5 Agosto 2019
Sette

Sheryl Sandberg: «Io decido da leader, non da donna femminista»

La direttrice operativa di Facebook, 49 anni, si racconta: l’ambizione che coltiva sin da ragazzina, la filosofia del “Lean In”, il lavoro con Mark Zuckerberg e la perdita del marito, la sua «roccia»

di Martina Pennisi e Barbara Stefanelli

Sheryl Sandberg: «Io decido da leader, non da donna femminista»

«Se potessi parlare a me stessa diciottenne, mi direi di non nascondere il titolo di “alunna predestinata al successo” (Most Likely to Succeed) dall’annuario solo per ottenere un invito al ballo di fine liceo». Era il 1987, Sheryl Sandberg si stava per diplomare alla North Miami Beach Senior High, in Florida. La scuola la congedava con l’encomio speciale di futura ragazza leader. Lei poi sarebbe andata a studiare economia a Harvard. Peccato che in quel momento, in quell’estate della Maturità, l’unico pensiero della ragazza Sheryl non fosse il percorso che la porterà – dopo la laurea con lode – a diventare una delle donne più potenti al mondo e la direttrice operativa di Facebook, cioè la persona che deve assicurarsi che la società da più di 500 miliardi di dollari di capitalizzazione faccia sempre (più) soldi. L’ossessione era: «Chi vorrà mai arrivare al ballo con una super secchiona?». Nessuno, si rispose. E decise: via l’etichetta dall’annuario. Funzionò, come scrive in Lean In (Facciamoci avanti, nell’edizione italiana), il libro-manifesto pubblicato nel 2013. Finì che «un tizio divertente e sportivo» la invitò, salvo darle buca due giorni prima. «Oggi non mi comporterei così e spero che mia figlia e le sue coetanee siano orgogliose (e basta) di essere destinate al successo. E se ancora ci sono ragazzi che non reggono l’ambizione e la forza al femminile, vorrei dire alle teenager di oggi: lasciateli, non uscite con chi non vi accetta così come siete».
Questo è quello che pensa e vuole comunicare Sheryl Sandberg, a poco meno di un mese dal suo cinquantesimo compleanno. Siamo nella sede milanese di Facebook, al quarto piano di un palazzone a 400 metri dal Duomo, con la vista sugli stessi iconici tram che circolano a San Francisco, affacciata sulla baia a 50 chilometri dal quartier generale di Facebook a Menlo Park.

Questa è la prima visita ufficiale, ma era già stata in Italia?
«Certo, chiunque farebbe più viaggi possibile qui, no? Sono stata a Milano, Roma, Firenze. Un Paese fenomenale per gli affari, e per il cibo. Sono venuta l’anno scorso in vacanza con i miei due figli. Questa volta annuncio un investimento e l’obiettivo di avvicinare 100 mila italiani al digitale entro il 2019. Non vogliamo che nessuno rimanga indietro. La tecnologia ha un incredibile potere di cambiarti la vita, ma bisogna essere in grado di usarla», dice d’un fiato.
Siamo al riscaldamento: più che un confronto alla Frost/Nixon, ci aspetta ora una partita a poker. Quello delle epiche sudate davanti ai giornalisti è Mark Zuckerberg, informatico geniale e un po’ impacciato che nel 2007 rimase folgorato da Sandberg durante una festa di Natale e poi fece di tutto per strapparla a Google, dove era stata decisiva nella creazione della piattaforma in grado di cambiare per sempre il mondo della pubblicità. Lei – che prima di Google aveva lavorato come capo dello staff di Larry Summers, segretario del Tesoro nell’amministrazione Clinton – è l’opposto. Brillante, asciutta, concentrata.
«Vengo meglio se non sorrido». «Vengo meglio di tre quarti», dice al fotografo prima dell’intervista. È muscolare, nella mente e nel fisico stretto in una gonna rossa di pelle e in una maglia nera elasticizzata.

