29 Gennaio 2017
La Stampa

Togliere i bambini ai genitori criminali è un grosso errore

di Michela Tamburrino

Suona come uno schiaffo in faccia la dichiarazione del procuratore generale di Napoli. Almeno alle orecchie di Bruno Mazza, un padre suicida, 11 anni di carcere e oggi attivo nell’associazione «Un’infanzia da vivere» che, nell’hinterland napoletano, aiuta i bambini in difficoltà com’era lui. In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Castel Capuano, il pg Luigi Riello ha sostenuto che per recuperare i giovani inseriti fin da piccoli in un contesto criminale bisogna considerare l’ipotesi «di sottrarre i minori alle famiglie in cui li si induce e insegna a delinquere, previa limitazione della potestà genitoriale se padre e madre sono incapaci di indirizzare il figlio al rispetto delle regole e a tutelarlo».

Una dichiarazione di buon senso, no?

«Assolutamente no. In questo modo si andrebbe ad aggiungere orrore a orrore. Ed è pazzesco pensare che la soluzione invece sarebbe molto più semplice di quanto invece non si pensi».

E quale sarebbe questa soluzione ? E perché non sarebbe stata attuata?

«Spesso le soluzioni più semplici contrastano con gli interessi economici di chi lucra lasciando la situazione inalterata. Mi lasci prima spiegare qualcosa di me che forse può chiarire».

Mi dica. «Avevo 14 anni quando mio padre è morto suicida. Abitavo in una zona di Caivano, Parco Verde, sorta dopo il terremoto del 1980, con case parcheggio che sarebbero dovute durare il tempo del riassestamento. Da 35 anni non sono mai state sostituite. Io avevo problematiche legate alla mio vissuto e non ero il solo. La scuola allontanò me e i miei compagni perché eravamo rumorosi. Eravamo quattordici amici, dodici sono morti, nessuno ci insegnava la legalità».

Allora è giusto togliere i bambini a queste situazioni di degrado.

«Al Parco Verde siamo 8000 abitanti, solo il 3% vive nell’illegalità da più di vent’anni. l’11% lo fa per fame, per mancanza di alternative. Il 35% di disoccupati e il 20% che delinque. Perché non si interviene offrendo lavoro? Quanto costa militarizzare un quartiere? Perché non spendere gli stessi soldi per dare occupazione e aprire scuole in grado di preparare i giovani al lavoro?»

Perché secondo lei?

«Perché non conviene, perché il sistema legalità ha bisogno del sistema illegalità. La mia detenzione costa cara al contribuente e garantisce più poliziotti, più divise, più commissioni, più armi e c’è di più».

Che cosa?

«Le guerre dei clan si fanno per la droga. Ma la droga, quella che rende, eroina e cocaina, non si produce a Napoli. Arriva dall’America del Nord e del Sud. Quante dogane farà? Al minimo tre. Possibile che non si riesca a fermare prima che sbarchi? Perché non controllano le frontiere? Invece no, non conviene. Tanto a Napoli ci si arrangia da cinquecento anni. Altro che strappare i bambini alle famiglie difficili, incentiviamole invece a non delinquere con il lavoro. Togliere la potestà genitoriale equivale a dare il colpo finale, così perdono tutto, sono condannati a vita».

Lei con la sua associazione che cosa fa?

«L’associazione nasce nel 2008, io ero uscito dal carcere da poco e vedevo i bambini fare le stesse cose che facevo io alla loro età. Da noi a 4 anni ne dimostri 7. A 7, 14. Non hai giochi, non hai nulla per esercitare il tuo diritto all’infanzia. Abbiamo creato un centro sportivo che mancava da 30 anni, in posti strappati alle piazze di spaccio, abbiamo formato dei laboratori culinari per entrare nel mondo del lavoro. Ci siamo costituiti cooperativa sociale per la manutenzione del verde e siamo impegnati in un protocollo di risanamento nella Terra dei fuochi».

Aiuti alle famiglie e poi?

«Soprattutto una scuola che sappia essere accogliente anche con chi ha problemi».

(La Stampa, 29 gennaio 2017)

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