18 Novembre 2008

Dibattito sull’ecologia a partire dal racconto: ‘Il ventre della terra’

Circolo della Rosa

 

A partire dal romanzo di Valentina Francolino, Il ventre della terra (Gingko edizioni), la sociologa Antonella Nappi ha discusso con l’autrice sui mutamenti operati dalla società occidentale negli equilibri naturali e sulle conseguenze che comportano per la vita sul pianeta. La pratica politica delle donne ha molto da dirci nell’affrontare i problemi ambientali con le nostre azioni quotidiane.

 

Si è parlato di ambiente, del rapporto delle persone con questo, rapporto carattarizzato da un atteggiamento di indifferenza soprattutto negli uomini, storicamente abituati a spadroneggiare.
Si è affrontato anche il tema del rapporto tra macrocosmo e microcosmo. La discussione è partita dal libro ‘Il ventre della Terra’ di Valentina Francolino. Ha introdotto la discussione Antonella Nappi.

 

Antonella Nappi: “Valentina Francolino ha scritto un romanzo che mi è piaciuto e mi ha colpito, io in genere non leggo romanzi. Si tratta di un romanzo di cultura giovanile anche un po’ fantascientifico. Mi ha colpito perché narra di come abbiamo lasciato che le cose finissero in catastrofe sul pianeta e come si vive durante una catastrofe ormai accertata, ancora facendo finta di niente. Questa è una grande invenzione, secondo me, è molto responsabilizzante. La cosa più grave che ho notato io in quello che lei descrive, pur divertendo e ben raccontando, è che si vive coperti di mantelline per non prendere mai il sole, cosa che ad alcuni di noi succede già adesso. Uno delle realtà più gravi da qualche anno è che il sole è diventato nocivo, seriamente nocivo. In Australia da dieci anni i bambini hanno il vestito con le maniche lunghe per fare il bagno e la mezza gamba. Valentina poi farà un intervento dove racconterà perché si è interessata a questi argomenti e com’è il suo libro. Invece io vorrei affrontare alcune contraddizioni. In genere parlo sempre di politica delle donne e poi di ambiente invece oggi voglio proprio parlare del nostro atteggiamento verso l’ambiente perché si tende comunqe a far finta di niente. Come dice Giorgio Rufolo, catastrofismi sono i fatti. L’uso delle risorse naturali per il formidabile profitto di pochi in questi decenni è stato intenso e ha portato alla rottura di equilibri naturali. Queste cose sono vere e sono terribili: se ci si interessa a leggerle si scopre l’impoverimento del pianeta per il profitto di alcune multinazionali di pochi, ci si appassiona nel vedere come le cose funzionavano e anche come vengono rovinate, perché è una descrizione di realtà fantasmagorica. Ci si arrabbia e anche si capisce un po’ meglio che siamo turlopinati da modi di dire. Leggete la Shiva: i suoi libri sono bellissimi e raccontano queste cose. Volevo anche citare un po’ di libri. Peccei ha scritto ‘Limiti dello sviluppo’, ricerca internazionale del ’72 e che ora Mondadori ha a disposizione che è straordinario. Laura Conti la si trova nelle biblioteche e nel suo libro ‘Questo pianeta’ raccontava già vent’anni fa questioni fondamentali che oggi si cominciano a sapere. Ci sono molte ‘balle’ che circolano, che trasmettiamo noi stessi perché ci hanno dato delle interpretazioni della realtà talmente ribadite che ci viene comodo ripetere. Ad esempio si dice che la scienza ci ha salvato, ci salva, ci salverà. La scienza da qualche decennio crea solamente oggetti nocivi, molto nocivi, come cellulari, campi elettromagnetici, hi fi ecc. Queste cose sono da sapere. E’ cambiata la situazione. Ad esempio in una puntata di Report, che trovate anche in Internet e su Youtube, Milena Gabanelli ha mostrato come l’antenna per cui Internet si può prendere dal cortile dell’università o della scuola è stata addirittura tolta dalle scuole in alcuni paesi perché crea dei campi elettromagnetici che permettono il diffondersi dell’elettrosensibilità come malattia riconosciuta e mutuata da due paesi europei credo siano Svezia e Norvegia. Ci sentiamo poi come appagate da un po’ di libertà come donne e però anche oppresse da un’organizzazione sociale che però ci appare immutabile, l’unica possibile. C’è questo atteggiamento nelle donne e negli uomini, un atteggiamento che infondo tutto sommato è questa la società in cui si vive. La Shiva lo dice bene che è un problema di ignoranza. Non sapendo di altre economie, di altri sistemi, non conoscendo i problemi profondamente perché sono difficili, i problemi che toccano gli equilibri ecosistemici, problemi da sapere soprattutto se tendono a censurarli, si finisce col pensare che tutto sommato bisogna accontentarsi di questa libertà e che la nostra società è l’unica. La Shiva dice bene: non è assolutamente vero che non si può progettare e pensare diversamente. Siamo infatti abituate a vivere con qualche comfort tecnologico non dobbiamo però pensare che l’alternativa sarebbe l’essere sperdute nelle campagne gelate, nella povertà. L’alternativa può essere invece l’organizzazione che vogliamo collettivamente creare che è più attenta alla nostra vita fisica, in un ambiente più sano con tempi che ci permettano la manutenzione di tutte le cose senza essere emarginate economicamente come oggi ci pare. Sono contenta che ci sia qui Silvia Motta che mi aveva fatto una battuta: si dice che gli ambientalisti o i verdi rispondano sempre no. Non è vero che si dice sempre no oppure è vero come per il femminismo. Si dice che le femministe dicono di no a tutto, certo se ci propongono solo l’omologazione alla cultura maschile è difficile non dire no. Gli ambientalisti hanno molte cose alternative, radicalmente alternative da proporre. Non ce le dicono, ce le nascondono dicendo soltanto no. Io credo che bisogna rivendicare e valorizzare di studiare, reimpostare le cose con sentimento e ragione, pensando di avere molto più potere di quello che continuiamo a pensare di non avere. Per reimpostare tutto in un altro modo ci sono piccole migliorie che sono utili e sono geniali perché sono strategiche. Ad esempio la possibilità di creare energia dal sole e organizzarsi per usarla sia personalmente che collettivamente. Molti comuni, molte scuole d’Italia oggi hanno una produzione di energia che serve il comune intero.Questa battaglia vinta per cui l’Enel deve acquistare energia prodotta dal sole, ma ancora di più, organizzarsi per produrre energia che non inquina, sono cose che risvegliano anche le capacità dei singoli di riorganizzarsi e di reagire alle imposizioni. Certo bisogna tener presente che la cosa importante è usare meno energia produrre meno inquinanti.
Lia Cigarini ha ben detto a me, che leggo poco i romanzi, che invece sono molto più efficaci dei saggi o dei discorsi politici. Allora ascoltiamo Valentina che ci racconta come ha fatto lei a pensare queste cose fondamentali con un’esperienza di gioventù e farne un bel libro.

