17 Ottobre 2014

Autobiografia di un viaggio. Transiberiana e oltre: da Milano a Vladivostòck

Circolo della rosa Milano 4 ottobre 2014

(introduzione di Marirì Martinengo)

A tutte e tutti il nostro benvenuto ad una serata che speriamo gradevole, di cui Laura Minguzzi, presidente del Circolo della rosa, sarà protagonista. Volentieri ho accettato di introdurre brevemente il racconto della sua esperienza di viaggio lungo la Transiberiana con l’amica Brunella Pisani e il documentario che l’accompagnerà, perché a Laura mi accomuna, oltre ad altri interessi, il gusto per il viaggio. Intendiamo il viaggio prima di tutto come messa in gioco della soggettività di chi lo compie, soggettività che, esposta a stimoli non usuali si rinnova e arricchisce, galvanizzandosi al contatto di genti e orizzonti immaginati, sognati, ma non ancora conosciuti. I non sperimentati spazi chiedono di fare il vuoto dentro di sé per accogliere quanto di inaspettato ci viene offerto. L’esplicitazione e il dispiegarsi della soggettività rientra nella nostra pratica della storia vivente. Ed è un fare politico, destinato ad applicazioni anche in altri ambiti. Si sceglie in genere di fare un determinato viaggio, seguendo un desiderio, perseguendo un completamento di sé; una caratteristica che ci accomuna è quella di intendere il viaggio non solo per sé, ma anche per altri e altre. A questo punto inserisco la mia esperienza: io ho scoperto l’esistenza delle poetesse occitane, Le Trovatore, durante un mio viaggio nella Francia meridionale; la scoperta mi ha dato grande gioia che poi ho avuto modo di estendere ad altre e altri. Infatti, a questa è seguito un lungo studio e la pubblicazione in due volumi delle loro poesie, sconosciute in Italia. Tornando a Laura, ricordo uno dei suoi primi viaggi, di tanti anni fa, che l’ha portata al rinvenimento casuale, in una chiesa ortodossa, a Sinaja, in Romania, di un affresco che rappresentava Eufrosinija di Polozk, la badessa medievale, viaggiatrice essa stessa, alla quale lei stava studiando e lavorando, nell’ambito di una ricerca che conduceva insieme a me, Marina Santini e Luciana Tavernini, dal titolo Libere di esistere. Il rinvenimento dell’immagine è stato un trionfo per lei, ma anche un grande contributo d’arte per il libro di storia che insieme stavamo scrivendo. Numerosi sono stati, quando insegnava, i viaggi di scambio con le scuole di Pietroburgo fra le sue e i suoi alunni e quelle e quelli russi. In un viaggio più recente Laura ha conosciuto l’attività politica delle Decabriste e, descrivendola e quindi pubblicandola, ci ha reso partecipi della loro storia. Laura, che si era affidata a me, mi seguiva nei viaggi, quando andavo invitata in giro per l’Italia a diffondere fra le insegnanti la pedagogia della differenza e in questi ultimi anni lei mi accompagnava, quando ai congressi di Bordeaux e di Béziers, io portavo i risultati delle mie ricerche sulle Trovatore. Insieme siamo state a Berlino, quando l’estate scorsa, invitate dalla regista Alex Martinis Roe, abbiamo parlato della pratica dell’affidamento, geniale invenzione delle donne della Libreria delle donne di Milano degli anni ottanta e in particolare del rapporto di affidamento che unisce Laura e me da più di trent’anni.

Alcuni viaggi di questi ultimi tempi – viaggi che io definisco estremi – Laura li ha compiuti con altre, per esempio con Marina Santini. Viaggi nei quali era sempre presente l’interesse per la storia, cioè alle isole Solovki, nel Mar Bianco, per visitare i luoghi dove fu aperto, nel 1923, in un famoso monastero, il primo Gulag. Ricordo ancora il suo viaggio in Ucraina, dove all’interesse per genti e paesi in terre da lei profondamente amate, si unisce la volontà di far conoscere la politica delle donne praticata presso il suo Circolo e la Libreria delle donne. Anche stasera, mostrandoci il suo documentario, vuole farci partecipi di un’esperienza interessante e rara. E di questo ci parlerà lei.

