19 Novembre 2016
NOSTOP Periodico FILT CGIL

L’intervista a Wanda Tommasi – Comunità di Diotima


Vuoi presentare la Comunità di Diotima ai nostri lettori?

Diotima nacque nel 1984 presso l’Università di Verona come comunità di sole donne amanti della filosofia e interessate a rendere conto della differenza sessuale nel lavoro del pensiero. La fondazione di Diotima era stata preceduta da un’esperienza di circa due anni di lavoro “politico”, sul modello della pratica femminista dell’autocoscienza e con l’impegno di commentare un numero di “Sottosopra”, una rivista della Libreria delle donne di Milano: il gruppo politico si chiamava “Fontana del ferro”, dal nome della via in cui si svolgevano le nostre riunioni. Animatrici di entrambe le iniziative furono soprattutto Luisa Muraro e Chiara Zamboni; io partecipai a entrambe fin dall’inizio. Tuttavia, quando l’esperienza di Fontana del Ferro si concluse e contestualmente nacque Diotima, alcune donne si fecero da parte e altre, impegnate nella ricerca filosofica, si aggiunsero. Pensammo che, visto che la filosofia su cui ci eravamo formate aveva una chiara impronta maschile ed era segnata da un’omosessualità socio-simbolica, cioè dal fatto che gli uomini si rivolgevano prioritariamente ad altri uomini come interlocutori, escludendo le donne, noi potevamo dar vita a una filosofia in cui noi donne ci saremmo rivolte preferenzialmente ad altre donne come interlocutrici privilegiate. All’inizio, escludemmo di fare riferimento a pensatori maschi, ad eccezione di quei pochi su cui ci eravamo formate e che avevamo profondamente interiorizzato, e mettemmo in primo piano lo scambio di pensiero vivo fra noi, in presenza, dando così autorità alla parola delle altre, e tenendo come riferimenti teorici le pensatrici femministe, soprattutto quelle della differenza sessuale che ci avevano preceduto, fra cui Luce Irigaray. All’inizio, il lavoro era faticoso e molto di ciò che cercavamo di dire risultava oscuro, ma gradualmente, nello scambio fra noi, emersero dei temi che cominciarono a prendere forma: innanzitutto il pensiero della differenza sessuale, poi la relazione con il mondo, la pratica femminista del partire da sé, l’autorità femminile e molti altri. I primi anni furono caratterizzati dalla centralità di Luisa Muraro, alla cui autorità quasi tutte si riferivano, quasi sempre per accordarvisi, talvolta invece per entrare in conflitto, in conflitti difficili e dolorosi. Nella centralità di Luisa, nella sua eccessiva autorità, c’era qualcosa che funzionava: l’autorità fra noi non circolava, si fissava su una sola. Una faticosa riflessione su questa impasse portò in seguito ciascuna di noi a farsi carico della propria stessa autorità; l’autorità cominciò così a circolare più liberamente, in un tessuto di relazioni più mobile e fluido. A quel punto, considerammo il “fare diotima” semplicemente come il nome delle relazioni fra noi: ciò vuol dire che l’autorità è nelle relazioni e non in possesso di una singola. Attualmente e già da diverso tempo Luisa Muraro si è fatta da parte rispetto al lavoro di Diotima, la cui responsabilità ricade ora soprattutto su Chiara Zamboni, ma anche su ciascuna di noi. Fin dall’inizio, e questo continua tuttora, di Diotima fanno parte donne amanti della filosofia, ma non necessariamente accademiche: alcune sono interne, altre esterne all’università. Diotima si riunisce all’università di Verona, ma non ha uno statuto né un’organizzazione formale di alcun tipo: vive solo finché è vivo il desiderio di coloro che ne fanno parte. Il suo lavoro si struttura con riunioni a cadenza mensile, cui si aggiungono due volte l’anno dei ritiri filosofici di due giorni, animati da un’intensa discussione. Ogni anno, in autunno, i temi su cui stiamo lavorando sono presentati al Grande seminario, che è aperto al pubblico, donne e uomini. Nel corso del tempo, alcune donne si sono allontanate da Diotima e altre, spesso più giovani, se ne sono aggiunte, cosicché attualmente c’è una buona presenza di giovani donne, accanto alle fondatrici.

Come nasce l’idea del Seminario di quest’anno e come s’inserisce nel percorso che Diotima vuol fare?

L’idea del Seminario di quest’anno è emersa, come succede quasi sempre, nel ritiro filosofico che abbiamo fatto a fine giugno. In realtà, gran parte della discussione in quel ritiro verteva sulla questione della competenza simbolica, cioè su come si arrivi a maturare un proprio punto di vista sulla realtà e a prendere posizione a partire da sé e non secondo idee già confezionate.
Tuttavia, ci è sembrato che un Seminario sulla competenza simbolica sarebbe risultato troppo astratto e probabilmente poco comprensibile per chi sarebbe venuto ad ascoltarci. Luisa Muraro, che non partecipa alle riunioni mensili di Diotima ma ai ritiri sì, ha allora proposto il tema della violenza, su cui aveva già riflettuto nel suo libro Dio è violent (Nottetempo, Roma 2012). Dopo qualche perplessità, dovuta al fatto che questo tema si allontanava molto da quanto si era discusso fino a quel momento, la proposta è stata accolta: il tema della violenza è, infatti, di grande attualità, sia per i numerosi casi di violenza patita da donne di cui ci danno quotidianamente notizia le cronache sia perché quella attuale è una società attraversata da molta violenza, una violenza che abita anche dentro di noi e che merita di essere interrogata. La riflessione sulla violenza s’inserisce in un percorso di confronto di Diotima con questioni di attualità che coinvolgono le donne: nelle riunioni dello scorso anno abbiamo discusso molto della gestazione per altri (il cosiddetto utero in affitto) e delle unioni civili e abbiamo rilanciato la prospettiva della differenza sessuale nel conflitto tuttora aperto con le teorie gender e queer.