 

Valentina

 

“Il ventre della Terra” è ambientato nel 2181 – e quindi nel futuro – e lo sfondo su cui si svolge la vicenda è un po’ apocalittico, nel senso che quello che ho ipotizzato è uno dei peggiori futuri possibili (anche se – lo riconosco – per molti versi inverosimile) a cui potremmo andare incontro.
I protagonisti del racconto vivono, infatti, negli anni che seguono la “Grande Crisi”, un periodo in cui si è verificata una crisi ambientale di enorme portata, che ha totalmente stravolto il mondo che noi conosciamo: ad eccezione dell’uomo, animali e piante si sono completamente estinti; l’ossigeno dell’aria e gli alimenti sono prodotti artificialmente e la popolazione mondiale è stata decimata da carestie e malattie. In seguito alla Crisi, soprattutto nei paesi più ricchi, con il tempo la situazione si è stabilizzata, anche se la qualità della vita è notevolmente peggiorata e le prospettive future sono cupe.
Ed è su questo scenario che si dipana la storia o, meglio, il viaggio della protagonista del libro, Mira, una ragazza inglese di 20 anni. È una ragazza molto simile a tante altre sue coetanee, e all’inizio del racconto la incontriamo, infatti, all’università, dove si annoia alle lezioni e vagheggia sul suo ragazzo, su cosa indosserà per il prossimo appuntamento con lui, su quello che si diranno…poco importa che viva in un mondo devastato e pieno di problemi; un mondo che si trova in un equilibrio precario e che questo equilibrio stia per spezzarsi.
Poi accade un fatto traumatico e la protagonista, che fino a quel momento ha vissuto in una sorta di bambagia rassicurante, per la prima volta in vita sua si ritrova a dover prendere decisioni importanti ed ad affrontare la vita da sola, con le sue sole forze.
È costretta a partire ed è proprio questo suo lungo viaggio che stravolgerà il suo modo di concepire la vita e il mondo che la circonda, costringendola a mettere in discussione i suoi valori e le sue false sicurezze e facendole acquisire una nuova consapevolezza di se stessa in rapporto al “tutto” di cui è parte integrante.
L’inizio del libro forse è un po’ autobiografico nel senso che io stessa, in questi ultimi anni, entrando nell’età adulta, ho iniziato a liberarmi da quel sano egoismo che caratterizza un po’ la fase adolescenziale della vita, quando si vede il mondo un po’ come se fossimo in una grande bolla trasparente che contiene la famiglia, i nostri amici, le nostre certezze, e tutto ciò che sta nella bolla è importante, ciò che sta fuori non lo è, non ci riguarda.
Me ne liberavo e al tempo stesso iniziavo per la prima volta a interessarmi a problemi di grossa portata ma anche a quelli più modesti, come il trovarmi un lavoro o il confrontarmi con persone diverse da me. Iniziavo ad aprirmi, ad essere meno superficiale.
Subito dopo la maturità mi ero iscritta alla Facoltà di Scienze Politiche, ma per quanto trovassi interessanti le materie che studiavo, mi sentivo insoddisfatta: la sensazione era di avere a che fare con materie troppo astratte e teoriche, mentre io, forse perché ho sempre vissuto in campagna e sono sempre stata in mezzo al verde e a contatto con gli animali, sentivo il bisogno di qualcosa di diverso, di studiare i meccanismi della “vita”.
Fu per caso che scoprii che a Milano tenevano un corso di Naturopatia, corso in cui si affrontano le tematiche relative alle diverse “terapie alternative”, a cui mi iscrissi subito. In seguito, per approfondire gli argomenti che mi stavano più a cuore, lasciai Scienze Politiche per la Facoltà di Tecniche Erboristiche.
Gli studi che ho seguito hanno modificato in modo radicale la mia visione del mondo e di me stessa, introducendomi ad una visione olistica dell’esistenza, una visione – cioè – in cui non c’è una separazione netta tra mente e corpo, tra l’uomo e il mondo che lo circonda, tra microcosmo e macrocosmo.
Il libro è, in un certo senso, il frutto di questo mio piccolo percorso.
I temi conduttori del romanzo fondamentalmente sono due e su questi oggi vorrei porre maggiore attenzione, perché credo che aiutino meglio a comprendere il senso di questo libro.
Il primo è il tema del viaggio e il secondo è quello del rapporto uomo-ambiente. Si tratta certo di argomenti che, all’apparenza, possono sembrare diversi ed estranei l’uno all’altro, ma io trovo che siano indissolubilmente legati tra di loro.
Come dicevo all’inizio, la protagonista, Mira, è costretta a mettersi in viaggio e dopo essersi recata prima in Francia e poi in Grecia, arriva in India.
Eppure non è tanto il viaggio materiale di cui qui mi interessa parlare (certamente anche quel tipo di viaggio è importante, perché vedere e toccare con mano realtà diverse dalla nostra ci rende più obiettivi e ridimensiona la nostra visione delle cose).
Quello che più conta, sono le esperienze cui va incontro durante il suo percorso. Mira, infatti, incontra diversi personaggi che la guidano e la fanno depositaria della loro saggezza e si ritrova in situazioni che mai avrebbe pensato di affrontare. E, via via che muta lo scenario esterno, anche lei si trasforma.
Quando parlo di “viaggio”, quindi, mi riferisco ad un percorso interiore, psichico e spirituale ad un tempo. È un viaggio lungo, faticoso e spesso doloroso quello che lei compie dentro di sè, ma è anche un viaggio che la trasforma, la rende migliore, più consapevole e attenta a ciò che la circonda.
La protagonista del racconto si trova, naturalmente, a fare i conti con la paura e l’ansia, i dubbi, e spesso anche con lo scetticismo e l’incredulità, ma si tratta di emozioni che inevitabilmente accompagnano un processo di crescita e una più ampia visione delle cose.
