14 Ottobre 2006

Incontro con le Vicine di casa

Laura Minguzzi
Questa sera siamo qui per incontrare le Vicine di casa di Mestre. Ho voluto invitarle, tutte ospiti del Circolo della Rosa, per un incontro che vorrei fosse politico, di scambio di esperienze. I fili che hanno portato qui le Vicine di casa sono tanti, ma la mia relazione con Sandra De Perini è quello portante. Devo dire che per un certo periodo mi sono sentita anch’io una sua vicina di casa, anche se non alla lettera. Ci legavano lunghe telefonate e mails soprattutto per problemi scolastici, di relazione con giovani maschi adolescenti. In particolare ci legavano, e ancora ci legano, le redazioni di Via Dogana, la domenica mattina a Milano, qui al Circolo della Rosa, gli appuntamenti con la Storia a Milano, in preparazione del convegno “Cambia il mondo, cambia la storia”, i pranzi a casa mia, le cene al Circolo della Rosa. Fa parte della pratica delle Vicine l’indicazione che, quando una ha deciso di parlare, viene sostenuta. Ho praticato anch’io in diverse occasioni il “metodo” delle Vicine di casa, se così vogliamo chiamarlo. Sandra è una buona ascoltatrice e mi ha chiesto di raccontarle la mia storia, intervistandomi in un momento particolare di cambiamento, di passaggio del mio lavoro e della mia vita, che mi aveva trovata indebolita e isolata. Per capire le ragioni della mia solitudine, l’impasse del mio desiderio, l’ascolto attento di Sandra è stato per me un punto essenziale, vitale, generatore di forza e di lucidità intellettuale.
Insieme abbiamo, in seguito, realizzato incontri e momenti di scambio politico. Per esempio ho invitato Sandra al Circolo della Rosa a presentare, con Loredana Aldegheri, “L’oro dell’impresa sociale” (edizioni Mag). In particolare, mi sono fatta mediatrice con iniziative al Circolo della Rosa che hanno consentito di sciogliere un nodo irrisolto di Sandra con alcune amiche delle Città Vicine di Catania. Si sono così aperte nuove possibilità di incontri e scambi per le Vicine di casa, per le Città Vicine a per noi. Infatti alcune di noi (oltre a me, Marirì Martinengo, Marina Santini, Luciana Tavarini, Donatella Massara, Nilde Vinci) siamo state invitate a casa di Sandra, dove da alcuni anni avvengono le “conversazioni” delle Vicine di casa, per discutere di libri, di cinema, di ricerche storiche e artistiche. Il filo che unisce me e Sandra si dipana su due versanti: il primo è l’attivo interesse per la Storia e il secondo è la cura dello spazio pubblico nel contesto in cui siamo. In questo ambito, ho conosciuto Désirée Urizio che mi ha invitata a parlare della mia ricerca sulla badessa russa Eufrosina alla biblioteca del Comune di Meldola, dove all’epoca Desirée lavorava e nella quale l’anno prima Sandra aveva tenuto un ciclo di incontri sulla storia delle donne. Désirée aveva realizzato uno spazio che andava ben oltre una semplice biblioteca.
Passo ora alle domande che voglio porre qui in contesto alle Vicine di casa. Del vostro passato mi interesserebbe capire se e come avete realizzato il passaggio tra la politica delle Vicine di casa con Luana Zanella e dopo, quando lei ha fatto la scelta istituzionale ed è stata eletta in Parlamento. Quale pensiero è scaturito da questa esperienza? C’è stata rottura o continuità? Qual è infine il contesto della vostra pratica oggi? Non vi sembra che si perda mondo, quando ci si concentra solo sulle relazioni?

Alessandra De Perini
Ringrazio Laura Minguzzi che con la sua introduzione nomina la relazione tra noi: abbiamo uno scambio sulle nostre vite, sul senso della politica che facciamo, sulle contraddizioni che viviamo a scuola e sugli ostacoli che incontriamo nell’insegnare a classi di maschi adolescenti. Ringrazio voi che siete qui e che vi disponete ad ascoltarci. Mi trovo sul luogo che ritengo il cuore del pensiero e della politica della differenza.
La nostra storia di Vicine di casa si collega a questo luogo, perché da qui sono venute parole e misure che abbiamo tradotto nel nostro contesto e che ci sono servite soprattutto all’inizio per fare politica nella nostra città. In seguito, abbiamo trovato modalità, misure, parole e forme nostre.

