9 Gennaio 2013

Lettera di Ida Dominijanni sulla propria candidatura nelle liste di Sinistra e Libertà

Testo prodotto per il gruppo della libreria delle donne su Facebook in risposta a Marina Terragni

Cara Marina, care tutte,
scusatemi, ma sono insieme grata e stupita di tanto interesse per la mia candidatura, un interesse, per così dire, ‘in contumacia’. Chissà che ne pensa Ida? Provo a dire qualcosa, premettendo il mio dispiacere sincero per non avervi potuto parlare prima che la proposta di Sel diventasse pubblica: sono la prima a essere stata presa in contropiede da una accelerazione prenatalizia che non mi aspettavo, mentre avevo ancora la testa su tutt’altro e meditavo di discuterne almeno con qualcuna di voi fra Natale e Capodanno.
Mi rivolgo per prima a Marina, per dirle che non c’è, da parte mia, proprio nessun cambio di rotta. Tanto per citare un incontro in cui c’eravamo tutt’e due, al convegno di Paestum, nel mio breve intervento in plenaria (grazie, Sara Gandini, per aver postato quello nel gruppo di Facebook), io sostenni tre cose: 1. che sulla rappresentanza non possiamo essere naive, dopo trent’anni che ne parliamo, per naiveté intendendo eccessive aspettative o eccessivi investimenti o anche eccessivi scongiuri e collane d’aglio; 2. che la rappresentanza neutralizza; 3. che sono contraria a qualunque formula numerico-paritaria di cooptazione femminile, tipo le quote e il 50 e 50. Aggiunsi e sottolineai l’inciso ”fatto salvo il desiderio di e il sostegno a quelle che nelle sedi della rappresentanza ci vogliono andare”. Riconfermo quelle tre cose una per una (del desiderio e sostegno dirò dopo).
1.Continuo a vedere troppe aspettative naive anche nei vostri interventi qua sopra: aspettative che una vada in parlamento a fare chissà che, che ci porti chissà quale segno, etc. etc. Forse perché il parlamento l’ho frequentato da cronista per molti anni, ho uno sguardo più disincantato: si riesce a farci molto poco. Forse perché della crisi della rappresentanza mi occupo da anni, da giornalista e si parva licet anche da filosofa, ho un pensiero più cauto: la rappresentanza è un dispositivo cruciale della politica moderna, che sia in crisi è evidente, che sia finita non è vero, magari! (e sostituita da che? Il casino generalizzato che si è aperto nei cd territori sul contrasto fra candidature ‘di listino’ e candidature ‘da primarie’ segnala un forte rischio che si esca dalla crisi della rappresentanza nazionale regredendo alla rappresentanza di condominio). Che sia in contraddizione con la pratica della relazione invece è verissimo, ma lo è in parlamento come in altre istituzioni, dalle università ai giornali, perché la logica della rappresentanza le permea tutte e ineluttabilmente.
Ho l’impressione che la differenza fra noi non sia fra chi in parlamento e in altre assemblee elettive ‘ci vuole andare’ e chi ‘non ci vuole andare’, ma fra chi è portata ad attraversare questa contraddizione fra logica della rappresentanza e logica della relazione e chi se ne sente esentata, o preferisce, con ottime ragioni, tenersene alla larga o non affrontarla direttamente o combatterla frontalmente. Personalmente l’attraverso da sempre, come dimostra il mio lavoro giornalistico e anche tutto quello che sulla rappresentanza ho scritto nei nostri libri e sulle nostre riviste. Ho anche l’impressione che a dividerci sia, più che la rappresentanza, la distinzione fra politica prima e seconda, distinzione che come molte sanno non mi ha mai convinta del tutto: per me la politica è una, perché una è la sfera pubblica; diverse sono le pratiche e le modalità per abitarla. Questo tanto per dire a Marina che io proprio no, non ho mai invitato nessuna all’estraneità, come ti viene in mente?, tutta la mia vita testimonia in senso contrario, e casomai del rischio-estraneità ho sempre fatto motivo di polemica nel femminismo. Del mio sostegno, da giornalista e da militante, alle altre che si sono trovate in parlamento o nella politica istituzionale, invece, dovrebbe testimoniare Laura Cima, che se ne avvalse a suo tempo: mi spiace se ne sia scordata.
2.La rappresentanza neutralizza: lo penso tutt’ora e credo che sia un rischio a cui mi espongo, assieme
3.al rischio di trovarmi invischiata in proposte di legge di rappresentanza ‘di genere’?
Perché allora la mia candidatura e i rischi connessi? Non mi sentirei, nel mio caso, di scomodare il desiderio. Non l’ho chiesta, cercata, voluta, progettata come una cosa che si desidera o si vuole fortemente. L’ho accettata, d’istinto, o per essere più precisa, non ho trovato stavolta dentro di me i motivi per dire di no come altre (quattro) volte. Per due ragioni. La prima: c’è un passaggio politico arduo ma non chiuso, bisogna cercare di uscire contemporaneamente dal regime del godimento berlusconiano e dal regime della penitenza montiano, e di portare un po’ di aria nel discorso pubblico: dire no mi pareva avaro e ingeneroso, come un volermi tenere per me le cose che mi si chiedeva, peraltro con garbo e rispetto per il mio profilo indipendente, di mettere in circolo. La seconda: non c’è più il manifesto, almeno il ‘mio’ manifesto, cioè il campo da gioco principale della mia scommessa culturale e politica e il luogo principale di esercizio della mia parola pubblica. E c’è un grande vuoto e un brutto dolore per la sua fine e per il modo della sua fine, compresa la solitudine politica e la labilità delle relazioni femminili e maschili in cui ho sentito, per molti mesi, che questa fine si consumava. Un cambiamento, o un détour, credo che mi faccia bene. Credo che non sia il peggiore dei cambiamenti possibili, né il più straniante rispetto a quello che ho fatto finora e che continuerò a fare. Credo che mi aiuti a tirare le fila di tante cose che sono stata, a cominciare dal rapporto con la mia regione d’origine. E credo che non farà di me un’altra persona rispetto a quella che sono. Voi credete di sì? Mi dispiacerebbe assai. Un abbraccio,
Ida

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