E quindi, sarebbe più corretto dire che nel libro ho affrontato, più che il tema del viaggio, quello del cambiamento, della trasformazione, ma mi piace di più pensare al viaggio perché è correlato all’idea di movimento, del “panta rei”, ovvero del “tutto scorre”. Usare il termine “cambiamento” mi dà l’idea di qualcosa di statico, che poi, tutto a un tratto, muta. Invece la vita per me è sempre dinamica, non si ferma mai, va sempre avanti, è sempre in trasformazione.
Certo, se ci fermiamo ad osservare le nostre azioni esteriori, abbiamo l’impressione che tutto sia fermo, ripetitivo, ci sembra, alla fine, di fare sempre le stesse cose: ci svegliamo, andiamo a lavorare oppure studiamo, mangiamo, dormiamo…, ma in realtà pian piano, dentro di noi, qualcosa si muove sempre, è in eterno movimento, è, appunto, in “viaggio”, e ci sono avvenimenti, stili di vita, modi di pensare, che ne possono rallentare o accelerare il processo.
Per cui, tornando al libro, Mira compie un lungo viaggio che la trasforma completamente: parte cercando qualcosa e poi, pur continuando a cercarla, capisce che c’è altro da cercare, forse anche di più importante. Qualcosa da cui potrebbe dipendere il futuro dell’umanità intera.
Impara che ci sono delle volte in cui bisogna mettere il bene comune davanti a tutto, e delle altre in cui bisogna lasciarsi andare e seguire il flusso della vita anche se ci porta lontano da quelli che ci sembrano dei bisogni irrinunciabili.
Penso che il percorso di Mira è quello che poi dovremmo fare tutti crescendo, diventando adulti, maturando: ampliare la mente, andare alla ricerca del nostro vero io, cercare di vedere anche nei problemi un’opportunità di crescita. Nel suo caso lei, attraverso questa grande avventura che si trova a vivere, riesce a comprendere per la prima volta, e non più con gli occhi di una ragazzina ma con quelli di una donna, il periodo storico che si trova a vivere, gli errori e le grandi responsabilità umane nei confronti, in questo caso, dell’ambiente, della natura.
E qui mi riallaccio al secondo grande tema di cui vorrei parlare: il rapporto tra l’uomo e la natura. Credo che il rapporto che ognuno di noi ha con il mondo naturale rispecchi fondamentalmente il nostro rapporto con quella parte di noi stessi più profonda, più istintiva, più selvaggia, e non plasmata che abbiamo.
Jung, uno psicanalista che si è occupato molto e a lungo dei simboli, ha detto: ” Il bosco perché oscuro e impenetrabile è, come le acque profonde e il mare, ricettacolo dell’inconscio e del misterioso: gli alberi come i pesci nell’acqua, sono i contenuti vivi dell’inconscio.”
Non a caso si usa l’espressione “linfa vitale” ad indicare quella forza creatrice e generatrice che tutti abbiamo dentro e che ci dà la vita. Il fatto che l’uomo si curi poco, o non si curi affatto, di coltivare, di proteggere, di sviluppare ciò che c’è nel suo profondo, e che, anzi, si dia da fare in senso opposto soffocando e distruggendo la sua natura autentica, si riflette all’esterno con i nostri comportamenti verso il mondo vegetale e animale.
Stiamo facendo uno scempio delle risorse del pianeta e gli appelli degli scienziati e degli ecologisti sono allarmanti, ma per quanto questi possano generare in ciascuno di noi sgomento e angoscia, finisce col prevalere l’indifferenza, preferiamo pensare ad altro come se tutto questo non riguardasse personalmente ciascuno di noi.
Il nostro atteggiamento mentale nei confronti dei problemi ambientali è identico a quello che assumiamo nei confronti della nostra interiorità: preferiamo pensare ad altro. Tutte le nostre energie sono utilizzate per raggiungere obiettivi esterni a noi ed è anche giusto, in parte, visto che viviamo in una società in cui la soddisfazione di certi bisogni è indispensabile, tuttavia ritengo che non dovremmo mai perdere di vista che comunque l’uomo è pur sempre un animale e, come tale, è strettamente dipendente dall’ambiente in cui vive. L’organismo umano è un sistema aperto. Un sistema chiuso è un sistema che non scambia energia con l’esterno come, ad esempio, un sasso. Intorno al sasso, faccio per dire, potrebbe accadere qualsiasi cosa, potrebbe esplodere una bomba atomica, potrebbe esserci un’inondazione, potrebbe sparire l’ossigeno dall’atmosfera, ma lui resterà sempre lì, indifferente a tutto ciò. Una persona invece, così come un animale o un vegetale, effettua degli scambi con l’esterno: ha bisogno di assumere energia da fuori, sottoforma di calore, di cibo, di acqua, la elabora; in parte la usa per tutte le sue funzioni e in parte la conserva, e produce sostanze di scarto che riversa nell’ambiente, come ad esempio l’anidride carbonica, che poi viene utilizzata da altri organismi, e così via. Gli esseri viventi fanno tutti parte di questo enorme ciclo che è l’ecosistema, che andrebbe immaginato come un essere vivente esso stesso, un essere vivente molto resistente perché è capace di adattarsi parecchio ai cambiamenti (ad esempio quando una specie si estingue), ma al tempo stesso fragile perché oltre un certo punto rischia il collasso, e se collassa c’è pericolo per tutte le creature che ne fanno parte. L’uomo forse non si rende abbastanza conto che fa parte di questo ecosistema esattamente come gli altri esseri di questo pianeta.
L’avidità di potere, di denaro, di “benessere” materiale si accompagnano ad una sorta di arroganza, di senso di superiorità, che fa pensare all’uomo di essere padrone del mondo, che gli fa credere di aver domato la natura, di poter disporre di tutto e di tutti in modo indiscriminato e distruttivo. Anche se forse ora si inizia ad intravedere un cambiamento in questo senso, per lo meno ora si iniziano a capire quali siano i nostri limiti. Paradossalmente, in questo sistema, anche l’uomo viene sfruttato, violentato, “modificato” da questa logica dell’usa e getta. Siamo bombardati continuamente da messaggi mediatici che invitano all’avere, al possedere sempre più cose, e ci convincono che il significato delle nostre esistenze si possa misurare dai beni accumulati, piuttosto che da quello che siamo veramente. E la vita che conduciamo, un po’ tutti in modo nevrotico, non fa che amplificare questo stato di cose, questo distacco uomo-ambiente. Le nostre vite sono diventate asettiche, anche noi siamo asettici nel senso letterale del termine, cioè disinfettati.
