12 Giugno 2015

Tim Hunt. Un premio Nobel dice i suoi problemi soggettivi e il femminismo della parità lo licenzia

di Clara Jourdan

 

Il 9 giugno scorso, al Congresso mondiale dei giornalisti scientifici in Corea del Sud, il premio Nobel per la medicina 2001 Tim Hunt ha parlato della sua difficoltà di uomo a lavorare con le donne: «Ti innamori di loro, si innamorano di te, e quando le critichi piangono» e ha proposto di creare laboratori separati per uomini e donne. Dopo le polemiche subito divampate, il 72enne luminare si è detto molto, molto dispiaciuto, che non voleva offendere, solo essere onesto.

Il giorno dopo Tim Hunt si è dimesso da professore onorario. In un comunicato dell’11 giugno, arriva la conferma dell’University College of London, con questa spiegazione: «La nostra università è stata la prima ad ammettere studentesse donne dando a loro pari dignità che agli studenti maschi. E la nostra istituzione crede che questo esito [le dimissioni] siano compatibili con la politica di eguaglianza di genere che stiamo portando avanti». Cari signori, voi non avete capito niente!

Che venga data importanza anche mediatica ai temi e alle parole del rapporto tra i sessi in tutti i contesti, come ha fatto il premio Nobel, è una conquista del femminismo e va salutata come tale. E che la conclusione della vicenda siano le dimissioni, sia pure da un posto onorario, oltre ad essere preoccupante per la libertà di discussione vuol dire che gli sforzi per cancellare il femminismo in nome dell’uguaglianza continuano. Infatti il dibattito in internet sulle parole del professore è stato inteso come uno scontro tra fautori del Politicamente Corretto e fautori del Politicamente Scorretto (www.lastampa.it, 11 giugno 2015). E le parole del comunicato dell’Università sembrano confermare che la questione viene considerata chiusa, nei termini di “eguaglianza di genere”, e chi la riapre deve essere escluso.

Ma non è per mettere a tacere i problemi del rapporto tra i sessi che le scienziate hanno combattuto, dentro e fuori i laboratori, per poter fare il loro lavoro. Al contrario, molto hanno detto e scritto, dagli anni Settanta in poi, sui problemi creati dal modo di lavorare degli uomini e sui conflitti che le donne hanno dovuto aprire con i loro colleghi. Perché in gioco non c’è l’uguaglianza, c’è la differenza femminile, il suo apporto alla scienza, come abbiamo capito dalla famosa biografia che Evelyn Fox Keller ha scritto di Barbara McClintock, premio Nobel per la medicina 1983.

Che degli scienziati comincino ad ammettere pubblicamente i loro problemi di relazione con le donne è un passo avanti, non indietro.

 

(www.libreriadelledonne.it, 12 giugno 2015)

 

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