30 Gennaio 2013
CORRIERE DELLA SERA

Voto alle Donne, un Giudice del 1906 più illuminato dei colleghi odierni

Antonio Polito

Oggi che i magistrati della Corte d’appello di Roma hanno escluso dalle regionali la lista dei radicali perché conteneva più donne che uomini, vale la pena di ricordare la sentenza di un’altra Corte d’appello di 107 anni fa. Un piccolo episodio dimenticato nella lunga storia della lotta per l’emancipazione femminile, riportato alla luce dallo storico Marco Severini in «Dieci donne», un libro appena pubblicato da «liberilibri». Le dieci donne del titolo sono altrettante maestre elementari delle Marche, suffragette della prima ora, che si misero in testa di ottenere l’iscrizione alle liste elettorali nonostante il voto fosse riservato ai soli uomini. La cosa straordinaria è che ci riuscirono. Nel 1906 il presidente della Corte d’appello di Ancona, Lodovico Mortara, insigne giurista e futuro ministro di Giustizia, diede loro ragione, rilevando che in nessuna legge era scritto il divieto, e che dunque tra i diritti politici concessi alle donne si dovesse annoverare anche quello di voto, visto che lo Statuto lo riconosceva ai «regnicoli» senza specificarne il sesso.La sentenza scritta dal magistrato, che sarebbe poi stato epurato dal fascismo, suscitò un enorme clamore e avrebbe effettivamente potuto essere storica. Nel corso dei dieci mesi di vigenza, prima cioè che la Cassazione la annullasse, le dieci donne marchigiane rimasero infatti iscritte ai registri elettorali; se si fosse andati alle elezioni avrebbero dunque votato, anticipando di quarant’anni le loro figlie e nipoti che lo fecero per la prima volta nel 1946; e battendo sul tempo anche le donne inglesi che strapparono il diritto al voto nelle elezioni politiche solo nel 1918 e quelle statunitensi che lo ottennero nel 1920. Per loro sfortuna, Giovanni Giolitti riuscì invece a dar vita a un governo stabile, detto anche il «lungo ministero», che durò tre anni: altrimenti alle urne sarebbero andate, insieme con 2.500.000 italiani, anche dieci italiane.Non che il giudice Mortara condividesse politicamente la grande battaglia liberale che era stata lanciata da John Stuart Mill: trovava i tempi ancora non maturi, come disse in un’intervista al Giornale d’Italia. Ma per lui la legge era sovra-ordinata a tutto: «Chiamato come magistrato a decidere la questione, mi sono dovuto spogliare di ogni prevenzione personale per esaminare strettamente il testo della norma».In uno stato di diritto questo solo spetta ai magistrati: applicare la legge. Poi ci sono quelli che facendolo anticipano il corso della Storia, come la Corte d’Appello di Ancona nel 1906; e quelli che cavillando procedono in senso inverso, come è accaduto a Roma con l’esclusione di una lista perché troppo al femminile nel 2013.

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