Si allena tutti i giorni?
«Sì, tutti i giorni, per me è importante. Come dormire». Dopo l’improvvisa morte del marito Dave Goldberg, nel 2015, lo spiegò subito: lo sport è uno strumento per superare il lutto e rimettere in circolo le energie. Stimola resilienza, che è il vero muscolo da allenare per uscire dalla depressione. Non solo: «Può aiutare le ragazze a trovare la fiducia in sé stesse. Le nostre calciatrici ai Mondiali femminili di calcio, per esempio: è fantastico vederle, guardarle all’opera».
Alex Morgan e compagne si misurano su 110 x 70 metri di campo. Con Sandberg c’è solo una scrivania bianca da attraversare, consapevoli di conoscere le nostre carte e soprattutto le sue. Con Facebook, Instagram e Whatsapp sta plasmando i nuovi modi di comunicare: la sovraesposizione mediatica la obbliga a periodiche uscite pubbliche con un codice ormai noto ed esercitato. Frasi brevi, chiare, rassicuranti, qualche colpo ad effetto. La Rete ne è piena. Sempre le stesse e in linea con le esternazioni di Zuckerberg e degli altri top manager del gruppo, e persino del resto della Silicon Valley.
Alle donne ha iniziato a parlare nel 2010, invitandole con un Ted Talk a non farsi condizionare, non tanto e non solo dalla maternità, quanto dall’idea stessa di rimanere incinte e avere un bambino: «Quando una donna comincia a pensare a un figlio, subito si chiede “ma come farò a fare tutte le altre cose che faccio ora?” E da quel momento, sbagliando, si tira indietro», si infervora nel video che su YouTube è stato visto oltre 9 milioni di volte.

Siamo nel post #MeToo, il movimento di denuncia delle molestie nei luoghi di potere che è partito nel 2017 con le accuse al produttore di Hollywood Harvey Weinstein. Sta aiutando o comunque condizionando la corsa delle donne che cercano di chiedere, pretendere e negoziare sul lavoro?
«Prima di tutto voglio dire che #MeToo è un movimento davvero importante. Ne abbiamo bisogno, non importa in che forma: in tutto il mondo, ovunque, nel vostro Paese, nel mio, le donne sono state molestate troppo spesso e per troppo tempo sul lavoro. Il problema c’è ancora ed è molto profondo, tuttavia dobbiamo essere chiare con gli uomini: non molestarci è un bene, ma non è sufficiente. Non dovete molestarci e non dovete ignorarci».

Negli Stati Uniti, i dati di una ricerca mostrano come il 60% dei manager maschi sia preoccupato all’idea di svolgere «un’attività individuale» con una donna, compresa una riunione.
«Mi chiedo: “È possibile essere promossi da qualcuno che non vuole avere un incontro con te?” La risposta è facile: no. Se non possiamo ottenere un incontro non possiamo ottenere una promozione. Per timore di denunce, gli uomini senior sono sei volte più esitanti a cenare con una donna junior. Cenare non vuol dire stare in un appartamento, cenare significa trovarsi al ristorante, dove ci sono altre persone. Io dico: se non siete disposti a cenare da soli con una donna, non cenate neppure con un uomo. Fate pasti di gruppo piuttosto».
Poi, esplode in una risata: «Oppure non mangiate affatto».

Sheryl Sandberg: «Io decido da leader, non da donna femminista»

La collaborazione degli uomini però è fondamentale.
«Alcuni partecipano anche ai nostri circoli, che si ispirano alla filosofia del “Lean In” e sono aperti a tutti, solo che per gli uomini “farsi avanti” deve voler dire sostenere le donne sia a casa sia sul lavoro. A casa c’è un’ottima ragione per farlo: il tuo matrimonio ne beneficia, fai più sesso. Agli uomini dico: “Se vuoi fare più sesso non comprare dei fiori, fai la lavatrice”. Una volta l’ho detto in tv e il più grande venditore di fiori degli Stati Uniti mi ha mandato un mazzo enorme chiedendomi se non potessi consigliare entrambe le cose. Ho risposto va bene, certo, posso farlo».
Questo è l’argomento di cui preferisce parlare, il biglietto da visita con cui lei si fa avanti: Sheryl Sandberg, femminista, autrice di Lean In e fondatrice della non profit collegata LeanIn.Org, 43 mila circoli (70 in Italia) di donne che si incontrano regolarmente per confrontarsi. Michelle Obama – una a dire il vero perfetta leaniner, in equilibro fra l’immagine dell’impegnata rassicurante first lady e quella dell’arrembante indipendente donna di successo da 10 milioni di copie vendute (dell’autobiografia Becoming) – ha derubricato l’iniziativa di Sandberg: «Questa robaccia (shit, in inglese) non funziona sempre: le donne non possono avere tutto». Leggi: non tutte le donne partono dalla condizione di poter rincorrere la carriera cercando di bilanciarla con la vita privata. Quello della numero due di Menlo Park è una sorta di femminismo del e nel Capitale, che si rivolge a chi può concentrarsi sul raggiungimento dei propri obiettivi in ambienti di lavoro ostici.

