6 Settembre 2014
il manifesto

Una cartografia di passioni fra “Ragione e sentimento”

 

di Alessandra Pigliaru 

 

 «Joyce accanto a lei è più innocente dell’erba. / Mi mette in imbarazzo lo scoprire / una zitella inglese della media classe / descrivere gli effetti amorosi del ‘contante’,/ rivelare francamente e con tale sobrietà / le basi economiche della società».La signorina di cui sta parlando il grande poeta Wystan H. Auden è Jane Austen, impeccabile e sempre appropriata per Edith Wharton, e la più grande scrittrice di tutti i tempi secondo Tomasi di Lampedusa. Sul suo genio molto è stato scritto ma l’ultimo volume di Liliana Rampello Sei romanzi perfetti. Saggio su Jane Austen (Il Saggiatore, pp. 208, euro 18) risponde a una lettura inedita che si muove all’interno della critica letteraria con libertà e grazia. Letti lungo i tre capitoli da cui è composto il volume, i romanzi dipanano e moltiplicano l’incanto delle pagine di Austen.

A puntellare l’arco del primo capitolo sono Elinor e Marianne Dashwood (le sorelle di Ragione e sentimento) e Anne Elliot (protagonista di Persuasione). Attraverso di loro, che eminentemente rappresentano l’avvio e il compimento della costruzione dei personaggi, l’attenzione è sulla nascita di un imprevisto romanzo di formazione che, da Austen in avanti, muta in trasformazione del sé.

L’impianto non è quello classico perché non c’è l’avventura di un «io» che si scopre individuo, accade qualcosa di diverso: la comparsa sottile ed esatta della relazione, cioè dello scambio simbolico – e dunque trasformativo – tra i sessi. Il monologo viene scalzato a favore del dialogo e della conversazione che mostra uno degli elementi decisivi della scrittura di Austen: lo sguardo impavido e moderno sugli uomini, che si sottrae dalla complementarietà per raccontare il conflitto e la differenza tra uomini e donne.

Se i tre piani su cui si sviluppano le intenzioni critiche di Rampello sono personaggio, trama e spazio, si capirà bene come nel secondo capitolo – dedicato a Orgoglio e pregiudizio e Mansfield Park – la conversazione sia nominata come azione che va a creare una geografia delle passioni, misurate o difficilmente governabili. La passione dell’intelligenza è tuttavia quella preferita sia dalla scrittura di Austen sia da ciò che l’autrice offre in dono alle proprie creature femminili. Non sono eroine nel senso classico del termine, non sono perfette e non nutrono idee onnipotenti di sé. Non si credono fondative di alcunché eppure lo sono.

Austen inventa la sua narrazione del mondo, in una trama genealogica – come già aveva notato Virginia Woolf – che non risponde a un preciso plot, piuttosto a un intreccio che si annoda e snoda lungo le conversazioni, profonda conoscitrice com’era del teatro, in particolare shakespeariano. Nella scrittura di Jane Austen, straordinaria per sagacia, leggerezza e costruzione, la conversazione apre così la trama stessa, mostrando protagoniste e protagonisti in preda a un desiderio di felicità, tema centrale di ogni storia austeniana e che spesso viene confuso con la soluzione matrimoniale.

Altro desiderio è quello della verità che incontrovertibilmente rappresenta anche l’intenzione di Austen; Liliana Rampello chiosa infatti sul «dire inevitabile di verità, di una incorrotta responsabilità verso il linguaggio, in virtù di una piena consapevolezza delle ragioni della propria arte, cui non verrà mai meno, come tutti i grandi e veri artisti».

Gli ultimi due romanzi analizzati sono Emma e L’abbazia di Northanger. Lo spazio, quelle miglia che separano Emma dai suoi affetti corrispondono a una precisa scena dell’economia sociale che la scrittrice sapeva maneggiare benissimo. La grandezza di tenere il desiderio tra le proprie mani e di trasferirlo alle protagoniste dei suoi romanzi implica un ulteriore spostamento di prospettiva: Austen non racconta l’immutabilità di un’economia domestica e sociale alla quale le sue ragazze vanno incontro sguarnite e sole; si affaccia invece una dettagliata cartografia morale, che va dalla differenza di condotta alla sequela di esperienze quotidiane.

Così a Elinor e Marianne si accosterà il tema della condotta, ad Anne quello della persuasione e a ciascuna delle altre una qualità che si delinea nell’imparare: Catherine dell’Abbazia di Northanger impara a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, Elizabeth di Orgoglio e pregiudizio impara a mutare il suo senso critico, Fanny di Mansfield Park trova la propria libertà attraverso la modestia; Emma lavorerà sul buonsenso. Ciascuna, alla fine di ogni romanzo, incontrerà la trasformazione totale di se stessa.

 

(il manifesto, 6 settembre 2014)

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