Autobiografia di un viaggio di Laura Minguzzi, docufilm, durata 50’.

(Intervento di Laura Minguzzi)

Prima di tutto vorrei fare alcuni ringraziamenti. Primo alla giovane regista, che ha curato il montaggio del mio documentario Transiberiana e oltre da Milano a Vladivostók, Elena Baucke, perché senza di lei, essendo io una dilettante della videocamera e non avendo competenze di montaggio, non avrei potuto realizzarlo. Poi vorrei ringraziare Brunella Pisani, amica ed ex-collega di scuola, che ha accettato con entusiasmo la mia proposta; si è fidata del mio progetto di viaggio e mi ha sopportato per quarantaquattro giorni. Da ultimo Cinzia Achilli. Con lei ho conosciuto Liudmila Levyna, che ci ha aiutato a prenotare il treno della Transiberiana da Mosca e soprattutto ha mandato l’invito a me e a Brunella per ottenere il visto e muoverci liberamente per un tempo abbastanza lungo sulla Transiberiana. Lei garantiva per noi e ha dovuto presentare la sua dichiarazione dei redditi al Consolato russo. Potete già comprendere da questo dettaglio che nonostante la caduta del muro esiste ancora la burocrazia sovietica.

Perché autobiografia? Il sogno della Transiberiana mi ha accompagnato da quando ho iniziato lo studio della lingua russa negli anni sessanta. È stato un mito di quegli anni. E lo fu anche per i giovani sovietici e le giovani sovietiche, che d’estate partivano per lavorare alla BAM (Bajkal Amurskij Magistral, così si chiamava), e passavano le vacanze in questo modo (abbiamo letto con Brunella che al primo tratto iniziato alla fine dell’Ottocento hanno lavorato operai di Udine). Mi è sempre piaciuto progettare viaggi a mia misura, percorsi, tappe per esplorare luoghi e paesi, osservare le trasformazioni, parlare con la gente, con le donne, per andare oltre le notizie e le informazioni ufficiali (mi sono ispirata a Simone Weil che partì per la Germania negli anni trenta per capire cosa cos’era il nazionalsocialismo). Andare oltre la notizia, indagare, scoprire, vivere anche a contatto. Questo mi è stato possibile con gli scambi fra scuole che ho organizzato per una decina di anni (dal 1992 al 2003), quando insegnavo, a cui anche Brunella ha partecipato. Mi piaceva che anche le mie classi, vivendo nelle famiglie russe, dessero corpi, una storia alla realtà, alla lingua che studiavano sui banchi. Con la fine dell’Unione Sovietica nel 1991 io ho cominciato a sognare una civiltà europea senza frontiere, senza muri, che potesse lambire l’Oceano Pacifico, arrivare oltre gli Urali (classica barriera naturale, da lì in poi comincia l’Asia) fino a Vladivostók. Ho sempre temuto l’idea della fortezza Europa che si difende o si arma. Partivo perciò per capire cosa stesse succedendo, cosa pensasse la gente comune, le amiche, le insegnanti, cosa scrivessero i giornali della nuova Russia che si andava formando, tastare il polso della situazione e nelle scuole portavo la mia esperienza politica, libri di scrittrici italiane, e a mia volta compravo libri di scrittrici russe da leggere nelle mie classi. Nel 1993, a Mascia Loseva, amica di Mosca, bibliotecaria alla Lenin, che avendo familiarità con gli archivi, mi aiutava a trovare documenti su Eufrosinija di Polozk, badessa medievale, in questa città dell’attuale Bielorussia, ho fatto conoscere il Sottosopra verde. Ricordo che sono andata anche all’Istituto di Cultura Italiana di Mosca la cui direttrice era stata una dei miei docenti di Venezia, Vittoria Strada, per proporgli la traduzione di Non credere di avere dei diritti in russo. Le mie ricerche di storia nella Comunità mi hanno spinto al viaggio con questo spirito di attenzione al presente ma col desiderio di cercare nel passato delle risposte. Con questo atteggiamento di apertura all’incontro, all’ignoto sono andata anche all’Arcipelago delle Solovki, prima da sola, nel 2001, invitata da un’amica, Galina, insegnante della Karelija, dopo il 1991 Repubblica Autonoma, poi con i due Paoli, mio marito, e