20 Giugno 2015
la Repubblica

L’Italia, la ricerca pubblica e il paradosso degli Ogm

di Elena Cattaneo

 

[NdR: Proponiamo alla riflessione e alla discussione questo contributo]



Nel nostro Paese, quasi unico in Europa, non si può studiare come migliorare geneticamente le nostre piante tipiche per proteggerle nelle condizioni di campo che ne compromettono resa e qualità. Da tredici anni l’irrazionalità politica causa la perdita della nostra biodiversità agricola, si tratti dell’ormai estinto pomodoro San Marzano o del prossimo estinto, il riso Carnaroli. I parassiti evolvono e anche le coltivazioni tipiche necessitano di essere rinvigorite. Se non lo facciamo, le perdiamo o le riempiamo con insostenibili cicli di pesticidi. Ma tre eventi recenti suggeriscono
che forse qualcosa può cambiare.
Il primo si è verificato il 13 maggio, in Senato, quando il governo, rappresentato dal sottosegretario Sandro Gozi, si è detto «perfettamente conscio dell’urgenza e della necessità di trattare e
risolvere il tema della ricerca pubblica in campo aperto, garantendo la massima sicurezza delle nostre coltivazioni tipiche», impegnandosi a farlo «prima della pausa estiva».
Il secondo riguarda l’aggiunta di un’autorevole voce, quella di Papa Francesco che, nella sua enciclica Laudato si’ , ha ritenuto necessario affrontare il tema degli organismi geneticamente modificati con queste parole: «Occorre assicurare un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome.

(…) Quella degli Ogm è una questione (…) che esige di essere affrontata con uno sguardo comprensivo di tutti i suoi aspetti, e questo richiederebbe almeno un maggiore sforzo per finanziare diverse linee di ricerca autonoma e interdisciplinare che possano apportare nuova luce». Le informazioni scientifiche disponibili – dopo vent’anni di prove sulla sicurezza di specifiche piante Ogm (varietà di mais, soia e cotone) – dicono che gli Ogm studiati “fanno bene” alla salute umana perché, rispetto alle coltivazioni tradizionali e biologiche, riducono l’impiego di insetticidi e fungicidi, di metalli pesanti o i livelli di pericolose tossine “naturali”, allo stesso tempo senza che sia emersa alcuna prova di danni. E chi ha cercato di costruire false prove è stato smascherato. Anche più interessante è il richiamo del Santo Padre alla ricerca, necessaria a portare “nuova luce”. Nell’Enciclica si cita addirittura ciò che gli scienziati in buona fede sanno, cioè che le piante “naturali” sono geneticamente modificate dai batteri che “naturalmente si divertono” a inserire nel Dna della pianta un po’ del proprio. Esattamente come fa il ricercatore di oggi, che “copia la natura” ma con la precisione chirurgica che l’innovazione permette. Perché noi mangiamo da secoli queste piante “naturalmente e casualmente Ogm”.

Quel 13 maggio, nel presentare un ordine del giorno sulla legge che delegava il governo al recepimento di una direttiva che consente di vietare o meno le coltivazioni commerciali di Ogm, avevo evidenziato come quella direttiva incoraggiasse anche la ricerca scientifica pubblica sugli Ogm. Quell’ordine del giorno è stato condiviso e firmato da più capigruppo (Pd, Fi, Ncd) e senatori. Ho raccontato in Aula che da anni la politica italiana ha confinato nei cassetti dei laboratori pubblici e delle università un patrimonio di conoscenza rimasta inespressa. Progetti che, se disseppelliti, potrebbero far “rinascere” piante, prodotti e biodiversità, salvaguardare le tipicità che stiamo perdendo, far guadagnare competitività al Paese, creare nuova occupazione ed essere premessa tecnologica per una spinta alla ripresa di un settore fermo su gravi condizioni di arretratezza. I nostri imprenditori agricoli potrebbero avere rese di prodotto migliori ed eviteremmo che altri validi cervelli vadano all’estero per realizzare il loro futuro aiutando altri Paesi a rendere più efficiente la loro agricoltura. Ecco alcune risposte al quesito “cosa può fare la scienza per il Paese” promosso dal ministero dell’Agricoltura, dove evidentemente non sanno nemmeno più cosa fa la ricerca scientifica pubblica italiana. In Senato ho anche ricordato che impedire le sperimentazioni in pieno campo sulle migliorie genetiche delle piante significa impedire la ricerca pubblica, la stessa che con regole e scientificità si effettua serenamente in tanti altri Paesi europei. A chi obietta che essa può essere condotta in serra, senza prove in campo, vorrei spiegare nuovamente che è come allestire in officina un nuovo modello di Ferrari senza mai provarlo in pista.

Il terzo evento riguarda il parere che il Parlamento è prossimo a esprimere sulla proposta di regolamento europeo che lascia liberi gli Stati di vietare anche l’importazione di mangimi Ogm. Pare che, in sede europea, i rappresentanti dei Paesi che da sempre demonizzano gli Ogm, come l’Italia, si esprimeranno contro questa libertà. Per anni, politici e abili affabulatori hanno “narrato il mito della pericolosità degli Ogm per la salute dell’uomo”.

Coerenza vorrebbe che ora facessero salti di gioia di fronte alla possibilità di vietare anche l’importazione (oltre alla coltivazione e alla ricerca pubblica) di un materiale “per loro tanto pericoloso”. E, invece, a oggi non ho notizia di nessuno in trincea a sostenere la “chiusura alle importazioni Ogm” offerta dalla Commissione Europea, paradossalmente trasformandosi da anti-Ogm a “complici di crimini ai danni della salute”. Oppure, hanno sempre mentito al Paese. Faccio allora io una proposta. Se non sarà vietata l’importazione di mangimi Ogm, si segnali al consumatore tutto quanto deriva da Ogm. Si etichettino come “Derivato da Ogm” latte e formaggi, salumi e carni ottenuti da animali nutriti con Ogm. I grandi Consorzi di tutela del Made in Italy, che esportiamo nel mondo, usano mangimi Ogm: etichettiamo anche quei prodotti. Così come il cotone (per il 70% Ogm) che usiamo per vestirci, per le banconote o in sala operatoria. Se si ritengono le migliorie genetiche pericolose, perché non avvisare i cittadini? Magari si scoprirebbe che ne sono indifferenti, se ben informati. Oppure si smetta di ingannare il pubblico con false paure e si ricominci a fare sperimentazione libera, in sicurezza e in campo aperto.

Nell’attesa che il governo mantenga la parola data, innescando una rivoluzione copernicana nella foresta pietrificata del Paese, l’Italia si conferma “regno di paradossi”. Vietiamo gli Ogm, ma ne importiamo diecimila tonnellate al giorno. Li mangiamo da vent’anni ma non li studiamo. Paghiamo scienziati per scoprire, inventare, insegnare e applicare cose che allo stesso tempo impediamo loro di realizzare. Siamo contro le multinazionali ma ne dipendiamo per ogni seme non Ogm. Perdiamo biodiversità e non facciamo nulla per preservare le nostre tipicità. Inondiamo coltivazioni e ambiente di insetticidi e metalli pesanti senza alcun “principio di precauzione”. Temiamo di “contaminare con Ogm” le nostre terre e “lasciamo che si contaminino” quelle dei Paesi da cui li acquistiamo. Paghiamo cervelli e invenzioni italiane in campo agrario lasciando che altri Paesi se ne approprino per migliorare le loro economie. Chissà che nel fare così tanto, non si riesca, prima o poi, anche a rottamare un po’ di questa miope e decadente irragionevolezza.


(la Repubblica, 20 giugno 2015)

 

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