25 Aprile 2017
il manifesto

NonUnaDiMeno. La forza, l’analisi, la costruzione di uno spazio comune

di Bia Sarasini

Non perdere niente e nessuna, nessuno, questa è la sfida davanti a NonUnaDiMeno, il movimento che dopo lo sciopero globale dell’otto marzo si è riunito a Roma lo scorso 22-23 aprile per una nuova assemblea nazionale.

Una sfida raccolta e rilanciata, tra approfondimenti e discussioni, compresa la capacità di includere orientamenti e punti di vista differenti. Tra gruppi di lavoro e plenarie centinaia di donne, ragazze – anche ragazzi, pur se meno numerosi rispetto agli altri appuntamenti – hanno messo al centro di tutto l’elaborazione del piano femminista antiviolenza, contro la violenza maschile e di genere. Tema trasversale. Ma più che i contenuti del piano, che appare già piuttosto ricco, il vero punto di discussione investe il movimento nel suo insieme.

Si tratta o non si tratta? Il Dipartimento Pari Opportunità è un interlocutore o no? Insomma il piano, e il movimento, sono autonomi, o si inseriscono in un quadro di compatibilità? Non è una domanda inutile, e la risposta non è ovvia. Ribadire l’autonomia femminista delle proprie risposte non è scontato. E soprattutto è significativo che la scelta venga dal confronto, dall’inclusione. Perché non manca il pragmatismo e il piano femminista vuole essere uno strumento di lotta, ma anche ottenere risultati.

Non è un caso che nella plenaria di domenica, tenuta all’aperto sotto il sole nel bel cortile della scuola Di Donato, tra le portavoci dei gruppi di lavoro del giorno precedente sia stata ricorrente la parola “faticoso”. Faticoso ascoltare voci diverse, non cedere alle contrapposizioni, entusiasmante procedere.

Le differenze sono molte, ci sono età, esperienze, tradizioni, culture politiche. Eppure la forza originaria tiene e spinge in avanti. La forza è il punto di vista, l’analisi acuta e tagliente, puntuale e nello stesso tempo inclusiva. Cioè essere partite dalla violenza sulle donne, dal femminicidio. E averla ribaltata. Non più vittime designate, oggetto di una violenza patriarcale speciale e settoriale, separata e distinta da qualunque altra, oggetto di rappresentazione compiaciuta e ricorrente nei media – messa al loro posto delle donne e offerta di un’identità agli uomini, fossero anche salvatori – insomma totalizzazione di un conflitto, raccontato come unico e universale.

La violenza contro le donne è sistemica, dicono i documenti di NonUnaDiMeno, ma non perché naturale rovescio delle relazioni d’amore, la violenza è il volto feroce del neoliberismo e del neocapitalismo che affonda nella vita quotidiana. Il pilastro dello sfruttamento del lavoro e dell’economia, che mascherano la violenza del dominio con la vita soft del consumatore povero deprivato di scelte autentiche. È il filo che lega i diversi temi dei tavoli, dalla violenza alla salute, al diritto, a narrazioni e comunicazione, ai femminismi migranti. A lavoro e welfare.

In effetti una forza enorme di cambiamento, avere un punto di vista comune che guarda il mondo e lo interpreta. Permette di rovesciarlo, non accettarne l’ingiustizia, la struttura del potere. Naturalmente è un processo.

Come è stato per lo sciopero. Una conoscenza che avviene mentre si procede, in quel lavoro – faticoso, parola trasformativa – di tenere insieme, comporre un disegno che non ha una forma precostituita con tasselli tutti necessari e tutti differenti. È proprio quello che manca ai movimenti, alle campagne, per non parlare delle forze politiche più o meno alternative. Una lettura comune, idee comuni che creino uno spazio comune.

L’assemblea di NonUnaDiMeno ha dedicato tempo anche al come organizzarsi, al come decidere, su come coordinarsi, decidendo alla fine che città, ai territori facciano le loro scelte. Il calendario e è molto fitto, mobilitazione in ottobre, 26 novembre, giornata del 27 settembre accogliendo l’invito delle argentine. Tra l’altro attenzione alla legge di stabilità, per intervenire sul welfare. Presidio della sanità pubblica. Mobilitazione sulla pace.

La marcia di NonUnaDiMeno continua.

(il manifesto, 25 aprile 2017)

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