11 Settembre 2015
#VD3

Parlarne è già politica

Di Betti Briano

 

Per dare nome ‘depressione’ alla propria sofferenza non basta la diagnosi di uno specialista, anzi quando questi pronuncia la parola ti viene da pensare che esagera, in fin dei conti si tratta di un disturbo dovuto al brutto periodo, alla stanchezza o a un eccesso di stress, che presto passerà; ti riconosci depressa quando, magari inconsapevolmente, hai già deciso di reagire a quella sofferenza che comunque intuisci non sia riconducibile ad una comune malattia ma piuttosto a uno stato d’allarme del tuo corpo e della tua mente per qualcosa che non va, dentro ma anche intorno a te.

L’allarme parte infatti quando il fuori non ti corrisponde e anzi ti diviene ostile, ma non capisci perché e ti pare che la sorte, o qualche entità oscura, si diverta a frapporre ostacoli sulla tua strada, oppure quando dentro di te si spezza qualcosa, si interrompe il normale flusso delle emozioni e non ti senti in grado di dare risposte appropriate agli stimoli che arrivano dall’ambiente. Succede così che giorno dopo giorno si forma un diaframma sempre più resistente tra il tuo mondo e quello esterno; tutte le cose che prima facevi naturalmente richiedono sempre maggiore energia e concentrazione, ma le tue forze diminuiscono per cui finisci per economizzare i gesti e restare sempre più spesso inerte, magari a fissare il soffitto o il vuoto; il fuori d’altronde ti fa paura per cui riduci progressivamente i movimenti, smetti prima di andare oltre il quartiere, poi di attraversare la strada e infine di oltrepassare la porta di casa. Perdere padronanza su di te e il controllo sulle cose ti fa sentire avvolta in una spirale che non puoi percorrere se non in discesa, ma se ti resta un po’ di attaccamento alla vita arriva il momento in cui accetti la diagnosi, ammetti di essere proprio depressa, imbocchi la strada della cura ricorrendo alle ‘medicine’ che ti consigliano e speri siano in grado di generare l’energia che ti serve per risalire la china. Se la cura è efficace ti ritrovi a fare la stessa vita di prima convinta di aver capito e di aver anche guadagnato l’immunità da una malattia tanto strana e indefinibile che è meglio chiudere la parentesi e non parlarne nemmeno. Però appena un fatto viene nuovamente ad alterare l’equilibrio che credevi di aver ricostituito, ecco che ricompaiono i sintomi, ormai li riconosci e sai come curarli, ma di solito la cosa si ripete nuovamente anche più volte fino a che devi arrenderti all’evidenza che ti eri illusa circa l’immunità.

A quel punto, se trovi la forza di riprendere in mano la tua vita ti rendi conto che hai due strade: sopravvivere cercando di tenere la depressione sotto controllo o provare a vivere guardando in faccia la ‘malattia’ per interpretare i segnali che attraverso il corpo essa ti manda. Se scegli come chi scrive la seconda via, dopo che avrai riavvolto più volte il film degli avvenimenti (scacchi, diritti negati, una nascita o un cambiamento imprevisto, ecc.) concomitanti con le manifestazioni più acute della malattia, ti nascerà il dubbio che la depressione pur scatenandosi nel tuo corpo non venga proprio generata da esso e ti chiederai se non sia legittimo ipotizzare che prenda invece origine fuori di te, o per lo meno nelle dinamiche tuo rapporto col mondo esterno, e rappresenti una sorta di lingua attraverso la quale il reale nei momenti critici muove verso di te e ti parla. I sintomi che ben conosci, infatti, mentre ti costringono a ‘resettare’ la tua vita da abitudini, ripetizioni e false certezze, segnalano che qualcosa deve cambiare dentro e fuori di te ed è come se ti invitassero ad approfittare del vuoto aperto dalla crisi per far posto ad altro.

La nuova conquista non ti farà cantar vittoria, perché sarà accompagnata dalla consapevolezza che anche qualora riesca a rivoluzionare la tua vita, non guadagnerai ugualmente la via della salvezza se contemporaneamente il contesto non avrà preso a cambiare insieme a te. Se ti guardi intorno d’altronde e constati la diffusione virale della malattia non tardi a realizzare che il messaggio, di cui la depressione si fa portatrice, non è certo rivolto solamente a te ma riguarda tutte le donne e gli uomini e forse segnala che la civiltà, la nostra vita in comune, è giunta ad un punto di criticità tale, che potrà essere superato solo mettendo in campo misure straordinarie, l’intelligenza di capire che cosa va cambiato e tutta la forza di cui siamo capaci. La depressione come ben sai fiacca le forze, ma proprio per questo a volte insegna a guardare all’essenziale, alle ragioni primarie della vita e consente di prendere coscienza di ciò che fa ostacolo e impedisce la libera espressione di sé, la propria realizzazione nel contesto sociale. Difficilmente riuscirai però con i tuoi soli mezzi a rimuovere gli ostacoli, sarà invece necessario che la tua presa di coscienza ‘parli’al di là di te, divenga guadagno anche per altre/i, entri in una dimensione pubblica perché possa compiersi l’alchimia che soltanto la politica è in grado di fare, la mutazione di un malessere individuale e collettivo in forza di trasformazione dell’esistente. C’è da inventare molto ma non devi partire da zero. Devi prendere atto che la politica delle donne ha già dimostrato che partendo da sé si possono costruire relazioni capaci di trasformare la tua vita e insieme il contesto, che mettendo in comune il desiderio di ciascuna con quello delle altre si può mettere al mondo ciò che prima risultava impossibile e quello che prima ti appariva un ineluttabile destino può divenire l’occasione per aprire nuovi orizzonti. Non avrai conquistato l’immunità dalla malattia, ma saprai dare senso oltre che nome alla sofferenza quando arriva.

 

(Via Dogana 3, 11 settembre 2015)

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