16 Settembre 2014
la Repubblica

Quando il Papa parla del sesso dell’anima

di Vito Mancuso

«La nostra piccola anima non si perderà mai se continua a essere anche una donna, vicina a queste due grandi donne che ci accompagnano nella vita, Maria e la Chiesa»: così ieri nell’omelia mattutina ha affermato papa Francesco. Sono parole sorprendenti. Il Papa sostiene forse che l’anima è una donna? Che la nostra anima cioè possiede un sesso e la sua identità è femminile? Oppure si tratta solo di un’immagine poetica, dettata dal fatto che il termine ‘anima’ in italiano e nelle principali lingue occidentali (spagnolo compreso, nonostante l’articolo maschile al singolare) è femminile?…

Quello che è sicuro è che nell’omelia di ieri il Papa ha affermato una delle più tradizionali dottrine cattoliche di sempre, cioè che Maria, madre biologica di Gesù, è anche la madre spirituale di ogni cristiano e che in questa prospettiva anche la Chiesa assume un volto femminile e materno. La Chiesa infatti, «quando fa la stessa strada di Gesù e di Maria», è madre, così che, ha continuato il Papa, «queste due donne, Maria e la Chiesa, generano Cristo in noi». A questo punto però, in analogia con le due donne maggiori, il Papa è giunto a parlare dell’anima umana come di una terza donna, che assomiglia alle prime due anche se è più piccola: «La nostra piccola anima non si perderà mai se continua a essere anche una donna».

Ritorna così la questione: si tratta solo di un’immagine poetica oppure realmente l’anima va pensata al femminile?

La dottrina ecclesiastica sull’anima si può compendiare in tre precise affermazioni che ne dichiarano l’identità, l’origine e il destino. Quanto all’identità, il cattolicesimo pensa l’anima come un’essenza spirituale strettamente unita con il corpo materiale cui conferisce forma, e per questo parla di essa in termini di forma corporis (con evidente eredità aristotelica). Quanto all’origine, la dottrina cattolica sostiene che l’anima viene creata direttamente da Dio senza nessun concorso dei genitori, e che ciò avviene nello stesso istante del concepimento biologico, quando lo spermatozoo maschile feconda l’ovulo femminile (non più quaranta giorni dopo, come affermava san Tommaso d’Aquino e altri insigni teologi del passato).Quanto al suo destino, il cattolicesimo afferma che l’anima è immortale (con evidente eredità platonica), sostenendo che essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo; anzi, essa verrà di nuovo unita al corpo alla fine dei tempi quando i corpi di carne verranno richiamati in vita.

Al di là della plausibilità di queste dottrine da me indagate analiticamente nel libro L’anima e il suo destino, va notata l’assenza nella dottrina cattolica di ogni riferimento al sesso dell’anima. Anzi, essendo l’anima un’essenza spirituale, ed essendo lo Spirito al di là di ogni determinazione sessuale che consenta di parlarne in termini maschili o femminili (l’apposito termine è femminile in ebraico, maschile in latino, neutro in greco), sembrerebbe di dover concludere che l’affermazione di ieri di papa Francesco rientra nell’ambito delle immagini poetiche che i predicatori amano utilizzare nelle loro omelie senza nessuna diretta attinenza alla realtà ontologica dell’anima.

Io però ritengo che non sia così, e al contrario scorgo dietro l’intuizione papale un concetto molto importante che occorre sottolineare e su cui si dovrebbe riflettere attentamente. Per comprenderlo occorre rispondere a due domande, la prima delle quali è la seguente: quale fenomeno fisico portiamo al pensiero quando pronunciamo il termine anima?

Rispondere è decisivo, perché se non si è in grado di mostrare il fenomeno fisico per esprimere il quale è sorto il concetto di anima, tale concetto risulta nulla più che un mitico retaggio del passato. La mia risposta è la seguente: il fenomeno fisico che supporta il concetto di anima è la vita. Vita, ovvero quella particolare disposizione dell’energia che fa sì che un fenomeno fisico (un fiore, un orso) sia “animato”, a differenza di un altro fenomeno fisico (una pietra, una nuvola) che invece è “inanimato”. Il concetto di anima esprime la particolare condizione dell’energia in alcuni fenomeni fisici secondo cui il totale della loro energia non è del tutto condensato nella loro massa materiale, in essi rimane un’eccedenza di energia libera che consente al corpo di muoversi, di essere animato cioè vivente.

Ora la seconda domanda: qual è la logica fondamentale mediante cui si muove quel surplus di energia libera che ci fa esseri vivi e che chiamiamo anima, ma che potremmo anche chiamare vita? La mia risposta è la seguente: è la logica della relazione, dell’armonia relazionale, della cooperazione. La vita non è un fenomeno individuale, ma è da subito un fenomeno sociale, aggregativo: perché essa possa sorgere occorre l’aggregazione di quattro componenti biochimici quali proteine, zuccheri, grassi, acidi nucleici; perché essa possa evolversi occorre l’aggregazione di miliardi di cellule, e poi di tessuti, organi, sistemi di organi; perché essa possa esprimere sapienza occorre l’aggregazione di esperienze e conoscenze. Ne viene che il nome filosofico della vita in tutte le sue manifestazioni è relazione.

E la relazione, eccoci al punto, è l’essenza della femminilità; di ciò che Goethe a conclusione del Faust denomina «das Ewig-Weibliche», l’Eterno Femminile, intendendo con ciò la logica al contempo naturale e divina mediante cui la vita si genera e si diffonde nel mondo, la medesima logica che salva Faust dal patto con Mefistofele donando alla sua anima «il perdono meritato». Anche il gesuita Teilhard de Chardin amava ricorrere al femminile per connotare la logica che muove la materia: «Il Femminino ossia l’Unitivo».

L’anima spirituale è quindi femminile, ha detto bene il Papa, lo è in quanto espressione della logica orizzontale della relazione, ben distinta dalla logica verticale dell’imposizione deduttiva che caratterizza l’archetipo del maschile. Tale consapevolezza del genere femminile della grammatica della vita spirituale si va sempre più diffondendo nel mondo, così che la Chiesa cattolica potrà uscire dalla sua crisi solo aprendosi al mondo femminile in tutte le sue strutture. Ovviamente gerarchia compresa. Il primo passo è il diaconato, e questo è possibile anche domani solo che il papa lo voglia davvero e non siano solo retorica omiletica le sue parole sulla femminilità della Chiesa. Non sarebbe ora di mettere fine al paradosso di una Chiesa che è donna, e la cui gerarchia è composta solo da maschi?

(la Repubblica, 16 settembre 2014)

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