4 Luglio 2014
maschileplurale.it

Una trasformazione è necessaria

17 Giugno 2014


di
Claudio Vedovati

Si è aperta dentro e fuori Maschile Plurale una discussione importante, vera, anche difficile, che può portare in avanti la nostra esperienza. Prende le mosse dalle accuse di violenza rivolte ad un componente dell’associazione e riguarda il modo in cui MP ha reagito ed operato in questa situazione.

Mi piacerebbe che MP facesse propria fino in fondo questa discussione, senza provarne disagio, e che chiunque si sentisse legittimato a parteciparvi.
Vorrei che non la si vivesse e non la si rappresentasse come un attacco a MP, ma piuttosto la si cogliesse come un’occasione importante di crescita.
Vorrei che ciascuno parlasse partendo da sé, perché non è di un “lui” e di una “lei” che dobbiamo parlare, ma di noi. Di come ci siamo sentiti sollecitati, interrogati o eventualmente messi a disagio da questa vicenda.

Lo scenario di oggi non è più quello di quando prese il via il nostro corpo a corpo critico con la cultura maschile patriarcale. Il mondo è cambiato, sono cambiati gli uomini e le donne, la libertà femminile ci ha cambiato tutti. Ora MP può riconoscere a se stesso l’autorevolezza della propria esperienza, ma non può contare solo sul grande bagaglio di critica del maschile espresso in questi anni, che rischia ora di diventare un repertorio di parole che girano a vuoto.

Lo scenario di oggi è quello della relazione politica tra uomini e donne e questa stessa discussione ne è parte, con interlocutrici ed interlocutori nuovi. Ora la risorsa politica che è necessario saper giocare riguarda le relazioni. Cioè il saper dire con chiarezza dove si è, da dove si vedono le cose, cosa si desidera, cosa si mette in gioco.

Stare nelle relazioni

C’è stato un lungo silenzio di MP e dentro MP prima e anche dopo l’inizio di questa discussione pubblica, che è stata sollecitata da domande e aspettative deluse proveniente dall’esterno. In questo silenzio e mancanza di condivisione ho sentito l’esistenza di un disagio, la difficoltà a misurarsi da vicino con una vicenda di violenza.

Mi sembra sia emersa una difficoltà a vedere i nostri aspetti “dolorosi”, sia quelli più profondi e personali, che sempre ci sono quando ci si trova di fronte alla violenza, sia quelli più visibili e anche più direttamente politici, come il coinvolgimento di una persona legata a MP e il fastidio e la sensazione, provata da alcuni, di essere sotto attacco. Per affrontare queste difficoltà è necessario costruire spazi politici condivisi e poi affrontare pubblicamente i nodi politici della questione, il “cosa” ci riguarda, appunto parlare di “noi” e non di “loro”.

 

Ho visto invece, in risposta, una posizione di difesa, di chiusura e di controllo. In parte anche di rimozione. L’espressione “una vicenda troppo complicata e dolorosa”, usata fin dall’inizio in sostituzione di “un’accusa di violenza”, ne è a mio avviso uno dei segni più profondi.

La pratica politica di MP dovrebbe essere il partire da sé e qui invece le proprie difficoltà si sono risolte in una proiezione esterna: è la situazione, la “vicenda”, ad essere diventata “oggettivamente” complicata, difficile, dolorosa.

È emersa a mio avviso una forte confusione rispetto ai ruoli da assumere quando in cui è in gioco la violenza.

In una situazione come questa non spetta a noi fare chiarezza sui fatti, raccogliere elementi per valutarli, fare narrazioni, entrare nelle dinamiche relazionali, nel vissuto di “lui” o di “lei”, magari per modificarlo con la speranza di poter risolvere così questa vicenda. Anche gli intimi convincimenti personali sulle persone non sono la strada migliore per affrontare le questioni che riguardano la violenza, sono piuttosto un ostacolo. Qui più che la cura conta la “chiarezza su di sé”, soprattutto quando gli altri hanno già espresso con chiarezza se stessi, altrimenti i discorsi perdono di significato.

Silenzio, mancata condivisione, disagio non lavorato politicamente, chiusura difensiva, difficoltà a nominare la violenza, confusione relazionale. A mio avviso si è rimasti “coinvolti” nel più classico dei modi, come facilmente succede a chi è nelle prossimità di una situazione di violenza. Quando incontriamo la violenza in una qualsiasi forma non si tratta di ciò che stiamo osservando o pensando di lei, ma di ciò che stiamo sentendo e diventando.

La violenza trasforma, circola e ci danneggia tutti. Chi se ne occupa lo sa e opera secondo procedure. MP può operare attraverso il partire da sé, le relazioni e le pratiche politiche pubbliche.

 

Nominare la violenza

 

Penso non si sia riusciti a vedere la cosa più importante: che la violenza è già stata nominata, da lei, l’unica persona titolata a farlo.

Se “nominare la violenza richiede anche di distinguerla dal resto” (“conflitti, rancori, incomprensioni, scorrettezze, delusioni, tradimenti, ripicche, ottusità”, ecc.) dobbiamo aver chiaro che non siamo “noi” a dover distinguere, che non siamo in uno spazio pubblico dove ci si fa un libero giudizio informato e poi si dice la propria opinione. Lei ha già distinto e questo deve bastare. Se non basta, si apre di fatto il rischio della doppia vittimizzazione, come ha osservato anche TK Brambilla. Doppia vittimizzazione significa che viene esercitata di nuovo violenza.

