30 Maggio 2013
Il Fatto Quotidiano

Sì alla legge antifemminicidio

di Sandra Amurri


Ieri mentre a Corigliano Calabro si celebravano i funerali di Fabiana Luzzi, 16 anni, uccisa da un suo coetaneo, la Camera ha approvato all’unanimità, 545 voti a favore, la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta nei confronti delle donne e la violenza domestica siglata a Istanbul nel maggio del 2011. Disegno di legge che dovrà, ora, passare l’esame del Senato. L’aula di Montecitorio ha salutato l’esito del voto con un lungo applauso. Il testo prevede il contrasto a ogni forma di violenza, fisica e psicologica sulle donne, dallo stupro allo stalking, dai matrimoni forzati alle mutilazioni genitali e un forte impegno sul fronte della prevenzione, avendo come obiettivo il contrasto a ogni forma di discriminazione e promuovendo “la concreta parità tra i sessi, rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne”.


Uno strumento internazionale giuridicamente vincolante di protezione delle donne che prevede anche un’ampia rete di assistenza per le vittime di violenza. IN ORDINE, l’Italia è il quinto Paese ad aver ratificato il testo della Convenzione dopo Montenegro, Albania, Turchia e Portogallo ma affinché la Convenzione sia applicata occorre che venga sottoscritta da almeno 10 Stati di cui 8 debbono essere componenti del Consiglio d’Europa. “Con l’approvazione di oggi della Ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa, si apre uno scenario più incisivo per il nostro governo nel contesto europeo e internazionale nella lotta al femminicidio”, ha spiegato la parlamentare italo-brasiliana Renata Bueno, membro della commissione Esteri della Camera.


“La Convenzione è importante perché incardina il fenomeno della violenza sulle donne come violazione dei diritti umani e istituisce la perseguibilità penale degli aggressori”. Mentre Save the Children auspica che, di pari passo con la riforma normativa, venga garantito uno stanziamento di risorse economiche finanziarie adeguate a rafforzare la rete dei servizi e ad attuare politiche integrate, misure e programmi destinati a prevenire e combattere ogni forma di violenza, come ad esempio il ripristino del fondo contro la violenza alle donne, e l’istituzione di un apposito fondo per garantire una piena tutela e un indennizzo equo e adeguato alle vittime di reati intenzionali violenti”. C’è inoltre da augurarsi che gli accordi tra i vari Stati vengano tradotti in piani di intervento concreti affinché siano tutelate tutte le immigrate perché la violenza sulle donne non conosce colore della pelle, età o confini geografici. Voto, quello della Camera, che il ministro per l’integrazione, Cécile Kyenge ha definito “benefico” perché incoraggia, in quanto “non potremo mai assuefarci all’orrore di gravissimi fatti di cronaca contro le donne, ma neanche alle tante e continue violenze domestiche e nei luoghi di lavoro”.


RESTA la vergogna dell’aula quasi deserta durante la discussione di lunedì scorso, presenti solo i deputati del M5S e pochi altri nonostante il femminicidio sia un tema così caro ai politici che per disquisirne si contendono i talk show. Scampato anche il pericolo che venisse incluso l’articolo 3 della Convenzione secondo cui “la violenza nei confronti delle donne” comprende “tutti gli atti di violenza fondati sul genere” allargando il fronte anche alle coppie gay come auspicato da alcuni esponenti del Pd e da Sel. Paola Binetti di Scelta Civica aveva già messo le mani avanti invitando a evitare “ambiguità”, mentre Dorina Bianchi del Pdl aveva precisato che la questione non era “prioritaria”, anzi era “inopportuna” anche per i costi sul Welfare e il parlamentare di Scelta Civica, l’ex portavoce della comunità di Sant’Egidio, Mario Marazziti aveva sottolineato come la definizione di genere della Convenzione approvata dal Consiglio d’Europa fosse troppo ampia. Mentre l’Avvenire ha tenuto a rassicurare i lettori che il voto di ieri non prevedeva modifiche o emendamenti come a dire, appunto, che non vi sarebbe stata la scongiurata ipotesi che venisse inclusa la definizione di genere prevista dall’articolo 3 della Convenzione.

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