22 Marzo 2016
Pagina99

Maternità surrogata, non saranno cuccioli per sempre

di Alessandra Sarchi

Mentre negli Stati Uniti col denaro e con i contratti si regola il tutto, in Europa si tenta di moralizzare la Gpa, invocando la pratica del dono. In ciascuno dei due casi evitando la domanda essenziale: è giusto nascere così?
Cosa c’è di più seduttivo e incantevole di un cucciolo? Quelli della specie umana, i bambini che già si reggono sulle proprie gambe ma pronunciano ancora pochi vocaboli, gorgheggi ed ecolalie, mamma o papà, pappa e nanna – e lì il mondo magicamente finisce – sono davvero irresistibili. È esperienza comune, anche di chi non ne ha avuti di propri. Davanti a un bambino ridente, ci sentiamo, noi adulti, indotti alla tenerezza, alla protezione, alla curiosità, alla semplificazione dei bisogni e del loro soddisfacimento, diventiamo in genere più sorridenti e giocosi a nostra volta. In poche parole diamo fiducia alla vita. Su questa dinamica psicologica, così perfettamente coordinata alla sopravvivenza della specie, si basa la maggior parte della pubblicistica e della retorica, tanto discorsiva quanto visiva, che ho incontrato andando a visitare i siti web delle cliniche statunitensi che praticano la Gpa o maternità surrogata (extraconceptions.com; growinggenerations.com; openarmsconsultants.com) ammessa in molti stati, non in tutti, come legale e fiorente business.

Uso fin da subito la parola business perché mentre scorrono in sottofondo avvolgenti jingle, e neo-genitori impeccabilmente rappresentati da una coppia etero, una coppia gay e un single palleggiano sorrisi e pupi, io non posso fare a meno di essere distratta e allarmata da alcuni termini che fanno capolino nei loro discorsi: sono grati alla clinica perché li ha seguiti passo passo in tutte le fasi contrattuali, economiche, mediche e psicologiche, sono grati alla loro rispettiva surrogate perché è stata così amorevole, una brava mamma, ma al tempo stesso ha mantenuto la necessaria distanza, la necessaria disconessione emotiva, e sono contenti di aver lavorato insieme.

Non ho nessuna ragione per ritenere, fatta la tara all’ovvia cornice promozionale in cui sono stati realizzati questi video, che le persone intervistate non fossero in buona fede, cioè sinceramente e legittimamente desiderose di avere un figlio e costruire una famiglia. Non riesco tuttavia ad assimilare con serenità emotiva né con buona pace della mia cultura etica l’idea del lavoro, del contratto, del profitto nonché della disconnessione psicologica a una gravidanza, senza poi considerare il termine stesso di surrogate, con cui la gestante viene nominata. Dunque, per nove mesi, senza contare quelli di preparazione ormonale e il parto, una donna deve essere o fare la brava mamma, poi però siccome è un lavoro, il tutto finisce con la consegna del prodotto del lavoro: un bambino.

L’argomento invocato per sostenere la disconnessione psicologica delle gestanti è curiosamente biologico: il feto che porti in pancia non ha il tuo Dna, non ti appartiene. Mentre, al contrario, si sostiene l’elaborazione della genitorialità su base simbolica e volontaristica: tu sei mio figlio, non perché ti ho generato materialmente (a volte sia ovulo che gamete sono estranei a chi richiede un bambino con la Gpa) ma perché ti ho voluto, desiderato (pagato). Ciò che mi sembra mancare in questa asimmetrica bilancia è la considerazione che durante quei nove mesi si stabilisce una relazione, mentre si genera una nuova vita. Sia della relazione, che della nuova vita, qualcuno ha preventivamente stabilito il prezzo e le modalità.

Ho scelto di proposito esempi del mondo occidentale, perché se poi andassimo a verificare a quali condizioni avviene la Gpa altrove troveremmo forme di schiavismo e abuso della persona vere e proprie. E tuttavia, mentre negli Stati Uniti l’assimilazione della gravidanza e della cessione del proprio corpo e di un’altra vita a un lavoro retribuito non crea problemi, da questa parte dell’Atlantico, come ha ricordato Valentina Pazé, la Carta dei diritti Fondamentali d’Europa stabilisce all’articolo tre «il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro» il che non ha impedito ad ogni Stato membro di elaborare una propria legislazione in merito, essendo il divieto assoluto alla Gpa vigente solo in Germania, Svezia, Francia e Italia. Il 15 marzo 2016 il Consiglio d’Europa si è di nuovo pronunciato sfavorevolmente rispetto alla proposta di legalizzare la Gpa in tutti gli aderenti all’Unione.

Questo non frena il turismo procreativo, anzi molti di coloro che sostengono l’apertura alla Gpa lo usano come argomento: per regolamentare una pratica che confinata all’illecito rimarrà sempre invischiata con lo sfruttamento e la diseguaglianza, per umanizzare uno scambio che se “fatto sotto casa” e magari con la tutela della sanità nazionale, anziché con perfetti sconosciuti all’altro capo del mondo, potrebbe consentire di mantenere una relazione fra la gestante e il bambino, fra i genitori e la gestante e chi lo sa magari anche con i donatori del prezioso materiale genetico, ovuli e spermatozoi, o entrambi.

Mentre negli Stati Uniti col denaro e coi contratti si regola il tutto, in Europa, e in parte anche in Canada, si tenta di moralizzare la Gpa, invocando la pratica del dono, antitetica a quella commerciale, ipotizzando condizioni di tutela molto più ampie della volontà della gestante, che in corso d’opera potrebbe cambiare idea, o viceversa limitando la possibilità di praticarla solo a consanguinei o amici. Entrambe queste logiche, quella commerciale e quella oblativa, eludono la domanda essenziale che qualsiasi riflessione bioetica deve porsi: è giusto, è buono nascere così? Disporre così della vita altrui? Non è una domanda oziosa e non si potrà obiettare che è stata superata dalla realtà dei progressi tecnologici e biomedici, anche la scoperta della scissione nucleare ha portato alla costruzione della bomba atomica, ma il suo uso non è auspicabile né ineluttabile.

Non ho una risposta netta, continuo a interrogarmi come altri stanno facendo, ad esempio Helena Janeczek qui su pagina99 e con un diverso approccio. Propenderei per una restrizione davvero estrema di tale pratica di concepimento e con il maggior numero di tutele possibili, ma al tempo stesso credo che la risposta definitiva spetterà alle generazioni nate in quel modo, che non saranno sorridenti bambini per sempre, ma diventeranno presto adulti con le loro domande, le loro rivendicazioni, la loro pacificazione o la loro possibile condanna di un sistema di vita che ci sta rendendo sterili e forse succubi di una mitologia demiurgica post-umana.

(Pagina99, 22 marzo 2016)

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