Intanto vi voglio presentare le vicine di casa con cui sono venuta qui a Milano. Innanzitutto Nadia Lucchesi: io e lei siamo amiche da più di quarant’anni, dai tempi del Liceo. Ormai sono vent’anni che prendiamo la parola pubblicamente nella nostra città, in occasione di iniziative, incontri, a scuola o in altri luoghi pubblici. Nadia ha scritto alcuni anni fa un libro sulla Madonna per dire che il Cristianesimo l’ha fondato lei e io l’ho incoraggiata, impegnandomi poi a presentare il suo libro a Mestre, Venezia e in altre città italiane. Daniela Bettella, che in questi anni ha sostenuto il progetto dei corsi di storia delle donne e gli incontri del giovedì nella saletta della biblioteca del Centro-Donna. Una volta andata in pensione, è diventata una bravissima acquerellista. Pensando all’incontro di oggi, Daniela ha disegnato e colorato ad acquerello la “mappa delle Vicine di casa” su un grande foglio che adesso aprirà e attaccherà su una parete del Circolo, in modo che possiate vedere la nostra rete e capire di che stoffa è fatta la città in cui abitiamo. Nella mappa ci sono le nostre case, la rete delle città che ci sono vicine, i luoghi di Mestre che abbiamo segnato con la nostra presenza e dove siamo intervenute in modo significativo; c’è anche la casa di Laura Minguzzi, c’è il Club della Rosa con due grandi rose (penso che le due rose sappiate bene chi siano). Al centro di questa mappa, più grande delle altre, si vede la casa dove abito io dagli anni Settanta, un appartamento molto luminoso, di cento metri quadri, dove da trent’anni si svolgono incontri, riunioni, conversazioni. È stato il primo luogo politico delle Vicine di casa; in seguito abbiamo utilizzato tanti altri spazi della città, però tutto è nato lì, in questa casa, e, vi assicuro, non è stato facile farlo nascere. Voglio adesso dire di Lucia Pitteri, da cui ha avuto origine il primo nucleo delle Vicine di casa, nel quartiere Carpenedo-Bissuola di Mestre, dove quasi tutte abitiamo. Lucia è una donna molto pratica, infatti quando ha deciso di creare una rete di vicine, ha fatto cento telefonate ed è riuscita a convincere molte abitanti del suo rione a mettersi in movimento; è una donna capace di tessere relazioni, gentile, ma determinata, con un fortissimo desiderio di creare luoghi dove le donne, soprattutto quelle che non hanno potuto studiare per vari motivi, economici o per storie di vita, possano accedere alla cultura che per lei è il bene più prezioso. Dal suo desiderio sono nate due realtà nella nostra città: un’associazione di educazione permanente, realizzata negli anni Ottanta da donne che, insieme a Lucia, avevano frequentato le 150 ore e provato il piacere di tornare sui banchi di scuola, perciò volevano continuare a studiare storia dell’arte, filosofia, letteratura (oggi conta 600 iscrizioni e cammina ormai con le sue gambe); e una cooperativa di infermiere professionali che si chiama “Florence Nightingale” (Lucia ne racconta la nascita in uno dei libricini prodotti anni fa dalle Vicine di casa, realizzati a nostre spese col computer, fotocopiati e distribuiti a centinaia di donne). Questa cooperativa ha avuto un inizio felice, un bel successo per Lucia che ha avuto grandi riconoscimenti, ma poi è divenuta a poco a poco per lei fonte di contrasti e di un conflitto irrisolto, una matassa da sbrogliare di cose non dette, scelte non concordate, di errori non chiariti, in cui si mescolano economia non profit ed economia di mercato, rapporto tra donne giovani e donne anziane, tra immigrate e italiane, legami lavorativi mescolati a quelli affettivi e familiari. In questa cooperativa lavora infatti una nuora di Lucia ed è con lei che c’è stato conflitto. Di questo poi, se vuole, parlerà lei stessa. Vi presento poi Marina Canal che ha ritrovato, attraverso il percorso comune di questi anni, la libertà di scrivere; Gabriella Menegaldo che, attraverso i nostri incontri, lo dice lei stessa, si accorge di saper leggere la sua esperienza in modo nuovo; Désirée Urizio che è da poco con le Vicine di casa, trasferita nella nostra città con la precisa intenzione di stare vicina ad una realtà di donne impegnate in una pratica di libere relazioni. Desirée mette in gioco per le Vicine di casa la sua competenza di bibliotecaria e archivista e realizzerà presto il nostro archivio dei documenti, foto, filmati e materiali prodotti in questi anni. Con noi è presente anche la direttrice d’orchestra, maestra di coro, Sandra Perulli che anni fa ha diretto con competenza ed enorme pazienza il coro delle Vicine di casa, in un periodo – erano gli anni Novanta – in cui volevamo renderci visibili non solo attraverso la parola, ma anche con il canto, e contemporaneamente -ero soprattutto io che spingevo in questo senso – volevamo promuovere in città la diffusione della rivista Via Dogana. Sandra Perulli con Nadia Lucchesi, nel liceo dove Nadia insegna, hanno dato vita ad un coro studentesco e adesso da alcuni anni hanno aperto un laboratorio musicale dove le studentesse e gli studenti del Liceo possono cantare, danzare, recitare e, al termine dell’anno scolastico, esibirsi con grande talento in uno spettacolo che è diventato una specie di tradizione cittadina, un appuntamento gioioso.