Negli ultimi due anni e mezzo, così impegnativi per Facebook, dichiararsi femminista è diventata un’arma a doppio taglio? Si è sentita giudicata diversamente da Mark Zuckerberg, per quello che avete fatto o detto in difesa della vostra azienda, in quanto donna e per molte/i icona globale?
«Mark e io abbiamo una grande responsabilità, dobbiamo proteggere la libertà di parola e di espressione, le elezioni e le opinioni; ed è giusto che ci giudichino duramente. Io sono orgogliosa del lavoro che ho fatto come femminista. Mi hanno detto e ripetuto che prendere questa posizione avrebbe rovinato la mia carriera, che non sarei più stata presa sul serio. Io sono felice, tutto considerato, di aver preso posizione. Le donne che sono venute prima mi hanno reso le cose più semplici, hanno preparato il terreno. So benissimo che dicendo qualunque cosa, da donna, sarò giudicata diversamente. È un male? Senza dubbio. Ma è così: lo chiamano “doppio standard”. Fin da piccole, se le bambine sono ambiziose, se si esprimono, vengono definite prepotenti e suscitano disagio. Cosa che non accade con i maschi, quasi mai».

Quindi le decisioni che ha preso, soprattutto negli ultimi due anni e mezzo così difficili, le ha prese da leader e basta?
«Sì, andavano prese. E basta».
Il terremoto che ha investito le fondamenta di Facebook è iniziato nel novembre del 2016, con l’elezione di Trump e le accuse al social network di aver permesso ai russi di influenzare il dibattito elettorale americano. Subito dopo è esploso lo scandalo di Cambridge Analytica, che ha messo a nudo i meccanismi dell’economia (digitale) basata sui dati che cediamo gratuitamente e la superficialità con cui viene trattata la nostra privacy. A questo punto sono scattate le inchieste dei media su come Zuckerberg e Sandberg hanno gestito la faccenda, con lei che ha commissionato un’indagine (prima negata, poi ammessa) sull’azionista “scomodo” George Soros, e sono partite le audizioni davanti al Congresso americano. L’ultima grana sono le richieste pressanti di spacchettare Facebook: capofila dell’offensiva è la senatrice in corsa per la Casa Bianca Elizabeth Warren, che nell’immaginario americano potrebbe diventare l’antagonista – donna, economista, democratica – di Sheryl Sandberg.

Cosa è cambiato per voi e per lei?
«La cultura dell’azienda è cambiata. Prima di tutto, stiamo lavorando a stretto contatto con i governi, è il passaggio più importante dal 2016. Poi, stiamo investendo molto di più in sicurezza. Lo facevamo anche prima, non abbastanza, perché non avevamo previsto alcuni rischi. Adesso abbiamo 30 mila persone che lavorano in tutte le lingue del mondo per prevenire i danni alla comunità. Molto del nostro lavoro è mutato. Anche il mio: prima passavo la maggior parte del tempo a lavorare sulla crescita, sul business, adesso priorità è la prevenzione. Ho sempre fatto entrambe le cose, ma ora gli equilibri si sono invertiti».
Questo percorso critico è fotografato dalla classifica delle donne più potenti del mondo: nel 2017 Sandberg era appena sotto il podio. L’anno scorso, mentre la reputazione di Facebook si incrinava e il Congresso Usa reclamava risposte, è scivolata di sette posizioni. La verità è che il suo potere sulle nostre vite è rimasto intatto, anche paragonandola a chi ora la precede in graduatoria. Nell’ordine, la cancelliera tedesca Angela Merkel, l’ex premier britannica Theresa May o Christine Lagarde, direttrice generale del Fondo monetario internazionale. Chi di loro prende decisioni che hanno un effetto immediato sulla vita quotidiana di oltre 2,7 miliardi di persone? In lista non c’è (più) Marissa Mayer, la prima ingegnera assunta da Google che nel 2012 ha preso le redini di Yahoo! proponendosi come alternativa di successo al machismo della Silicon Valley. Poi ha mentito sugli attacchi hacker e ha svenduto l’azienda. E non c’è neanche Hillary Clinton, alla quale Sandberg sembrava pronta a unirsi in caso di vittoria in quello sciagurato (per Facebook, per casa Clinton e per le donne) novembre 2016. Ha perso ed è uscita di scena, mentre la numero due del colosso di Menlo Park potrebbe decidere da un giorno all’altro – con Zuckerberg – di eliminare davvero il contatore dei cuori su Instagram. Sembra una banalità, ma se i due dovessero procedere non vedremmo più sotto le foto quante persone le hanno apprezzate: ridurremmo così i continui confronti con la popolarità altrui di cui i social network ci hanno reso ostaggi. Non solo cuori.
Sandberg sarà determinante nello sviluppo di Libra, la criptomoneta annunciata a metà giugno che ha già sollevato un’alzata di scudi di banche centrali e organismi di monitoraggio finanziario. Se Zuckerberg può permettersi di fare annunci e marketing, lei deve pesare parole che hanno un effetto persino superiore a quelle del fondatore: è stata l’allieva di Summers, lo stesso che – anni dopo, da rettore a Harvard – avrebbe sostenuto che gli uomini sono più forti delle donne nelle materie scientifiche «per motivi biologici».

