16 Maggio 2015
Il Quotidiano del Sud

«LORO MI CERCANO ANCORA» DI MARIA STEFANELLI

di Franca Fortunato

«Loro mi cercano ancora» è il titolo del libro-memoriale di Maria Stefanelli, vedova del boss della ’ndrangheta Francesco Marando, oggi testimone di giustizia nel maxiprocesso denominato Minotauro, di cui in questi giorni si sta celebrando l’appello a Torino contro i presunti affiliati alla ’ndrangheta radicatasi in Piemonte. Dal 1998, anno in cui è entrata nel programma di protezione, gli uomini della famiglia del marito la cercano, per averli accusati di aver ucciso suo fratello e zio Antonino, per aver raccontato dei loro affari al Nord tra gli anni Settanta e Ottanta, e per averli fatti condannare. Vive in località protetta con la figlia. È a lei che si rivolge nel libro – scritto insieme alla giornalista Manuela Mareso del mensile Narcomafie – e le racconta, per la prima volta, tutta la sua storia.

«Attraverso le pagine di questa memoria – le scrive – hai saputo ciò che fino ad oggi non avevo trovato il coraggio di raccontarti. Potrai capire meglio quello che ho sofferto, ora che sei mamma anche tu […]. Come ho cercato in tutti i modi di proteggerti. La verità è che tu sei stata l’unico appoggio. In te ho trovato la forza di lottare, di vivere, sconfiggere il cancro», di cui si è ammalata dopo essere diventata testimone di giustizia. Le racconta della sua breve infanzia ad Oppido Mamertina, suo paese natio. Un’infanzia «povera» ma «felice», che finisce nel 1974, quando i suoi genitori si traferiscono al Nord, in seguito all’incendio per ritorsione del forno della madre. Maria aveva solo nove anni. Le racconta la sua vita al Nord, fatta di «povertà», «botte» e «violenze» in famiglia, per mano dello zio Antonino, l’«orco», che per anni ha violentato lei e le sue sorelle, dopo averne sposata la madre, alla morte del padre.

Alla figlia racconta del matrimonio con suo padre, accettato solo per uscire da quella situazione familiare di degrado morale, divenuta insopportabile. Le parla del suo dolore di figlia per una madre che non ha saputo «difenderla», «salvaguardarla», «salvarla» perché «lei non era stata in grado di proteggere nemmeno se stessa», come capì il giorno in cui, «sopraffatta dalla vita», sua madre tentò il suicidio.

Col suo racconto Maria apre il sipario su quel mondo mafioso, patriarcale, dove le donne che si sottomettono all’obbedienza della legge del padre, negano libertà a se stesse e alle proprie figlie. «Se subisci violenze stai zitta, perché vedi che è così anche per le altre […]. E se tua figlia subisce violenze, non la soccorrerai perché così è stato per te», e chi «ha avuto il coraggio di spezzare questa spirale ha pagato con la vita» e chi si sottomette si imbottisce di psicofarmaci e tranquillanti, per sopravvivere. No, non è questa la vita che Maria voleva per sua figlia. Lotta contro sua madre, contro la famiglia del marito, contro l’uomo che ha sposato e che la costringe a seguirlo da un carcere all’altro, ad andare da un avvocato all’altro, ad aiutarlo ad evadere, a coprirlo nella latitanza e seguirlo a Platì. Anni di violenze, di botte e maltrattamenti, fino a perdere il figlio che portava in grembo. Maria non si piega, resiste e grida la sua liberazione, la sua felicità il giorno in cui le portano la notizia dell’uccisione del marito. Balla, canta, non accetta di portare il lutto, di fare la “vedova” e, con grande scandalo, va via con sua figlia da quel paese, pronto a rendere omaggio alla salma del boss.

Il racconto di Maria, al di là dal voler «spiegare dall’interno che cos’è quel mondo. Le menti malate che lo abitano, i meccanismi che lo governano», è un grande atto d’amore di una madre verso la figlia, che ha saputo difendere e salvare perché lei è stata capace di difendere e salvare se stessa, in nome del suo desiderio di libertà di donna, prima che di madre. Il libro è la testimonianza di una delle tante donne calabresi coraggiose, venute dopo di lei, divenute testimoni o collaboratrici di giustizia, che hanno dato inizio ad un’altra storia, che le loro figlie e figli porteranno avanti, nel nome della madre, come sta facendo Denise, la figlia di Lea Garofalo. Maria Stefanelli con la sua storia dimostra come per una donna, consapevole che «la ’ndrangheta non dimentica» («loro mi cercano ancora»), l’amore per la libertà femminile può essere più forte della paura.

 

“Loro mi cercano ancora” Maria Stefanelli con Manuela Mareso – ed. Mondadori pgg.201 € 17,00

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