Alcune vicine che non sono potute venire qui oggi hanno voluto scrivere delle riflessioni che ho messo nella cartellina che consegno a Laura: c’è il testo di Vilma Falco che abita in una grande casa circondata da un bellissimo giardino, dove giocano le due nipotine e dove ogni tanto ci riuniamo; poi ci sono gli scritti di Luciana Talozzi di Chioggia e di Annalisa Busato; c’è la relazione di Piera Moretti, che si firma “Pierina”, scritta anni fa in occasione del corso di formazione “Governante per anziani” curato da Leda Cossu, una vicina di casa infermiera, intervistata anni fa per Via Dogana (l’intervista è stata pubblicata in seguito in “Duemilauna – Donne che cambiano l’Italia”). Piera parla del suo metodo di lavoro, di come lei fa concretamente le pulizie nelle case dove lavora. Mi ha detto anche di dirvi che è diventata nonna e che le piace molto continuare a seguire i figli e le figlie delle donne da cui in passato ha lavorato che ora sono diventati grandi e che lei sente un po’ come figli suoi.
Ho inserito in questa cartellina gialla anche uno scritto di Désirée, uno di Marina Canal e un testo che riposta il discorso di Daniela Bettella, quando nel 2003 abbiamo preso le distanze dalle donne dei gruppi del Centro-Donna.In questo testo Daniela spiega perché non è più possibile per noi continuare uno scambio con loro. L’ultimo testo in cartellina è di Leda Cossu che spiega che cos’è il lavoro di cura e in che modo, secondo lei, la Scuola di Infermieri professionali dell’Ospedale “San Marco” di Mestre potrebbe trasformarsi e, invece di chiudere, diventare un centro di formazione per giovani donne e uomini che vogliono acquisire a livello alto la professione.
Oltre a quelle che ho nominato, ci sono altre vicine di casa che non sono qui. Fra queste innanzitutto Luana Zanella che è stata fondamentale per la storia delle Vicine, una donna di grande valore, senza la quale non ci sarebbero state le Vicine, che ha fatto una carriera velocissima nella politica istituzionale, anche grazie alle Vicine di casa, da presidente del quartiere a presidente del Consiglio Comunale di Venezia, poi assessora alle Politiche Sociali, infine parlamentare per il gruppo dei Verdi e ora di nuovo, oltre a parlamentare, assessora alla Cultura di Venezia. Prima o poi, aspetto che lei metta in parola la sua esperienza di questi anni, ma per il momento è letteralmente travolta dagli impegni e dal lavoro. Con lei – che è così lucida e attenta a quello che accade nel mondo – continua da parte mia un desiderio di relazione e sono sicura anche da parte sua. Nel libretto pubblicato nei Quaderni di Via Dogana “l’Oro delle vicine di casa – Una pratica che rende umana la città” (febbraio 1998), Luana dice che si impegna a governare nel “vincolo delle Vicine”. Vedo un aspetto di questo vincolo che lei dice di sentire ancora molto forte, per esempio, nell’aver curato recentemente un libro sul patrimonio della cristianità serbo-ortodossa, in gran parte distrutto dalla guerra, e che lei propone di da salvare. Questa cura, questa attenzione alle risorse preziose del territorio, Luana la esercitava anche a Mestre, dieci, vent’anni fa: la piccola casa, legata alla tradizione contadina veneta, che doveva essere abbattuta per costruire sopra un condominio, lei la proteggeva, così il giardino da salvaguardare, la strada, la piazza, il parco.