Facebook sfrutterà Libra per cambiare il suo modello di business e non essere troppo dipendente dalla pubblicità online?
«Come Facebook non stiamo lanciando qualcosa di nostro, facciamo parte di un’associazione di 27 aziende. La buona notizia è proprio che c’è questa collaborazione. Stiamo lavorando con i regolatori di tutto il mondo, per ora non abbiamo molti dettagli. C’è un po’ di preoccupazione diffusa perché non possiamo descrivere un prodotto finito. Questa volta noi abbiamo annunciato cosa vogliamo fare, ma dovremo lavorare con gli altri per realizzarlo».
A tavoli conclusi, e regolatori permettendo, quello delle transazioni di denaro potrebbe essere un nuovo capitolo che porterà il colosso californiano anche nei portafogli dei suoi 2,7 miliardi di iscritti.
Per capire come Sandberg è arrivata fin qui e da qui andrà avanti, sopravvivendo dove e mentre altre hanno dovuto cedere il passo, vale la pena fare un ultimo salto indietro e tornare alla prima scossa di quel sisma che si sta tuttora assestando: al novembre 2016, quando Zuckerberg dichiarò che il 99 per cento dei contenuti postati su Facebook «è autentico», difendendosi goffamente dalle primissime accuse di aver agevolato la disinformazione. Allora Sandberg aveva perso il marito da sei mesi. Nel Ted Talk del 2010 diceva: «Fai del tuo partner un vero compagno di vita». Lei, dopo un matrimonio fallito, come compagno di vita aveva scelto il suo migliore amico, un ex collega che per primo le aveva mostrato cosa fosse Internet. Dave Goldberg cadde sul tapis roulant, mentre era in vacanza in Messico con la famiglia, a 47 anni. In una struggente lettera pubblicata quattro giorni dopo, Sandberg scrisse: «Era la mia roccia. Quando ero agitata, lui rimaneva calmo. Quando ero preoccupata, mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Quando ero incerta, mi aiutava a risolvere il problema».

Perdere la sua roccia ha reso più difficile svolgere il ruolo di leader?
«Penso di sì, allo stesso tempo penso di essere diventata più forte e decisamente più empatica. La prova più dura è crescere i nostri figli da sola (un maschio di 14 anni e una femmina di 11). Ho imparato molto da quello che è successo: è più difficile farmi arrabbiare, ho più controllo. Si chiama PTG, Post Traumatic Growth, crescita post traumatica, il contrario dello stress post traumatico. Certo, avrei preferito “crescere” in un altro modo, ma quando subisci un trauma come il mio puoi trovare una grande spinta nella consapevolezza che quella cosa, quel tormento ti sta fortificando. Quindi, sì, sono più forte. Quasi tutto, letteralmente quasi tutto quello che mi può capitare non potrà essere poi così male».


(Sette, 5 luglio 2019)

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