A volte mi capita di andare in un parco e di vedere magari un bambino che mette le mani nella terra. Generalmente arriva subito la madre che lo sgrida perché sporca i pantaloni da settanta euro…tutto questo per dire che quasi rifiutiamo il contatto con la natura perché è “sporca”. Produciamo spazzatura a tonnellate, inquiniamo l’acqua e l’aria con scarichi e veleni di ogni tipo, ma paradossalmente – o forse proprio per questo – siamo ossessionati dalla sporcizia: facciamo docce in continuazione, copriamo l’odore naturale del nostro corpo con profumi e deodoranti, usiamo disinfettanti sempre più potenti. Facciamo di tutto per inseguire un ideale irraggiungibile, per cui dobbiamo essere asettici; dobbiamo essere perfetti; dobbiamo dare il massimo, senza mai mostrare le nostre debolezze e i nostri difetti, anzi, sarebbe preferibile non averne proprio. La società ci impone di essere puliti, in tutti i sensi del termine, compreso il “senza peccati”, e per peccato intendo anche solo mangiare un dolce di troppo, avere un chilo di troppo. E proprio perché questo ideale ci impone di essere a tutti i costi in un certo modo, e dal nostro mondo interiore ci arrivano tutt’altri segnali, siamo in lotta perenne con noi stessi, e siccome di solito quello che facciamo vincere è l’esterno, ecco che allora si crea il distacco. Distacco con noi stessi, che si riflette poi con un distacco anche all’esterno. Gli animali fanno paura, la natura è qualcosa da dominare. Ma questo modo di vivere sta mostrando sempre maggiori pecche. La gente, soprattutto in Occidente, nonostante tutti i nostri bisogni primari siano soddisfatti, non è felice. Le persone, povere o ricche, sane o malate, belle o brutte che siano, avvertono un profondo vuoto dentro di sè e sentono la mancanza di qualcosa che a volte neanche la fede riesce a colmare. E, sempre di più, si rivolgono alle antiche saggezze dell’Oriente: al Buddismo: il cui fine è il “Risveglio”, l’illuminazione, il Nirvana, uno stato in cui non esiste più un sé separato da tutto il resto, che è un’illusione. Allo Yoga: vocabolo che in sanscrito significa Unione, l’unione di mente, corpo e spirito, l’unione degli opposti, dell’individuo con ciò che lo circonda. Non ci sono limiti, non c’è separazione, tutto è unito. Insomma si rivolge alla cultura di Paesi – da notare – cosiddetti “sottosviluppati” e che – guarda caso – basano la loro visione del mondo sull’integralità dell’essere umano quale parte del Tutto, e ridimensionano l’Uomo a un ruolo non di padrone della Terra ma di un essere soggetto alle stesse leggi che governano tutto l’universo. Per questo ritengo che il “viaggio” nel profondo di noi stessi sia fondamentale per ritrovare il contatto con la natura e rispettarne il delicato equilibrio. Ritrovare un rapporto con la nostra parte più antica e autentica, ritrovare e seguire i nostri cicli, ritrovare la sacralità in ognuno di noi sono tutte condizioni necessarie per ritrovare la sacralità nel mondo che ci circonda. Alla fine è tutto qui il senso del libro, proviamo a scoprire davvero come siamo fatti, cosa ci rende davvero felici e cosa invece è solo un’illusione, di cosa abbiamo realmente bisogno. E, a questo proposito vorrei concludere con un’ultima citazione in cui ho cercato di racchiudere in poche righe questo grande concetto. È un breve passo, in cui uno dei personaggi del libro sta spiegando alla protagonista come bisognerebbe “rapportarsi” con noi stessi:
“E si fermò riconquistando il fiato. Mi prese per mano e io pensai che ormai poco importava il modo in cui sarebbe finita quella notte. Stavo assistendo a qualcosa di miracoloso, dovevo essere grata a quell’uomo che mi stava portando a conoscere il luogo più sacro sulla Terra. Quante cose avevo imparato da lui! Eppure chi era realmente? Le mie gambe erano molto stanche. Riprendemmo a camminare. Disse: – il modo giusto di vivere, di utilizzare la nostra anima senza mortificarla, esaltandola, donandole beneficio, non esercitando su di essa alcuna coercizione, è quello di cercare incessantemente il luogo silenzioso dentro di noi che è permeato di conoscenza, e che è lì per farci capire qual’è il nostro posto al mondo. Così facendo, Mira, riusciremo a liberarci delle gabbie che la vita ci impone, ad insegnarci la compassione verso le creature che insieme a noi si trovano in questa spirale di infinito che è la creazione.”
Intervento: “Io avevo letto la presentazione e mi era piaciuta molto. Viaggio e costruzione di sé sono cose che abbiamo conosciuto un po’ tutti”.
Valentina: “Riguardo la mia generazione credo che ci sia un po’ di indifferenza riguardo certi temi. Vedo più attenzione in quelli più giovani.”