Puoi illustrare i contenuti del Grande Seminario?

Posso solo immaginare a grandi linee quello che ne emergerà, dal momento che io non sono fra le relatrici del Grande Seminario di quest’anno (5 lezioni nei mesi di ottobre e novembre). Nella discussione di preparazione al Seminario, eravamo partite dalla violenza sulle donne, una violenza che oggi è registrata puntualmente dai mass media e per cui è stato recentemente coniato il termine “femminicidio”, ma che in realtà viene da molto lontano e che ha accompagnato tutta la storia del patriarcato: alle nostre spalle c’è una lunga storia di misoginia, cioè di odio verso le donne, che va dalla loro emarginazione dall’umano e dal loro schiacciamento sul lato “animale” e dalla loro lunga esclusione dalla sfera politica fino alla caccia alle streghe e oltre. Oggi, il riacutizzarsi della violenza sulle donne è come un colpo di coda del patriarcato morto o morente: è legato probabilmente al fatto che molte donne ormai si sottraggono ai ruoli tradizionali che esse ricoprivano nell’ordine patriarcale. Tuttavia, non c’è solo la violenza sulle donne. Il Seminario tratterà della violenza in tutta la sua ampiezza e pervasività, come dismisura che precede e va di pari passo con l’umanità. La violenza accompagna fin dall’inizio l’esperienza dell’essere umano: basti pensare, sulla scia di Melanie Klein, al rapporto di amore e odio – aggressività, rabbia, violenza – che la creatura piccola intrattiene con la madre, amata ma anche odiata perché non è sempre a propria disposizione. Basti pensare alla violenza all’origine delle società e del sacro secondo alcune ipotesi antropologiche, fra cui quella di René Girard. Nel campo delle teorie politiche, secondo Thomas Hobbes è lo Stato, il Leviatano, a detenere legittimamente il monopolio della violenza, sottraendone l’esercizio in prima persona ai singoli per evitare la guerra di tutti contro tutti che ne sarebbe la conseguenza inevitabile. Questo presupposto della teoria politica moderna può essere messo in discussione, chiedendosi se davvero solo lo Stato possa detenere il monopolio della violenza. Hannah Arendt distingue opportunamente la violenza dal potere, dalla forza e dall’autorità; tuttavia, possiamo constatare che spesso si verifica nella realtà una commistione di potere e violenza. Ancora oggi molta violenza attraversa e pervade le nostre società, installandosi anche dentro le nostre anime. Qualcosa ce ne dobbiamo pur fare e soprattutto qualcosa ne dobbiamo dire, sapendo che la violenza si scatena quando vengono meno le mediazioni o quando il linguaggio, la prima e più importante mediazione, prolifera troppo e gira a vuoto senza avere più efficacia e allora, spesso, subentra la violenza. Siamo convinte che le donne siano capaci di un ascolto attento della violenza propria e altrui perché sono consapevoli della possibilità della violenza maschile sul proprio corpo. Speriamo anche di aver guadagnato, grazie alla fiducia che circola nelle relazioni fra noi e con altre donne, un punto di avvistamento sulla violenza sufficientemente distaccato da poterla guardare accogliendo questo fatto doloroso senza farcene travolgere. Altrimenti, se ne fossimo travolte, non ci sarebbe possibilità di parola, ma solo mutismo. Fare parola e pensiero in fedeltà alla differenza femminile sulla violenza, sia quella patita sia quella che ci attraversa, ci abita e che noi stesse possiamo esercitare, è la scommessa all’origine di questo Grande Seminario.

Wanda Tommasi vive a Verona, dove insegna filosofia all’università. Fin dalla fondazione, fa parte della comunità filosofica femminile “Diotima”, con cui ha elaborato il pensiero della differenza sessuale. Nella sua ricerca, ha privilegiato l’opera di Simone Weil, cui ha dedicato due volumi, e quella di altre pensatrici contemporanee. Fra le sue pubblicazioni: I filosofi e le donne (Tre lune, 2001), Etty Hillesum. L’intelligenza del cuore (Messaggero, 2002), La scrittura del deserto (Liguori, 2004), María Zambrano. La passione della figlia (Liguori, 2007), Oggi è un altro giorno. Filosofia della vita quotidiana (Liguori, 2011), e Ciò che non dipende da me. Vulnerabilità e desiderio nel soggetto contemporaneo (Liguori, 2016).

NOSTOP Periodico FILT CGIL Nazionale, n. 92 – Novembre 2016

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