il marito di Marina Santini della Comunità di ricerca storica, ora Storia vivente, per vedere il grandioso Monastero del 1400, una fortezza in mezzo al Mar Bianco, a 160 chilometri dal Circolo Polare Artico, trasformato in Gulag speciale nel 1923. Una cittadella ricchissima, florida per alcuni secoli, che vigilava sui confini dell’impero, di un’architettura meravigliosa, recuperata oggi come patrimonio dell’umanità dall’Unesco, dove, durante il nostro soggiorno, dal forno del refettorio usciva un profumo intenso di pane fresco. Volevo vedere anche le tracce archeologiche del passato: i famosi labirinti di pietra di cui è cosparsa l’isola, la cui presenza non ha ancora trovato un significato preciso ma solo ipotesi. Alle Solovki hanno vissuto anni di studio i cosiddetti estranei alla società sovietica. Per esempio Pavel Florenskij, che ha scritto un libro consigliato anche da Luisa Muraro, Il valore magico della parola. Lì sono stata ospite di Svetlana, una maestra amica di Galina Stepanova, a Kem, cittadina da dove partono i traghetti per le isole Solovki. Mi sento a volte un po’ pellegrina come Eufrosinija, la badessa di Polotzk, protagonista delle mie ricerche sul medioevo femminile. Ambasciatrice della politica del simbolico. Ho progettato il mio ultimo viaggio in Ucraina nell’agosto del 2008, dopo la Rivoluzione arancione 2004-2005, per conoscere Tatjana, responsabile e fondatrice del Museo delle donne, allora solo virtuale. Era venuta a Milano con la figlia, aveva scritto al sito ed io ho continuato lo scambio e sono andata, portando Donne Mostra, il lavoro di Marina Santini sul femminismo, libri e Via Dogana. Nel n° 91 del 2009 ho pubblicato un articolo su questa esperienza, dal titolo «Esplorazioni nel mondo ex-comunista». L’anno scorso in maggio, quando ho cominciato a progettare con Brunella le tappe della Transiberiana, cioè le città dove scendere dal treno, prenotare l’albergo e fermarci qualche giorno, dissi a Brunella che avevo scritto a Katja Samutzevich, una delle Pussy Riots, Nadia e Mascia stavano ancora scontando la condanna di due anni, e avevo preso accordi per incontrarci a Mosca, dove lei vive ed era allora in libertà vigilata. Avrei voluto scendere a Perm’, una cittadina che si trova sulla linea della Transiberiana, dove si trova la Colonia Penale in cui stava Mascia, ma era un’idea balzana perché poi mi ha raccontato Katja, quando ci siamo incontrate a Mosca, che perfino ai parenti era difficilissimo ottenere permessi per andare a far loro visita. In totale abbiamo visitato dodici città: Mosca, Kazan’ nel Tatarstán, Ekaterinburg, Toból’sk, ex-capitale della Siberia, Tomsk, Novosibirsk, capitale attuale, Krasnojarsk, Irkutzk, Ulan Udé, capitale della Buriazia, Khabárovsk, Čita, Vladivostók. A Kazan’ mi ha colpito il fatto del bilinguismo: le scritte pubbliche in tataro e in russo. A Ekaterinburg ci siamo fermate per vedere la cattedrale costruita dieci anni fa, nel luogo in cui furono fucilati i membri della famiglia zarista che ora sono stati proclamati martiri. Qualche giorno di riposo ce lo siamo concesso al Lago Bajkál. Ho fatto il bagno in acque a 15-16 gradi, molto tonificanti, con una luce incandescente, molto particolare, in un luogo famoso, l’isola di Ol’chon, in mezzo al lago, celebre perché abitata da credenze sciamaniche. Nell’isola ci sono solo case di legno e strade di terra battuta e sabbia. Di notte non c’è illuminazione elettrica. Un tipo di vita molto sobria. Sulla collinetta sopra la spiaggia c’è un altare sciamanico. Un tempo era proibito alle donne frequentare quel luogo, mi dice un signore che ha cercato di farmi spostare da lì. Ma era la spiaggia più tranquilla e suggestiva. Proprio per quel motivo l’avevo scelta. Una traccia evocativa che ci ha guidato è stata quella dell’esilio politico dei, delle decabriste, Uomini e donne in rivolta nella Russia zarista, dell’inizio dell’Ottocento… Ne ho scritto nel n° 107 di Via Dogana del 2013.

