16 Novembre 2012
Gli Altri

Non voto in quanto donna

Laura Eduati

[…] «In questo svilente panorama istituzionale», si interroga Maria Luisa Boccia, «ha senso parlare della rappresentanza delle donne nella politica? O piuttosto dovremmo prima discutere della crisi di democrazia che investe non soltanto l’Italia ma l’intera governance mondiale? Io credo che dobbiamo chiederci cosa andranno a fare le donne in luoghi che oggi risentono anche della fortissima crisi di credibilità del maschile».
Boccia, filosofa della politica e pensatrice femminista delle origini, ha partecipato lo scorso weekend ad un incontro milanese dedicato alla rappresentanza delle donne, convocato dopo il successo dell’appuntamento di Paestum (5-7 ottobre), dove circa ottocento donne giovani e meno giovani si sono incontrate per dare nuovo ossigeno al femminismo italiano da una prospettiva radicale. Il tema delle donne in politica è ancora più urgente alla vigilia delle primarie del centrosinistra, dove l’unica donna candidata è Laura Puppato, e con l’avvicinarsi delle elezioni politiche del 2013. È un tema che ritorna, anche con la prossima approvazione delle quote rosa, e che ora si arricchisce di una discussione sulla democraticità del potere che le donne vorrebbero conquistare per modificare i parametri economici e lavorativi decisi dagli uomini per gli uomini.

Entriamo nel vivo: rappresentanza delle donne significa aumentare il numero di esponenti di sesso femminile in politica?
La rappresentanza ha due valenze: la prima è quella che pone la questione del numero e dunque le cosiddette quote rosa. La seconda è l’autorappresentanza, ovvero donne che non rappresentano le altre donne ma fanno politica partendo dalla propria soggettività sessuata. Io preferisco questa seconda opzione e la penso come Lia Cigarini, che ha riproposto un suo vecchio pensiero, vecchio ma attuale, secondo il quale le donne non sono una minoranza da rappresentare bensì la metà della popolazione, e come tali non possiedono interessi comuni perché svolgono mestieri differenti, sono madri oppure no, sono giovani, anziane, di destra e di sinistra. Quando si tenta di riunire le donne in un fronte comune si appiattisce la discussione e questo è accaduto per esempio nella questione di Berlusconi e le ragazze che lo frequentavano ad Arcore. In quella occasione è stata esclusa la libertà e la soggettività di quelle ragazze che, bene o male, avevano deciso di usare il corpo a loro piacimento.

Dunque una quota maggiore di donne in Parlamento, poniamo, non garantisce un avanzamento della condizione femminile?
Il numero non fornisce alcuna garanzia. Lo possiamo vedere negli altri Paesi, ma anche in Italia. Penso alla concertazione sulla riforma del lavoro dove siedevano tre donne: Marcecaglia, Camusso, Fornero. Nessuna delle tre ha espresso una soggettività sessuata, e peraltro nessuna delle tre è stata eletta. Molte delle donne che ora siedono in Parlamento esprimono semplicemente il parere del partito al quale appartengono, non aprono conflitti sulla questione di genere. Oppure, quando sentono che vorrebbero rappresentare le donne, promuovono leggi come le quota rosa, seminari sulla condizione femminile, insomma presentano il nostro sesso come svantaggiato e bisognoso di interventi ad hoc. Insomma, io voterei per una donna non in quanto donna, bensì voglio capire se una candidata davvero si pone il problema della propria soggettività femminile, voglio sapere se è in gamba, se ha coscienza di genere. Ma la questione fondamentale non sono le candidate donne.

Qual è la questione, allora?
Le donne che hanno giustamente voglia di impegnarsi in politica, e io non escludo un mio ritorno attivo, dovrebbero tenere presente che il Parlamento ormai è svuotato di potere e di senso, in quanto tutto il baricentro si è spostato sul governo. Questo naturalmente riguarda tutti, donne e uomini. Io penso che l’aspetto più importante, per una donna che entra a far parte delle istituzioni, sia la sua volontà di rompere la gerarchia maschile e non soltanto proporre temi cosiddetti femminili. E sono convinta che il pensiero della differenza abbia còlto una realtà importantissima della condizione femminile, ovvero che le battaglie per le donne sono centrate spesso sul potere o non potere fare una determinata cosa (un aborto, un divorzio, un figlio in provetta) ma questa impostazione esclude la libertà delle donne stesse, che invece per prima cosa dovrebbero chiedersi: voglio o non voglio (un aborto, un divorzio, un figlio in provetta)? Così come fanno gli uomini, che prima stabiliscono se vogliono una cosa, e poi agiscono sul poterla o non poterla fare. Se le donne dimenticano questa libertà, si continuerà a fare politica sulle loro teste.

Questo implica anche il fatto che molte elettrici non scelgono donne candidate soltanto perché donne.
Certo. E questo rimanda al discorso che abbiamo fatto sulla difficoltà e irragionevolezza di fare delle donne un fronte comune appiattito sull’identità sessuale. È molto più importante ora discutere non soltanto del solito schemino quote rosa sì/quote rosa no, bensì riflettere sulla ricostruzione di una forma democratica che permetta di fare buona politica e di riempire quella forma di contenuti che sono rispondenti alla politica che si fa nella società. Alle eventuali candidate, io chiederei innanzitutto quali pratiche intendono scardinare, quali paradigmi pensano di modificare, quale democrazia e dissenso vogliono incarnare. E non perché vorrei fare un test, ma perché altrimenti avremo rappresentanze deboli e incapaci di confrontarsi coi governi e soprattutto con gli staff tecnici che non vengono eletti e rimangono sempre gli stessi. Il voto non può essere soltanto la legittimazione di chi andrà al potere, come sta accadendo ormai ovunque. Possiamo ignorare che la democrazia rappresentativa è in crisi? Possiamo evitare la discussione su come funziona e cosa può darci oggi? A mio parere, no. E questa, la presenza numerica delle donne, è la vera discussione politica da intavolare.

La crisi della rappresentanza è un problema anche per quegli uomini che non hanno potere. Voglio dire che non è una questione femminile tout court.
È vero. Ma sono convinta che ci può essere una lettura nostra del problema della governabilità. Questa crisi è anche il declino dell’autorevolezza maschile e della capacità degli uomini di essere credibili nella funzione di governo. Questa perdita di credibilità fa parte della crisi dell’identità sessuale degli uomini e mi piacerebbe sapere cosa ne pensano le donne che vogliono impegnarsi in politica o che già occupano poltrone. Finora non le ho sentite parlare di conflitti nei confronti degli uomini e mi preoccupa pensare che il Parlamento ormai venga visto come il luogo dove esprimere soltanto una maggioranza, perché la democrazia è anche scontro delle differenze, conflitto e mediazione. Forse pensano che soltanto un maggiore numero di esponenti femminili garantisca una politica migliore? Si sbagliano. Dobbiamo smetterla di considerarci all’interno di un recinto da difendere. Mi piacerebbe aprire un confronto su questo tema.

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