25 Maggio 2013

Le Città Vicine: “Ci prendiamo la città”

 

Note sul convegno di Roma, 23 marzo 2013

di Bianca Bottero, Anna Di Salvo

 

Se il titolo esprime fermezza, forza e radicalità, l’insieme ricchissimo di contributi è risultato molto pensoso. Mentre quattro anni fa, al convegno “Microarchitetture del quotidiano: sapere femminile e cura della città” (confluito poi nel libro Architetture del desiderio, Liguori 2011) si espresse una vera e propria esplosione di creatività alternativa, tale da tracciare una sorta di nuova epopea, da evocare quasi la nascita di “un quinto stato”, a Roma il 23 marzo scorso ciò che era aurorale è diventato discorso critico, riflessione matura. Una riflessione che, pur a partire da tante importanti acquisizioni e ricchezza di rapporti, non può non fare i conti col presente, con le sempre più acuite condizioni di disagio sociale, delle e dei giovani in specie, con il “globalizzarsi” del disastro ambientale, col sempre più incerto e minaccioso futuro tra poteri mafiosi e occulte reti finanziarie, ideologie religiose, vecchi e nuovi potentati. Un futuro che minaccia anche la città, e in particolare i suoi spazi di libertà e di autonomia per donne e uomini.

Su questo sfondo il richiamo alla forza femminile nella cura, nella visione, nel desiderio continua a valere, ma sembra ora connotarsi di un senso di responsabilità ulteriore, della consapevolezza di possedere e saper individuare competenze e forme originali della politica che diano l’avvio a interessanti processi di trasformazione. Come se i pochi avanzamenti in campo amministrativo civile e simbolico di questi anni, malgrado la spinta e l’impegno della politica delle donne, avessero mandata delusa la speranza di cambiamento e imponessero di liberare infine la freccia del desiderio dalle tortuosità, dalle viscosità e dagli ostacoli di una realtà in cui si intrecciano perversamente pregiudizi e carenze culturali, sociali, istituzionali. Paradigmatico risulta di ciò il drammatico, emozionante bilancio tracciato dalle donne di “Femminile plurale” di Vicenza quando ricostruiscono la loro battaglia contro l’ulteriore insediamento militare americano nella loro città affermando tuttavia con fierezza il loro radicamento nella fedeltà a se stesse e alla politica che amplia il loro pensiero e il loro orizzonte; così come altrettanto fiera e quasi surreale risuona la narrazione che le donne delle Terre Mutate dell’Aquila fanno della loro città perduta e della festa per “La ricostruzione che non c’è stata”… Mentre addirittura commovente è l’intervento di Sara Bartolino dell’associazione Ipazia-Giardino dei Ciliegi di Firenze che, prima di illustrare la propria ricerca di dottorato su quanto in Austria viene realizzato da una tecnica della Municipalità di Vienna, connotata un po’ troppo da politiche di “genere”, per migliorare la condizione di vita femminile nella città, mette a verbale una vibrata denuncia sulla condizione di precariato, sua e di altre e altri, nell’università italiana.

Ecco allora delinearsi, in sempre nuove forme e proposte, il fronte di resistenza che si avvale in grande parte della creatività politica delle donne: nelle belle esperienze di auto organizzazione sociale riscontrate in Grecia da Silvia Marastoni in risposta all’aggressione violenta alla propria qualità di vita cui la popolazione greca è oggi sottoposta dai governanti; nel ritorno all’inchiesta sociale diretta, per indagare nel profondo la crisi e per il bene comune a Roma; nel progetto di co-hausing nato a partire da pratiche relazionali che sin da subito dia luogo a gesti concreti di solidarietà verso donne e uomini senzatetto di Giusi Milazzo a Catania; nell’invito alla reinvenzione di capacità sociali ed economiche indipendenti dal sistema, in grado di contrapporsi, con la solidarietà e l’intelligenza, alle violente logiche del mercato, come suggerisce da sempre Loredana Aldegheri della MAG di Verona. Ecco la proposta alta di rimettere in discussione il rapporto città-campagna per una nuova visione integrata, relazionale del paesaggio che viene da Nadia Nappo della rivista napoletana ADA e dal gruppo della cura del paesaggio di Napoli e il racconto di Nunzia Scandurra sulla lotta delle Mamme No Muos a Niscemi-Catania e delle donne di Capo Pecora a Cagliari, avverse al dominio militare USA che, con le sue antenne e le sue parabole per consentire il lancio dei suoi droni, copre di radiazioni le nostre splendide isole.