Abbiamo trovato testimonianze storiche accurate nelle città di Irkutsk e a Čita, dove da poco è stato allestito un museo nella Chiesa di legno di San Michele del 1700 a loro dedicato. Le donne e gli uomini appartenenti a famiglie nobili che nel 1825 erano stati condannati a vent’anni di lavori forzati nelle miniere di ferro, oro e argento della Siberia hanno poi deciso di stabilirsi lì e creare delle città ispirandosi alla cultura francese dei salotti. Brunella ha trovato un libro di memorie in francese, pubblicato in Spagna e scritto da Pauline Annenkova, moglie di Ivan Annenkov, uno dei condannati. Lei, di origine francese, lo seguì e visse in Siberia. Torneranno poi a Mosca e lei scriverà la storia di questa relazione che l’ha portata a vivere una vita del tutto imprevista. Prima di partire ho letto il libro di Luciana Castellina, Siberiana. Molto interessante ma la mia Transiberiana è stata differente. Io non ero in delegazione ufficiale, per cui i 9.280 chilometri da Milano a Vladivostók sono stati tutti giorno dopo giorno vissuti in una contrattazione continua fra me e Brunella per decidere le tappe, dove fermarci, la scelta dell’albergo, quanto tempo, perché… A Khabárovsk, per esempio, Brunella non voleva andare. Era esondato il fiume Amur, in Tv mostravano immagini di città e regioni allagate; anche a Vladivostók alcuni quartieri erano in pericolo e temevamo che anche la ferrovia che corre lungo i fiumi immensi della Siberia (l’Ob, lo Jenisej, l’Amur, appunto) potesse essere sommersa. Ma il rischio è connesso al viaggio e io non volevo rinunciare a vedere Vladivostók. Era l’ultima tappa e poi avevamo già acquistato il volo di ritorno. In realtà queste due città sono collocate su colline, per cui i danni maggiori li subivano i quartieri lungo il fiume, in basso, e soprattutto le campagne, i villaggi dove vivono i contadini. È stato particolarmente impressionante vedere dai finestrini del treno una intera regione allagata, Birobizhan, dove vivono gli ebrei. Questo territorio è tutto lungo il corso del fiume Amur… Anche in Cina c’erano terribili inondazioni e si temeva il crollo di una diga. In treno, ascoltando le conversazioni di altri passeggeri, ho sentito che alcune donne commentando gli avvenimenti, attribuivano le responsabilità delle inondazioni ai cinesi, cioè al fatto che sono state costruite numerose fabbriche in Cina lungo il corso del fiume nel giro di pochi anni e il fiume viene usato come una discarica. Proseguire il viaggio ne è valsa la pena perché Vladivostók è una città molto affascinante, affollata di giovani, accorsi in occasione del Festival delle arti e della musica, per cui c’era molta animazione, molte gallerie e mostre d’arte di artiste giapponesi, cinesi eccetera, gruppi rock russi e stranieri. La città è stata recentemente smilitarizzata e aperta agli stranieri. Sono stati costruiti due ponti in collaborazione con ingegneri francesi e ora viene considerata la California del Pacifico. Molti cinesi, ci raccontava Kostantin, un amico di Liudmila che ci ha accolto alla stazione e accompagnato in albergo, vengono a fare le vacanze al mare, nelle isole vicine alla città.

 

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