Il fatto è che la violenza di genere non si misura su un terreno di verità che va oltre le relazioni, come accade nella verità giudiziaria. Se parliamo di violenza di genere stiamo parlando di come le relazioni sono vissute e percepite. A questo dobbiamo stare e di questa cosa dobbiamo capire la natura.

Non possiamo cercare di distinguere tra violenza come fatto tangibile e provabile e la violenza come percezione personale del vissuto di una persona. Non sono i lividi che ci consentono di distinguere la violenza da un conflitto o da una litigata, ma l’asimmetria nella relazione. I segni della violenza di genere sono nel vissuto di chi ne è vittima. Non ci sono molte altre prove da cercare.

È un nodo grosso, un grande spostamento rispetto ai modelli del sapere maschile, che hanno costruito intere discipline che vanno in cerca di prove e tracce dell’oggettività e della vera verità. E che non si fidano del partire da sé, non danno valore ai vissuti ed alla percezione, come fossero luoghi dell’arbitrio e dell’inganno.

È difficile accettare, in una scena in cui compare la violenza, che ci sono cose che non possiamo stabilire noi? È difficile accettare che basti la parola di una donna, un punto di vista che parta dal suo vissuto? Sì, nella mia esperienza, per noi uomini facilmente lo è.

Certo fa ostacolo quel che resta del patriarcato, il disvalore sistematico della soggettività e della parola delle donne. E fantasmi e lati oscuri del patriarcato sono sempre lì, dentro ciascuno di noi.

Ma fanno ostacolo anche altre cose, come lo spettro delle “accuse infamanti”, dei “giudizi sommari” e dei “roghi in piazza”, che possono turbare anche i maschi anti-patriarcali.

Ci sono cose che abbiamo scritto e detto all’infinito. La costruzione psicologica, patologica, clinica, sociologica, etnica, biologica ecc. della figura del maschio violento è un gesto apotropaico, di allontanamento e di rimozione delle radici maschili condivise della violenza tra i sessi. Oscura la natura strutturale della violenza e la sua normalità, consente la creazione di capri espiatori che servono a sdoganare la violenza e il mantenimento dell’asimmetria di genere in tutte le altre relazioni. Non esistono “uomini violenti” ma uomini normali che agiscono violenza, confermando asimmetrie nelle relazioni tra i sessi che sono sotto gli occhi di tutti.

Evocare lo spettro delle “accuse infamanti” significa invece richiamare uno scenario di analisi completamente diverso, che non è più quello della riflessione di MP sulla violenza di genere, ma quello opposto della “guerra tra i sessi”. In quest’altro scenario, basato sui risentimenti, la violenza diventa un possibile strumento individuale che anche le donne possono agire, rivolgendo contro un uomo gli stereotipi sulla violenza prodotti dalla stessa cultura maschile: lo accusano di violenza e lo additano come un “mostro”.

Non possiamo mettere sullo stesso piano la parola di chi si sente vittima di violenza e di chi ne viene invece accusato (nella violenza c’è sempre una asimmetria). E siccome veniamo da società patriarcali, non possiamo considerare uguali la parola di una donna che denuncia e quella dell’uomo a cui fa riferimento.

Fare queste distinzioni non significa avere opinioni preconcette a sfavore degli uomini. Può pensarlo chi confonde tra il nominare la violenza (dire di un accadere e del suo vissuto) e l’emettere un giudizio (esprimersi sui comportamenti di una persona), due cose profondamente diverse. Nel nostro caso, è politicamente importante nominare pubblicamente la violenza. È importante dire in che misura la violenza “ci riguarda”, anche quando ad essere accusato di violenza è un uomo di MP. Se ci interessa dare un giudizio, è sulla storia e sulla cultura maschile e non sulle persone.

«Sarebbe la fine di Maschile Plurale»
Non ricordo chi e dove ha scritto questa cosa, riferendosi a questa vicenda. Evidentemente intendendo “se le accuse fossero vere”. Ecco un altro punto interessante di questa discussione, l’idea che questa vicenda possa squalificare, delegittimare, danneggiare il lavoro fin qui svolto da MP. L’idea che si tratterebbe di uno scandalo.

Se si pensa questo è perché non si è lavorato politicamente a sufficienza, dentro e fuori MP, sulla natura del suo lavoro politico. Non è bastato scriverlo mille volte. Maschile Plurale non è composto da uomini puri che non si possono “macchiare” di violenza. Come ha scritto Claudio Magnabosco MP «non rilascia un certificato che attesti di essersi sottoposti ad un vaccino antiviolenza».

Siamo tutti capaci e portatori di violenza, la violenza circola facilmente nelle relazioni. La differenza è tra chi ne è consapevole e lavora su di sé e chi non lo fa, tra chi ascolta il primo segnale che ti dice “ti stai comportando violentemente” e si mette in discussione e chi no.

MP non finisce perché un suo membro, “uno di noi” come è stato scritto, è accusato di violenza dalla sua ex-compagna. MP inizia laddove siamo capaci di vedere, ogni volta nelle nostre vite, la violenza che ci riguarda, anche quella di cui noi stessi siamo portatori. Questo è il nostro lavoro politico

Sono contento che avremo nei prossimi giorni l’occasione di parlarne insieme.

 

(maschileplurale.it – 4 luglio 2014)

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