12 Febbraio 2016

Oltre Parigi, 2 febbraio 2016

di Luciana Piddiu

Quando nel 2005 fu pubblicato il romanzo di Kazuo Ishiguro Never let me go, storia di un college inglese in cui vengono allevati adolescenti destinati a fornire organi di ricambio ai soggetti di cui i giovani sono – a loro insaputa – cloni, molti si scandalizzarono. Fu detto che quella rappresentazione di una realtà distopica era generata dalla fantasia malata, folle quasi, dello scrittore anglo-giapponese.

Dopo aver assistito alle Assises di Parigi per l’abolizione universale della maternità surrogata, penso al contrario che lo scenario prospettato da Ishiguro potrebbe fra non molto diventare realtà, a sentire i dati forniti sull’enorme giro di affari che ruota intorno a questo genere di economia. E dove si fanno soldi là si dirige lo sviluppo, se non si adottano misure drastiche atte a contrastare questa, che è a tutti gli effetti una deriva in senso antropologico. L’attenuarsi del senso critico e della capacità di discernimento sotto le picconate dell’ideologia trionfante del libero mercato, sostenuta dai media e favorita dall’individualismo, genera nella coscienza dei più la convinzione: a) che tutto ciò che esiste, solo per il fatto che esiste, vada accettato e legalizzato; b) che non ci sia niente di male ad usare altri esseri viventi come mezzi per soddisfare i bisogni o i desideri propri.

Se avevo qualche dubbio sul turismo procreativo, ammantato di un velo di altruismo, e sulle pratiche che hanno separato il concepimento dalla genitorialità, l’Assemblea di Parigi è servita a togliermelo.

Due interventi mi hanno particolarmente colpito. Quello di Geneviève Azam dell’Università di Tolosa che con puntigliosa precisione, dati alla mano, ha messo in evidenza quella che è stata – a suo dire – una vera rottura del codice etico che caratterizza il percorso del divenire umano. Si tratta dello sviluppo di un’economia che da almeno quarant’anni ha progressivamente ridotto gli umani a risorse biologiche introducendo un processo di reificazione e riduzione a merce dei soggetti. Il tutto è cominciato negli anni ’80 con la pratica della brevettabilità. Sono stati cosi depositati brevetti sugli organismi viventi, geneticamente modificati o meno, sui geni, compresi quelli umani ecc. I bioingegneri – coadiuvati da genetisti di fama – si sono lanciati in questa corsa ai brevetti che rende enormi profitti. La lobby dei medici è parte integrante di questo percorso inedito. La usine à bébé (fabbrica di bebè), la filiera del mercato globale per la produzione di bambini come prodotti di qualità (sono infatti scartati i difettosi e le madri surrogate in questi casi non vengono pagate!) è dopo la riduzione in schiavitù la più grande violenza che si possa immaginare fatta alle donne e ai bambini. Quello scambio – tra chi ordina e commissiona il bambino e chi esegue l’ordine – è una raffinata forma di scambio diseguale, una nuova forma di neocolonialismo. Ma cosa più grave è la completa alienazione del soggetto dal frutto portato in grembo e nutrito. Una dissociazione del sé. L’intervento di Jean Daniel Rainhorn – Università di Ginevra – ha collocato il fenomeno della maternità surrogata e delle varie banche (e non per niente si chiamano così) del seme e degli ovociti nel quadro di un’economia diffusa a livello planetario, che egli definisce propriamente come cannibale. Anche se il cannibalismo è stato tabuizzato come sinonimo di stato di natura selvaggio e antiumano, non lo stesso si può dire dell’economia globalizzata neoliberale che cannibalizza gli esseri viventi sia nella loro interezza (è il caso del traffico di esseri umani, della loro riduzione in schiavitù, della prostituzione, degli uteri affittati) sia parti dei corpi umani (traffico d’organi, gameti, geni ecc.). Il vivente è diventato riserva di materia, egli è visto come assemblaggio di pezzi. E a chi può permettersi di acquistarlo è riconosciuto il “diritto” o la facoltà di farlo. Questo è evidente nell’ambito della medicina dove la domanda di salute e il fantasma dell’immortalità si è fatta via via più pressante da parte del mondo più ricco e affluente. È in gioco il nostro avvenire, ma come hanno ribadito tutti gli interventi di Parigi ieri, anche se ci aspetta un lungo lavoro non dimentichiamo mai che ciò che è giusto è anche possibile. Non stiamo in silenzio, ne va del senso della nostra vita .

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