Poi, tra le Vicine di casa nomino Cristina Bergamasco, Paola Nordio che adesso è diventata capo sezione dei vigili urbani di Mestre, Annalisa Paoloni che, quando lavorava al Quartiere Carpendo Bissuola, per due anni ha organizzato gli incontri sulla Storia delle donne del Novecento e, in seguito, “La cura di sé”, un ciclo di incontri sulla salute, chiamando a parlare tutte le persone che in città si occupano di alimentazione naturale, di coltivazione biologica, di benessere del corpo e cure diverse dalla alla medicina ufficiale (questi incontri si concludevano con una grande fiera di prodotti biologici allestita nel parco, frequentata da migliaia di persone). Nomino tra le Vicine di casa, anche se è uno spirito libero che non ha mai voluto vincolarsi ad un impegno politico preciso con noi, Marisa Bettini che ha realizzato la bibliotecaria del Centro – Donna, con migliaia di iscritte, e ora collabora con la Biblioteca civica; poi Michela De Grandi, levatrice e adesso infermiera, che per anni ha restituito alle giovani donne la libertà di partorire in casa, invece che in ospedale; e ancora Laura Frescura (la casetta di Laura è quella in alto a sinistra, vicino alla laguna, dove effettivamente si trova) che, insieme ad altre e altri, ha costruito una comunità di ricerca sugli effetti di riequilibrio delle acque mariane sul nostro organismo (Nadia la cita nel suo libro su Maria). Queste che ho citato sono donne preziose e consapevoli che hanno una storia da raccontare, un legame forte con la città, un’esperienza significativa da trasmettere. Per questo le loro case si trovano nella mappa delle Vicine di casa.
Tra i legami significativi delle Vicine di casa c’è quello con Annarosa Buttarelli di Mantova che dalla fine degli anni ’90, è sempre stata disponibile ad ascoltare, dare consigli e indicazioni di percorso a me e a Luana Zanella. Nella mappa c’è anche la rete delle Città Vicine nata anni fa dal desiderio di Anna Di Salvo di Catania in relazione con Vivien Briante ed altre e sostenuto da Clara Jourdan della redazione di Via Dogana e della Libreria delle donne di Milano. Di questa rete delle Città Vicine fanno parte, oltre a Catania e Milano, altre città: Catanzaro, Foggia, Bologna, Roma, Firenze, Spinea, Chioggia, Verona e Mestre.
C’è un legame particolare tra Mestre e Verona. Nella città di Verona infatti, Loredana Aldegheri, presidente della Mag Servizi (la Mag è una cooperativa a governo femminile che si occupa di economia non profit e di formazione, a cui fanno riferimento più di 200 associazioni e cooperative presenti a Verona e nel territorio veronese) mi ha chiesto anni fa di trasferire lì il sapere delle Vicine di casa. In quella città mi sono così recata per alcuni anni insieme a Daniela e Piera per condurre dei corsi rivolti alle socie di diverse cooperative che fanno capo alla Mag sulla qualità delle relazioni al lavoro. A Verona c’è anche un gruppo di donne, il cui nome è “L’oro delle vicine di casa”, che organizza iniziative pubbliche sullo sguardo delle donne nei confronti della città e ha aperto nel proprio quartiere uno spazio per le famiglie, dove le mamme e i papà o i nonni possono accompagnare i bambini piccoli per farli giocare e stare insieme.
L’anno scorso la Mag ha organizzato un convegno con le Citta Vicine, in cui si è avviato un confronto politico con la rete dei Nuovi Municipi (la trascrizione del convegno è stata pubblicata nel numero di marzo 2006 della rivista trimestrale Autogestione e politica prima con il titolo “La Città del Desiderio”). Presto usciranno gli atti del convegno delle Città Vicine organizzato a Bologna da Donatella Franchi, di cui ho curato la trascrizione e a cui le Vicine di casa hanno partecipato.
In qualche modo ho cercato di illustrare la mappa delle Vicine di casa. Adesso ne racconto brevemente la storia, cercando di sintetizzare il percorso.

 

Avremmo potuto essere un gruppo di donne che si occupava del quartiere, della qualità di vita del quartiere e la cosa finiva lì, ma c’era un di più, che evidentemente in tutti questi anni ha resistito, perché noi siamo altro e di più, anche se abbiamo sempre dovuto fare i conti con chi non capiva e ci scambiava per un gruppo di femministe, per esempio le donne della sinistra, nostre avversarie fin dall’inizio, giornalisti, architetti, donne o uomini dell’amministrazione che ci scambiavano per un comitato di quartiere.
