7 Febbraio 2017
il manifesto

Un nuovo umanesimo in Laguna

di Arianna Di Genova

Biennale. «Viva arte viva»: l’esclamazione della 47/ma Mostra internazionale a Venezia, a cura della francese Christine Macel

Centoventi artisti da cinquantuno paesi di cui centotré presenti per la prima volta in Laguna. Sono i numeri della 47/ma Esposizione d’arte internazionale di Venezia, curata da Christine Macel e che va sotto il titolo Viva Arte Viva (apertura al pubblico dal 13 maggio). Tra gli invitati all’abbuffata visiva troviamo il francoalgerino Kader Attia, il londinese Cerith Wyn Evans, lo scultore e performer nigeriano Atiku Jelili, il danese-islandese Olafur Eliasson, ma anche il brasiliano Ernesto Neto, il giapponese Shimabuku, un omaggio a Maria Lai, l’italiano (ma vive a Londra) Salvatore Arancio, l’indiana Rina Banerjee, la messicana Cynthia Gutiérrez.

AI GIARDINI, fra le partecipazioni nazionali con ottantacinque paesi – Tracey Moffatt per l’Australia, Mark Bradford per gli Stati Uniti, Antonio Ole per l’Angola, Candice Breitz per il Sudafrica, Cevdet Erek per la Turchia, Phyllida Barlow per la Gran Bretagna, solo per citare alcune presenze – ci saranno quattro new entry: Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria, Kazakistan (quest’ultimo già presente in altre edizioni, ma qui viaggia in «solitaria»).
L’Italia avrà al timone del suo padiglione Cecilia Alemani: vive a New York (con Massimiliano Gioni, suo marito) dove cura gli eventi di arte pubblica della High Line. Da tempo, ha sfoderato la sua rosa di nomi da Biennale. L’idea è quella di una vera mostra, senza cedimenti di fronte alla tentazione di presentare una enciclopedia della creatività nazionale. Niente affollate tribù dunque, ma un bel tris nella manica: Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey.

L’arte come giardino da coltivare, baluardo da difendere per un nuovo umanesimo «resistente» e, in un certo senso, potente antidoto rispetto quanto accade è il cardine teorico che rivendica la curatrice della Mostra Christine Macel. Parigina, ha insegnato arte contemporanea all’Ecole du Louvre e vanta un background di rassegne importanti al Pompidou (da Dionysiac a Anri Sala, Sophie Calle, Nan Goldin) e al Musée national d’art moderne, mentre a Espace 315 – galleria dedicata a giovani artisti, sempre al Pompidou – ha portato Koo Jeong-A, Pawel Althamer, Damian Ortega.
Dalle sue dichiarazioni, emerge una fiducia illimitata nella forza della cultura. «L’arte è il luogo per eccellenza della riflessione, dell’espressione individuale e della libertà, così come degli interrogativi fondamentali – ha affermato Macel -. Rappresenta un’alternativa all’individualismo e all’indifferenza». L’accento è posto su due termini apparentemente in contrasto, otium e negotium.

L’OSSATURA DELLA RASSEGNA prevede anche dei «transpadiglioni»: qui, dipanata in nove capitoli, si narrerà la complessità del mondo, indagando temi imprendibili come il tempo (ma anche l’infinito) e immaginando sempre l’artista come demiurgo. Ci sarà anche una «Tavola aperta», una serie di pranzi condivisi con il pubblico in cui ogni artista potrà dialogare sul proprio lavoro.
Fra i progetti più interessanti va segnalato La Mia Biblioteca, ispirato al saggio di Walter Benjamin del 1931. I partecipanti alla rassegna stilano una lista con le loro letture preferite, offrendo una fonte d’ispirazione ai visitatori. Il progetto è visibile nel Padiglione Centrale, così come nel catalogo (nello Stirling ci saranno i volumi indicati, messi a disposizione del pubblico).

(il manifesto 7 febbraio 2017)

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