Luisa Muraro: “Nelle cose che hai detto, Valentina, ho trovato troppo poco la tua soggettività. C’è a grandi linee, parzialmente il tuo intervento è autobiografico ed è la parte che mi interessa. Infatti hai sempre parlato al maschile. Le cose che hai detto sono di una verità così generale che il nostro tempo non è capace di farla sua. Abbiamo rifiutato le grandi religioni, si sono disfatte le grandi visioni e adesso si ha la necessità di trovare dei percorsi molto legati alla nostra soggettività e singolarità con tutto quello che ha di contraddittorio. Mi sono ricordata che Benedetto XVI ha parlato contro gli scienziati dicendo che per brama di ricchezza fanno un sacco di sbagli e mi sono chiesta se Antonella si trovasse d’accordo con Benedetto XVI. Sono queste questioni che irrompono nei paesaggi già confezionati cioè che Antonella Nappi si trovi d’accordo con Benedetto XVI. Bisogna camminare per quello che io ho chiamato ‘il territorio del diavolo’ e invito anche te, Valentina, a camminarci. Non aver paura di andare fuori dal seminato. Se no, non abbiamo scampo, Le questioni le abbiamo sentite tutte, le sappiamo ma c’è quella dell’indifferenza: a sedici anni ci credono, dieci anni dopo già c’è l’indifferenza. Questo incombe e ci minaccia. Antonella aveva anticipato che avrebbe detto che cosa non la convinceva riguardo politica delle donne e ambientalismo. Lei dice che le due cose possono anche urtarsi e in lei c’è la voglia di farlo vedere. Volevo ricordare che nel numero di Via Dogana che accoglie questo tipo di posizione (Questo femminismo non ci basta) c’è anche un articolo di Antonella Nappi che espone molto bene alcune sue idee che prima aveva detto cioè: questo femminismo non ci basta. In questo senso di dirompenza. Dirompenza è lei che va d’accordo con Benedetto XVI.
Valentina: “Non si tratta magari di un’indifferenza generale. Io penso che chiunque di noi, a qualsiasi età, sente il problema ambientale ma poi l’indifferenza nasce, appena si ha un problema più grande che poi non è un problema più grande in assoluto ma più grande nel senso che riguarda la nostra vita. Allora tutto il resto passa in secondo piano. Siamo talmente presi da noi stessi, dalla nostra quotidianità che non riusciamo a vedere quali sono i reali problemi che esistono nel mondo perché li mettiamo in secondo piano. Posso interessarmi al discorso ambientale ma se ho tra pochi giorni l’esame, tutto passa dopo, alla fine la quotidianità porta a non pensare più a determinate cose e a occuparsi dei propri piccoli problemi quotidiani. Non penso che sia un’indifferenza nel senso che non siamo capaci di cogliere qual è la realtà, è proprio dovuto al fatto che mettiamo tutto in secondo piano perché alla fine la cosa che ci interessa di più è il nostro orticello.
Antonella Nappi: “Secondo me l’orticello è importante. Il problema è come si pensa a questo orticello, con cultura, profondità e relazioni oppure nell’isolamento e nella fretta”.
Donatella (ospite): “Mi sono occupata di scienza tutta la vita, sono una chimica, mi sono occupata di chimica che vista come il fumo negli occhi dalla maggior parte delle persone. Mi ricollego alle ultime cose che avete detto. Io mi occupo delle cose grandi, veramente grandi, che passano in seconda linea rispetto ai problemi quotidiani. Tu hai citato l’esame che prende un giorno o due, ma ci sono i problemi un po’ più terra a terra che riguardano cose sempre terra a terra ma un pochino più costose: l’energia solare a cui si accennava è una legge ora. Quando si ristruttura una casa bisogna mettere il cappotto, le celle solari, i pannelli solari cioè le fotovoltaiche e isolare. Quando in un’assemblea condominiale viene posto questo problema vorrei sapere quanti ambientalisti si scoprono un po’ più egoisti. I pannelli solari, le celle solari per il momento non sono in grado di far circolare i tram i trasporti pubblici. Io mi sono occupata di chimica applicata all’ambiente. C’è uno scontro tra quello che vorremmo raggiungere e quello che vogliamo. Quanti rinunciano al telefonino che è veramente inquinante? Le celle fotovoltaiche sono fatte di materiali tossici, nel momento di smaltirli c’è un problema. Quindi sull’ambiente ci sono molte cose molto belle dal punto di vista teorico ma dal punto di vista pratico sono difficili da conciliare”.
Luisa Muraro: “Aggiungo solo che ho molto molto apprezzato, Valentina, nella tua esposizione quell’accostamento che fai per due o tre volte tra l’interiorità e il pianeta. Vedo che lì c’è un punto forte di pensiero.
Laura Minguzzi: “Anch’io ho sentito molto forte questa questione nominata da Luisa.L’ho sentita forte perché quando c’è questo passaggio, quando si comincia ad amare la ricerca di sé, a volere sentire e sentirsi in modo profondo, c’è un occhio, uno sguardo più acuto, un’empatia un amore anche per quello che è l’altro, che è l’essere umano diverso, il corpo diverso, la pianta, il mondo, tutto quello che è altro. Questa cosa però è molto difficile perché c’è questo essere come trascinati da una forza magnetica verso gli obiettivi esterni, verso tutto ciò che è esterno e che è solido, materializzabile e che si vede, che è visibile. E l’interiorità è invisibile, quindi l’amore per l’invisibile è l’amore per la vita perché ci sia una vita migliore. Questa cosa io la sento molto spesso insegnando quando discuto con i miei studenti sul valore delle cose, su quello che stiamo facendo. Sono le discussioni più forti, conflitti più profondi perché cerco di andare oltre l’obiettivo, oltre il presente, oltre il quotidiano e su questo c’è la fatica più grande: far vedere qualcosa al di là di quello che si sta facendo.
Antonella Nappi: Io volevo dire qualche cosa a proposito del mio rapporto con il Papa. La scienza la si trova nei siti di Wwf, di Legambiente e di Greenpeace. I più grandi studiosi dei problemi ambientali io li ho conosciuti da queste organizzazioni e dai loro convegni. Diffondevano gli studi sulle verifiche di cosa producono le biotecnologie alimentari. Ecco dunque che usare la scienza per capire e sapere l’hanno fatto anche le popolazioni in passato con i loro strumenti e oggi, lo sottoscrivo, è divertente saperne di più, capire meglio. Il fatto è che la scienza, da alcuni decenni, viene finanziata soltanto da chi vuole trarne dei beni, vuole venderli e vuole nascondere gli effetti negativi, non vuole cercarli, vuole prima guadagnare. Tomatis, ormai morto, ha scritto dei libri su questo. Si tratta di un fatto accertato e i cittadini e le persone non lo pensano automaticamente, perché per pensare alle crudeltà mentali bisogna essere dei crudeli mentali, siamo più portati a pensare che tutto sommato non ci sia tanto odio in giro.

