18 Febbraio 2016

Libere da violenza e militarizzazione

di Anna Di Salvo

 

Ripropongo oggi lo scritto Libere da violenza e militarizzazione pubblicato nel n.2 del 2014 della rivista “Viottoli” (Semestrale di formazione comunitaria della Comunità cristiana di base di Pinerolo), per contribuire alle riflessioni in seguito ai fatti di Colonia del capodanno 2016. Alcuni scritti di femministe – tra cui Franca Fortunato, Letizia Paolozzi, Milagros Rivera, Sara Gandini, Laura Colombo… – hanno sottolineato in maniera efficace che sono uomini gli autori delle violenze di Colonia. E questo penso che abbia posto fine, una volta per tutte, al modo indifferenziato di scrivere e di parlare di “migranti” senza distinguere se si tratti di donne o di uomini. Perché è diventato ormai evidente che non sono le donne ma alcuni – troppi – uomini quelli che provocano problemi in ogni parte del mondo, che siano cristiani, musulmani, arabi, europei, africani, orientali ecc. Rispetto alle tragedie che vivono le donne migranti nei lunghi transiti e in quello che le aspetta una volta giunte nei paesi europei, a mio avviso sinora si è parlato e fatto troppo poco, e vorrei richiamare l’attenzione su di loro. Anche di questo si parlerà al convegno L’Europa delle Città Vicine domenica 21 febbraio 2016 a Roma, Casa internazionale delle donne, ore 9.30-16.30.

 

«Libere da violenza e militarizzazione» sono le parole chiave delle donne e degli uomini delle Città Vicine che hanno messo al centro il dramma delle violenze sessiste subite dalle donne migranti e insieme il dramma degli scempi che derivano dall’incremento della militarizzazione in varie parti del globo, cercando di rendere manifesto e risonante il nesso esistente tra le due questioni con iniziative, elaborazioni politiche e performance artistiche.

Questo percorso ha avuto inizio dalle visite di alcune/i delle Città Vicine molti anni fa al centro di accoglienza “Villaggio degli aranci” di Mineo, un paese in provincia di Catania, dove vengono trattenuti/e gli uomini e le donne migranti: in questo CARA, come in altri famigerati centri di accoglienza, spesso le donne scampate alla traversata del Canale di Sicilia subiscono violenza sia da uomini migranti come da nostri connazionali, e molte vengono costrette a prostituirsi.

A cominciare dal 2011, con la Vacanza Politica “Lampedusa mon amour” di 10 donne di varie città d’Italia a Lampedusa, le Città Vicine hanno partecipato ogni estate al LampedusaInFestival invitate dalle giovani donne e uomini dell’associazione Askavusa, che s’impegnano con vari linguaggi a ridefinire lo spirito autentico dell’isola dando voce ai desideri reali delle sue e dei suoi abitanti. La decisione di recarci nell’isola era stata sollecitata dai numerosissimi sbarchi a Lampedusa nel febbraio del 2011, di oltre 11.000 uomini e donne migranti, provenienti dall’area subsahariana dall’Africa del nord e da paesi orientali, e le Città Vicine avevano avvertito il desiderio forte di essere là in quel momento così difficile.

Queste frequentazioni, le iniziative realizzate in merito, gli impegni conseguentemente assunti, ci hanno portate/i ad approfondire la questione delle donne migranti, ad acquisire dolorose verità, senso di responsabilità e profonda indignazione.

La visione patriarcale del mondo e le occupazioni militari dei territori si portano dietro le conseguenze tragiche che scorrono di continuo davanti ai nostri occhi e altre, che passando quasi inosservate, si insinuano nella vita di molte/i quali subdole violenze.

Le guerre segnano in maniera indelebile la vita di migliaia di donne in buona parte del mondo: la fuga dalle proprie case, le permanenze forzate nei campi profughi o in paesi ostili, le pericolose traversate di deserti e poi di mari, diventano tappe obbligate per quel tipo di sopravvivenza, che include al proprio interno abusi, violenza sessuale percosse… soprattutto in Libia, dove la polizia locale le trattiene a lungo, le violenta, le ricatta.

Questo spiega come mai buona parte delle migranti sopravissute alla crudeltà degli scafisti in mezzo al mare, giungono sin da noi in stato avanzato di gravidanza: è importante denunciarlo, anche per sfatare il pregiudizio che le ritiene irresponsabili e superficiali nel mettere al mondo delle creaturine in momenti così difficili.

Ma anche le terre di approdo quasi sempre si propongono come l’ennesimo campo di battaglia: rifiuto, sfruttamento, assenza di rispetto per l’intimità femminile, sono per lo più le “forme d’accoglienza” e l’impatto con le quali le migranti si scontrano e che ostacolano il loro desiderio di pace, serenità e libertà.

Libertà che è sempre minacciata anche nelle terre come la mia Sicilia, divenuta insieme alle sue isole minori un avamposto militare perché occupata strategicamente anche da potenze straniere e dalla NATO, con l’approvazione e la connivenza dei poteri forti e dei governi locali. Il territorio di Niscemi, in provincia di Caltanissetta, è l’esempio dell’ennesimo scempio imposto dal processo di militarizzazione che si ostina a voler installare in quei bellissimi luoghi il famigerato MUOS, un complesso di antenne e parabole satellitari che emettono radiazioni elettromagnetiche fortemente rischiose per le vite di donne, uomini e bambini, che potrebbero investire in maniera esponenziale non solo la Sicilia ma anche la Calabria. A questo dissennato progetto, allestito con tracotanza muscolare in quanto per la sua realizzazione sono stati sradicati molti alberi secolari facenti parte di una sughereta protetta, si oppongono oltre i Comitati di base “NoMuos/No Sigonella” anche le “Mamme NoMuos” di Niscemi e Caltagirone sostenute dalla rete delle Città vicine, così come stanno ricevendo sostegno anche Rossella Sferlazzo e le “Mamme di Lampedusa” che si oppongono all’ampliamento dei sistemi radar, già numerosissimi sull’isola, voluto dal Ministero della Difesa e dalla NATO per favorire le comunicazioni militari ad ampio raggio.

I temi di cui ho parlato e le relazioni in corso con donne e uomini con le/i quali condividiamo desideri, impegno e pratiche politiche in merito, mi hanno portata a Lampedusa, per realizzare insieme alle Mamme di Lampedusa e a donne e uomini di Askavusa, l’installazione artistica Lampedusa porta della vita che abbiamo collocata in piazza Castello, avendo come sfondo la meravigliosa visione del Porto Vecchio con le sue barche, il suo mare, i suoi approdi, le sue partenze… Così attraverso quella porta aperta sul mare, incorniciata da legni di imbarcazioni naufragate, decorata dalle immagini dei desideri delle Mamme, degli sbarchi di donne e uomini migranti, del processo forzato di militarizzazione e della tartaruga che circumnaviga le questioni dell’isola, deponendo infine le sue uova, si staglia la grande sagoma di Abissa, la donna-mare quale simbolo di bellezza, presenza positiva e avvenire di bene per tutte e per tutti.


(www.libreriadellledonne.it, 18 febbraio 2016)

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