneità, del cercare di sondarne l’opacità spessa e impervia. Rosetta Stella è stata compagna di strada di molte e molti sempre a partire da una posizione di differenza e di libertà femminile e femminista, capace ogni volta di nuovi cominciamenti, non ignorando però lo strazio del corpo e della sua materialità pura e semplice, che, invece, ha continuato a tenersi accanto, sia con il pensiero che nella sua scrittura.

Con la sua mente acuta e vigile, capace di nessi impensati e parole nuove pure se muovevano da tempi e questioni antichissime, è stata tra le prime a intraprendere la strada dell’interrogazione del rapporto con il divino che è sì in ognuna e ognuno di noi, ma che ha istituzioni, simboli, rappresentazioni con cui interloquire con attenzione e senso profondo del loro significato. Come nel caso del bellissimo libro da lei dedicato al Magnificat (Marietti 2001), commentato rigo per rigo da quante e quanti Rosetta ha chiamato a riattraversare la grandezza semplice di Maria, la madre dallo sguardo amoroso che autorizza a vivere, da magnificare e indagare nei suoi molteplici modi di riconoscere l’avventura imprevedibile della relazione, quella con il figlio e insieme, al tempo stesso, quella con se stessa, imperniata sulla gioia del riconoscere il proprio canto.

Senza inutili infingimenti, senza superflui abbellimenti Rosetta ha saputo coniugare con magistralità sapiente nella sua scrittura e nella sua vita l’interrogazione con l’altro da sé per eccellenza, il divino, e lo ha fatto con gioia e con grazia davvero incarnata: la sua figuretta svelta e snella, la sua risata, la voce e gli occhi attenti e sorridenti hanno reso ogni occasione di incontro irripetibile. Alcuni fotogrammi ce la restituiscono meravigliosamente nel film di Nadia Pizzuti dedicato ad Angela Putino (Amica nostra Angela, 2012) , mentre insieme a Luciana Viviani ride, chiacchiera, gode della compagnia delle amiche del gruppo napoletano di cui fece parte Angela Putino.

Godere della sua imprevedibile e splendidamente unica persona è stato privilegio grande, ma possiamo continuare a farlo grazie ai suoi bellissimi libri, interventi sparsi, articoli apparsi anche sul Manifesto. Perché Rosetta ha avuto la capacità grande di praticare la difficile arte dell’incontro, dell’amore amicale e colloquiale di tutti i giorni, anche impaziente, a volte, anche rude, ma sempre teso all’essenziale e insieme al vanitosissimo e vanesio inessenziale dei suoi splendidi piedi, di cui andava così fiera.

L’essenziale e l’apparentemente inessenziale in lei non sono andate mai disgiunti, perché il tempo del pensiero e dello scrivere non può esistere senza il tempo delle risa e della gioia, dell’amore e della vita, delle invenzioni quotidiane che ognuna/o mette in atto per vivere, cercando di fare della propria vita un’opera con un proprio disegno, unico e irripetibile.

Come ha fatto Rosetta, che ancora pochi mesi fa ha scelto di interloquire con le voci «Dio» e «Anima» del Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile di Alice Ceresa (pubblicato da Nottetempo nel 2007 a cura di Tatiana Crivelli) in forma di lettera. Inessenziale che Ceresa, la sua interlocutrice, sia scomparsa nel 2001: essenziale, invece, interloquire con lei e con il suo pensiero e farne momento di confronto e rilancio, perché le questioni che stanno a cuore a entrambe stanno ben al centro della contemporaneità, ovvero quanto e come Dio e Anima siano forme e immagini di un simbolico che pone le donne in una situazione di ineguaglianza (Ceresa), quanto e come l’eccedenza femminile possa andare oltre e significare altro, qualunque sia la sua valenza (Stella). Spudorate entrambe, dalla loro comune spudoratezza abbiamo ancora molto da imparare.

 

(il manifesto, 12 maggio 2016)

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