15 Ottobre 2013
Il Quotidiano della Calabria

Malala e il desiderio femminile di istruirsi

di Franca Fortunato

A Malala il Parlamento europeo ha assegnato il  premio Sakarov per la pace. Candidata anche al Nobel, è la prima adolescente a ricevere tale riconoscimento. Nata nel “posto più bello del mondo”, nella valle dello Swat, “un giardino dell’Eden”, fatto di montagne, cascate e laghi dalle acque cristalline, al cui ingresso sta scritto: BENVENUTI IN PARADISO, Malala è un’adolescente del nostro tempo che ha compreso come i libri e le penne siano “le armi più potenti” per conquistare libertà e autonomia da uomini che vogliono imporre con violenza il proprio potere sul corpo e la mente delle donne. Lo sono nel suo Pakistan per i talebani, espressione di un patriarcato religioso violento ed oppressivo, lo sono per i mafiosi di casa nostra, che non accettano la fine di rapporti di subalternità e di complicità delle donne della “famiglia”. Lo sono i tanti maschi che uccidono le donne e fanno violenza sul loro corpo. Ma quell’ordine sociale e simbolico è finito, sta finendo, ovunque nel mondo, perché le donne, le giovani – come Malala – non danno più ad esso alcun credito. Il desiderio di libertà per una donna, nel momento in cui lo riconosce, è inarrestabile e irreversibile, in Pakistan come in Italia e nel mondo. La scuola, nonostante tutto, resta ancora l’unico luogo di incontro tra generazioni, dove la donna più grande autorizza la più giovane nel suo desiderio di libertà ed autonomia. Non è un caso che nel nostro Paese siano più donne che uomini a insegnare e che le ragazze studino di più, si laureino meglio e prima dei maschi. Malala sa della forza del desiderio femminile, sa del piacere femminile per lo studio, a cui lei è stata introdotta dal padre, fondatore di scuole in Pakistan. Ma – ogni donna lo sa – non basta avere penne e libri, se questi sono scritti come se le donne, con il loro pensiero e la loro esperienza, non ci fossero mai state. Dare esistenza simbolica alle ragazze nelle scuole è, da anni, l’impegno di molte insegnanti, ma non è ancora senso comune in una scuola, più volte (de)riformata, che resta fortemente maschile e maschilista. Libri, penne, ed esistenza simbolica non possono non andare insieme per dare consapevolezza e coscienza di sé alle tante ragazze che non sono disposte, come Malala, a rinunciare ad andare a scuola. Anche lei conosce questo bisogno simbolico, quando parla delle donne da cui trae forza, Benazir Bhutto e Malalai di Maiwand. La prima, due volte a capo del governo pakistano, uccisa nel 2007 in un attacco suicida talebano al termine di un comizio a Rawalpindindi, a circa 30 kilometri dalla capitale Islamabad. La seconda, da cui ha preso il nome, la grande eroina afghana la cui storia ha sentito sin da piccola. Adolescente – come Malala – Malalai, durante la lotta contro l’occupazione britannica del suo paese, insieme ad altre donne del villaggio si recò sul campo di battaglia per soccorrere i feriti e portare acqua ai combattenti. L’esercito stava per essere sconfitto, così, quando il portabandiera cadde morto, la ragazza sollevò alto il suo velo bianco e marciò sul campo di battaglia alla testa delle truppe. Malalai cadde sotto il fuoco nemico, ma le sue parole e il suo coraggio ispirarono le truppe spingendole a ribaltare le sorti della battaglia. L’intera brigata inglese fu massacrata. Malala è un’adolescente coraggiosa, che fa paura ai talebani più delle armi e delle guerre occidentali per la “democrazia”. «Cercheremo ancora di uccidere Malala, magari anche in America o nel Regno Unito… Non ha fatto nulla per meritare il prestigioso premio Sakharov… I nemici dell’Islam la stanno premiando perché ha abbandonato l’Islam e si è secolarizzata… sta ricevendo premi perché sta lavorando contro l’Islam: la sua battaglia contro l’Islam è la ragione principale dei suoi premi», ha tuonato Shahidullah Shahid, portavoce dei talebani pakistani. Per la sua età, Malala dovrebbe essere a scuola e studiare con le sue compagne, e invece è costretta a vivere lontana dal Pakistan, ma non rinuncia ai suoi sogni. Un giorno – come lei stessa ha dichiarato al Corriere della Sera – tornerà nel suo paese per fare politica e diventare non presidente, nomina conferita dall’alto, ma prima ministra, una carica elettiva scelta dal popolo. Quante bambine e bambini nei barconi della morte di Lampedusa non hanno più nessun sogno perché non hanno un futuro?  Non c’è crimine più esecrabile del rubare la speranza del futuro alle nuove generazioni.

 

(Il Quotidiano della Calabria, 15 ottobre 2013)

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