5 Agosto 2019
Corriere della sera

Sindaca, assessora, revisora: al varo le desinenze femminili al Comune di Milano

di Pierpaolo Lio


Ormai una giunta fa, Chiara Bisconti fu irremovibile: «Chiamatemi assessora, non assessore». Una scelta da alcuni appoggiata, da altri ignorata, da qualcuno derisa. Otto anni dopo però il Comune decide di prendere posizione. E se «la forma è sostanza», la parità di genere deve rispecchiarsi anche nel lessico dell’amministrazione. L’effetto immediato è la delibera che dà il via libera non solo ai comuni direttrice o funzionaria, ma anche ai più «inusuali» assessora, revisora e (per il futuro) sindaca. Servirà invece un lavoro mastodontico per ottenere l’altro obiettivo: la revisione complessiva di tutti i testi amministrativi in vigore, oltre che della modulistica diretta «alle utenti e agli utenti» dei servizi comunali e l’adeguamento di tutta la comunicazione istituzionale e amministrativa di Palazzo Marino e delle società partecipate. «Ogni volta che nel dibattito politico si introduce il tema del linguaggio, si corre il rischio di una levata di scudi e di inutili irrisioni», riflette l’«assessora» alle Politiche per il lavoro e risorse umane, Cristina Tajani: «Questione non prioritaria, si dice, forzatura di formule neutre, mentre non ci si rende conto quanta violenza ci sia nel voler declinare al maschile ruoli e funzioni svolti da donne e per cui la grammatica non ha dubbi di sorta». All’inizio di questo mandato, in commissione congiunta Affari istituzionali e Pari opportunità fu infatti battaglia. Tutta al femminile.
Con le rappresentanti del centrodestra all’attacco della proposta firmata da centrosinistra e dalla pd Diana De Marchi al grido di «Chissenefrega», mentre l’allora capogruppo pentastellata Patrizia Bedori denunciava la spesa in gettoni di presenza «per discutere di quello che è un diritto». È forse ricordando anche quello scontro che l’«assessora» Tajani dice: «L’alibi delle priorità è sempre usato in ottica conservatrice». Invece «scrivere la realtà per quella che è, è un tema di giustizia, nulla di più». E rassicura: «Per concepire questa delibera, che recepisce una giusta e a lungo ignorata legge nazionale, nessuna importante e urgente questione è stata trascurata». È dello stesso avviso il collega di giunta Lorenzo Lipparini (Partecipazione): «Occuparsi di linguaggio è un’azione molto concreta perché non c’è cambiamento che non passi da un utilizzo consapevole di termini e parole. Questa delibera affronta il tema della discriminazione, a partire dagli aspetti linguistici».A supervisionare la rivoluzione, insieme alla delegata del sindaco alle pari opportunità Daria Colombo, sarà poi un «tavolo permanente» che avrà il compito di «diffondere una maggiore consapevolezza del divario di genere e una cultura linguistica appropriata» e realizzare un programma di formazione dei dipendenti, «a tenore culturale e linguistico».


(Corriere della sera, 5 agosto 2019)

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