 

Donatella Massara: “anch’io ringrazio Valentina, Luisa e Laura che hanno messo in evidenza questo rapporto tra il sé e il microcosmo e il macrocosmo, tra il sé interiore e la natura perché mi spiega il mio entusiasmo nel cercare di essere in un buon rapporto con la natura. Io sono vegetariana da tanti anni, seguo un’alimentazione macrobiotica e anche per una questione di cura cerco di seguire i dettami ecologici: mi lavo con pochissima acqua ecc. Però è come se questo microcosmo, che poi è il mio orticello, mi bastasse, non riesco a entusiasmarmi per le teorie, mentre mi hanno entusiasmato altre teorie ecologiche forse perché mi spaventano. E’ come se l’idea che ci siano dei problemi che vanno molto oltre la mia situazione personale mi mette poi in uno stato di grande passività e di ansia per non poter modificare nulla. Questo nodo, che è così interessante, mette in parola l’entusiasmo che ha probabilmente ognuna di noi e c’è da chiedersi come mai non ce l’abbiano tutti, questo è quello che stupisce, questa maledizione che imperversa nella maggioranza dell’umanità o, forse no, è una minoranza. Qual è il legame allora tra il piccolo e il grande. Io non riesco ad entusiasmarmi per le teorie neanche per l’ecofemminismo, seguo molto volentieri Antonella ogni volta che fa un’uscita pubblica perché mi permette di mettermi in relazione con qualcosa che mi manca probabilmente, che desidero, mi permette di avere un’informazione più generale. Però bisogna dire che questa informazione più generale arriva come un fulmine a ciel sereno. Io mi aspettavo che voi parlaste della questione del clima che mi ha veramente annichilita cioè scoprire che siamo tornati ai tempi della Democrazia Cristiana, mi sembra di essere negli anni Cinquanta. Io ho semplicemente letto i giornali su questa questione che l’Italia è l’unico paese in tutta Europa che non riesce a capire che ci possono essere delle grosse modificazioni adeguandosi a questi dettami della Comunità Europea. Forse non ho capito bene, forse non è poi così semplice magari lei che è una scienziata ha visto qualcosa che io semplicemente non sono riuscita a vedere. Però mi è arrivato come un fulmine a ciel sereno ridandomi la sensazione di non essere adeguata con le mie piccole pratiche se non appunto perché tutto ciò mi entusiasma mi fa sentire meglio, essere così più attenta, avere un rapporto più attento con la natura rispettandola, andando alla ricerca del cibo meno inquinato ad esempio o tante altre piccole cose”.