Anche nelle istituzioni politiche e amministrative le donne possono in qualche caso “fare la differenza”: è quanto ci testimonia il bell’intervento di Luna Mortini, assessora di un piccolo comune del mantovano che, collegata alla Libreria delle donne di Bologna, ha messo in atto una serie di azioni volte a un’alleanza dei piccoli comuni per esigere una nuova qualità di vita e una diversa modalità delle forme di governo nelle campagne. Non è dunque maturo il tempo, si domanda Sandra Bonfiglioli, di intervenire decisamente sulla qualità della vita delle donne nelle città con una nuova “grammatica” progettuale, che cambi i luoghi e soprattutto i tempi del loro lavoro e della loro vita? Ma perché ciò possa avvenire è necessario creare un rapporto di fiducia e relazioni anche con donne “dentro le istituzioni”, individuare figure sincere che divengano man mano di riferimento, posizione fatta propria da Maria Castiglioni che, con il gruppo delle Giardiniere, ha aperto un dialogo diretto con la giunta arancione di Milano per promuovere un intervento di riqualificazione urbana su un’area ex-demaniale della città.

Si tratta di tentativi, di proposte per un’elaborazione competente, ragionevole dei problemi, nate da un’urgenza di cambiamento che con assunzioni dirette di responsabilità sempre più si concentri sulla ridefinizione e la riappropriazione di spazi della città, facendo valere e significando soprattutto in questi tempi di crisi l’autorità, la libertà e la forza femminile anche intraprendendo interlocuzioni e conflitti con uomini (Luana Zanella, Letizia Montalbano). Su questo si interrogano Letizia Paolozzi e Laura Minguzzi che in modi diversi richiamano la problematicità del rapporto tra politica della differenza, della cura, della relazione e la tradizionale politica del potere maschile e sottolineano la necessità di preservare ambiti di autonomia nella pratica politica delle donne con attenzione al contesto e all’estetica: ben vigili contro ogni deriva, sempre latente anche nei più apparenti successi, verso una riduzione del “femminile” alle scontate formule del ri-governo.

Il pensiero delle donne e la pratica delle relazioni sono intimamente, intrinsecamente, operazione d’arte: come quella che ha sempre caratterizzato la politica delle Città Vicine (Katia Ricci) e connotato il rapporto con le artiste e gli artisti di Askavusa a Lampedusa; e come, ricordata da Luciana Talozzi, la Festa della Riconoscenza di Chioggia, esperienza artistica ogni anno riproposta per riconoscersi comunità, “diventare tra terra e cielo, comunità-abitante”, come dice con belle parole Sandra De Perini. Una comunità-abitante che “abbia cura” della città e si impegni nella ricerca di luoghi da salvare o da riqualificare, ma anche da assumere come fuochi di resistenza e di forza collettiva: come fanno a Milano le giovani e i giovani operatori dell’arte di Macao o le e gli occupanti del Teatro Valle a Roma. Roma, “una città che mette in difficoltà la vita delle donne e degli uomini che la abitano… dove la forma si oppone alla vita” (Carlo Cellamare).

Data l’importanza per la felicità femminile che sempre attribuiamo all’uso libero e creativo dello spazio urbano (estensione del concetto woolfiano di “Una stanza tutta per sé”), vorremmo infine riportare alcune parole tratte da “Il quartiere dei desideri”, scritto di Cristiana Storelli per il convegno: “Perché parlare di quartiere? E in aggiunta dei desideri?…Trovare il quartiere dei desideri significa vivere il luogo scelto ed essere in grado di apportare quanto sognato, ma non solo. Ritorno al mio quartiere… lo percorro in lungo e in largo alla ricerca non già di pregi o difetti, ma del quartiere che desidero. Allora vedo, sento, percepisco, ascolto (ascolto tutto anche il sonoro) e immagino. Come potrebbe essere il quartiere dei desideri. Che non può essere solo mio. Anche di altre/i e condiviso. Proprio per non lasciare ad altri le decisioni e osare. Così si sviluppa il sentimento di quartiere, quello desiderato”.

Propositi, progetti, rilanci, appuntamenti dunque a “Ci prendiamo la città”. Consapevoli della fondamentale importanza della comunicazione, delle relazioni e degli scambi sia con realtà affini sia con altre non necessariamente prossime alla politica della differenza, insieme connotate da elaborazioni specifiche nei diversi ambiti disciplinari. Così che, come in questo importante incontro, frutto di un costante impegno di relazioni e di scambi politici con realtà molteplici, di movimento, istituzionali, artistici, accademici, la rete delle Città Vicine (che, come ricordano Franca Fortunato e Mirella Clausi in apertura del convegno, celebra già il suo 13esimo compleanno), possa rafforzare e approfondire con sempre maggiore radicalità il proprio percorso e si inserisca in un orizzonte più vasto a unire, anche con il linguaggio dell’arte, pratiche, competenze e azioni e gesti forti per continuare a prenderci la città.

Link ai video del convegno
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quarta parte

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