 

Intervento: “Io volevo parlare per le ragazze della mia generazione: ho trent’anni e sono egoista, ho il cellulare, le scarpe di pelle, ho la macchina, motorino, non me ne è mai importato niente di queste cose. Però quando ho conosciuto Valentina, lei mi ha un po’ sensibilizzato su questi temi, ho iniziato un po’ a interessarmi di più di queste cose magari in piccoli gesti quotidiani, ad esempio quando mi lavo i denti non lascio l’acqua aperta, spengo la luce se non serve, o non compro scarpe di pelle o borse di pelle, acquisto prodotti cosmetici naturali. Non è una cosa così grandiosa però è comunque qualcosa. Mi sento meno egoista in tutto, non è che tutto mi è dovuto, che posso sprecare l’acqua perché comunque prima o poi finirà e questo mi ha dato un po’ di consapevolezza magari poi è vero che quando i problemi arrivano le cose passano in secondo piano però almeno qualcosina si cerca di fare.”

 

Pinuccia Barbieri: “A me è interessato molto questo discorso sull’indifferenza anche perché io sono una che ama aggregare, fare le cose insieme. Dal pensiero mi piace estrapolare e trovare qualcosa da far insieme alle altre. Vivo spesso delle esperienze non gratificanti e abbastanza depressive. Nel mio quartiere, andando in giro e vedendo i parchi tutti rovinati, ho cercato di mettere insieme donne del mio caseggiato per portare alla luce queste cose. Io mi accorgo che fintanto che io ho questa ‘passione di trascinare’ la cosa funziona. Nel momento in cui sono attratta da altre cose da fare mi accorgo che anche l’aggregazione fatta non va più avanti da sola, cade tutto è come pensare che sempre ci sia bisogno di qualcuno che mandi avanti. Allora mi dico non si è creata abbastanza coscienza perché altrimenti…”

 

Intervento: “Se in piazzale Maciachini ci sono gli alberi modestamente è merito mio. Sono io che per sette anni ho scritto, mandato fotografie e continuato a ‘rompere l’anima’ a tutti quanti. Tante volte lavoro individualmente perché non ho chi mi segue. Certe volte sono riuscita a tirarmi dietro le persone e a fare la raccolta firme che fa perdere sempre un sacco di tempo, perchè mentre raccogli le firme bisogna spiegare, far capire il motivo e cercare di coinvolgere. Quando le persone firmano però hanno come l’idea di aver fatto un grande sforzo per cui si fermano lì.
Nel parco, creato dagli abitanti, è stato chiesto al Comune di fare un’azione quasi evangelica. Ho cercato di far capire alla gente che devono partecipare, che devono aiutarci, ho persino detto siamo vecchi noi che abbiamo tanto lavorato per questo parco perché c’è da trent’anni e abbiamo bisogno di giovani. Mi sono rivolta a coloro che hanno figli o che portano i cani, chiedendo di dare una mano anche finanziaria perché abbiamo speso tanti soldi per i ricorsi. Una volta ho fatto una predica che non finiva più alla fine è venuto un tizio a darmi il suo indirizzo di posta elettronica che poi è risultato inesistente. Questo perché si vede che si sentiva in obbligo di farsi vedere a venire lì e prometterci che ci aiutava a portare in giro i volantini. E’ un lavoro faticosissimo solo se uno ha una forza da leone può portarlo avanti perché vedo che anche le persone che sono vicino a me non sono mai riuscita a coinvolgerle. Nel mio caseggiato, pur vedendo che mi do da fare da trent’anni a questa parte, non si sono coinvolti. E’una cosa che disarma anche le persone più piene di volontà. Poi volevo dire una cosa sull’inquinamento dei telefonini: in una casa del nostro quartiere abbiamo messo un’antenna. L’istallazione di quest’antenna andava a beneficio di chi abitava nel caseggiato perché non pagavano più le spese di amministrazione o ne pagavano poche, c’era infatti un contributo da parte di quello che ha messo l’antenna. Quelli del caseggiato hanno protestato dicendo che avrebbero subito le conseguenze. E’ stato risposto loro che potevano stare tranquilli in quanto erano sotto l’effetto fungo. La scuola che era lì a due passi ha protestato ma è stato risposto che non doveva temere nulla perché era in basso. Allora noi che siamo alti che siamo tutti intorno? Io avrei potuto mettermi di nuovo a raccogliere le firme, ma se poi continuano a venir fuori cose nuove uno non può continuare tutta la vita a raccogliere firme. Sembra che le persone anche se il proprio orticello verrà bruciato dall’inquinamento sono contente di stare lì col telefonino col televisore ecc.

 

Valentina: Il fatto è che si pensa ‘tanto faranno gli altri’ o qualcuno risolverà il problema. Mi viene in mente mio fratello perché lui è una persona che spreca molto. I miei genitori hanno un bar e lui la raccolta differenziata non sa neanche cosa sia. Ha 24 anni, addirittura anche quando proviamo a spiegargli la cosa non gliene importa niente. Tanto prima o poi, dice, inventeranno qualcosa, la scienza risolverà tutto. Come lui tante persone la pensano così e secondo me con questo atteggiamento si rischia di anticipare il momento in cui non si potrà più tornare indietro.

 

Vita Cosentino: Mi ha colpito che hai citato tuo fratello. Bisogna tirare fuori questa questione e farla uscire in grande: il fatto che siano più i maschi che hanno l’atteggiamento di dominio sul mondo. L’hanno avuto storicamente e tutto ciò le scienziate lo hanno detto. Essere donne, generare la vita, mette in un’altra posizione. E poi c’è la questione che c’è una competenza femminile sul mondo che però non viene mai giocata davvero. Ed è uno degli inciampi. Il conflitto non è aperto sempre e dovunque anche in questi termini per cui continuaiamo a raccogliere firme, cerchiamo di risparmiare un po’ di acqua, però tutto ciò viene vanificato da questo spadroneggiare. Il problema è di fare un conflitto anche a quel livello. Gli uomini non possono più pensarla in questo modo che ha portato le cose ad andare malissimo, siamo a questo punto sull’orlo del baratro. Forse dobbiamo prendere più coraggio di mettere in questi termini lì la questione.

 

Antonella Nappi: Ora c’è di nuovo un cambiamento di educazione: il riposo non c’è più, gli orari non ci sono più, i cantieri possono aprire alle sette, cosa che fino dieci anni fa non era possibile, si poteva aprire non prima delle nove. Tutta la cultura è improntata sul concetto:l’individuo non esiste, le sue necessità non contano niente, conta solo il far soldi, far girare soldi, comprare merce, far spendere soldi. Ora di nuovo per forza tutto cambia e tra l’altro anche è una bella dimostrazione che erano tutte ‘balle’ il fatto che si debba tornare indietro sull’educazione, una vittoria della riflessione a dire che l’ideologia dello sviluppo era una cavolata.

 

Intervento: “Hai ragione a dire che è un fatto di comunicazione. La comunicazione è cambiata per cui tu dici ‘è pigro non legge magari neanche il cartello’. Proviamo a mettere sopra i contenitori un video secondo me funziona. A questo punto bisogna poi trovare un sistema per comunicare. Se si mette un cartello è chiaro che non viene letto. In questo fatto c’è proprio l’incoltura, bisogna trovare il modo di comunicare la cosa, perchè la comunicazione più semplice e antica non funziona.

 

Antonella Nappi: “Anche l’università è diventata più facile almento quella che vedo io, Scienze Politiche. Ritornare a fare fatica, io la trovo anche così bella la fatica del capirsi, di spiegarsi, riempie più di senso la vita e le azioni fare fatica”

 

Silvia Motta: “Io volevo solo aggiungere che trovo molto bello avere scelto la forma del romanzo per comunicare questo argomento.”

Print Friendly, PDF & Email