Per raccontarvi l’inizio io risalirei agli anni Ottanta. Forse è successo anche a voi l’esperienza di percorsi diversi e paralleli confluiti proprio in quegli anni nella presa di coscienza della differenza fra i sessi come nuova categoria per interpretare la realtà. Quello è stato il punto di partenza anche per alcune di noi. Da qui l’apprendimento, attraverso, chiamiamoli pure così, degli “esercizi”, di una pratica di relazione fra donne, e questo “fra donne” è stato per molto tempo il contesto privilegiato della nostra azione politica e trasformazione soggettiva. Le parole chiave di questa pratica erano: desiderio, partire da sé, mettere in gioco l’esperienza soggettiva, riconoscere la disparità, il di più di libertà di un’altra donna, fare leva sull’autorità di origine femminile. La relazione era luogo di scambio e di trasformazione, spazio simbolico dove ognuna riceveva dall’altra un giudizio, una misura di realtà e dove si vivevano e si agivano anche forti conflitti che, nei primi anni si concludevano quasi sempre con abbandoni e rotture, ma in seguito, con la crescita della capacità di ascolto e di mediazione, sono divenuti occasione di riflessione e di rilancio della scommessa comune. Nel corso del tempo alcune di noi hanno scoperto che la competenza guadagnata nei gruppi di lettura e riflessione e nei rapporti fra donne poteva essere messa in gioco per una modificazione radicale dei diversi contesti in cui ci si trovava a vivere e lavorare, non solo fra donne, ma anche con gli uomini. Così altre, altri, nel momento stesso in cui abbiamo reso visibile questa ricchezza, hanno desiderato avere accesso al “sapere della differenza”. Sono nati degli scambi più complessi, si è cominciata ad articolare una rete. Ci è stata chiara molto presto la necessità di parlare in modo chiaro e diretto, legandoci al contesto per farci capire da tutti, per rendere comprensibile e desiderabile il sapere pratico delle relazioni. Mettere al posto di un linguaggio per iniziate quella che oggi viene chiamata “lingua corrente” divenne così un impegno comune.
Nei primi anni Novanta abbiamo percepito tutte chiaramente il limite della politica “fra donne”. All’inizio del percorso, ci riunivamo al Centro Donna, organizzavamo lì incontri pubblici e iniziative, senza tuttavia identificarci con l’istituzione, senza sentirci “del” Centro, come se questo fosse un luogo di appartenenza. Da lì abbiamo visto che era possibile prendere la parola pubblicamente e agire in molti altri luoghi della città e non abbiamo voluto limitare la nostra attività politica al Centro-Donna, sempre più collocato all’interno della politica delle “Pari Opportunità”. Noi volevamo “fare” differenza.
Risale ai primi anni Novanta il forte conflitto con le donne dei gruppi del Centro Donna, molte delle quali impegnate nell’amministrazione e nella politica istituzionale cittadina. Con alcune di loro, alla fine degli anni ’80 avevamo cercato di fare un “patto”, un’alleanza tra amministratrici, donne della sinistra elette al governo della città e donne comuni, vicine di casa, gruppi di donne legate alla politica della differenza. La cosa non ha funzionato, anzi ha prodotto confusione di linguaggi, ambiguità e slittamenti di significato. Noi, per esempio, dicevamo “differenza” e altre parlavano di “uguaglianza”, sostenendo che intendevano dire la stessa cosa, noi dicevamo “disparità” e altre parlavano di “parità”, noi ci sentivamo obbligate a rendere conto alle nostre simili riguardo al senso della nostra azione politica in città e c’era chi invece rendeva conto al partito o istituzione di riferimento, noi parlavamo di “pratiche” e altre, al posto delle pratiche, parlavano di cultura e di diritti. Alla fine siamo uscite dal Centro – Donna per non continuare ad essere confuse con i gruppi del Centro e con una politica in cui non ci riconoscevamo. Nei conflitti fra donne in cui scorre energia negativa, distruttività e la vera ragione del contendere rimane nascosta, si rasenta il rischio di misoginia! Mi sono trovata più volte con questo sentimento negativo addosso, una specie di odio insensato, un disprezzo, un’insofferenza che rendono i rapporti con alcune donne un gioco al ribasso e l’incontro, il contatto con loro molto sgradevole, quasi un fastidio fisico. Penso a quelle donne che sono sempre offese con la differenza, mai entusiaste, mai commosse, mai ammirate, sempre perplesse, dubbiose su ogni cosa che dici, sempre con un “ma” messo davanti; mai una volta che ti cedano il passo, in aperto antagonismo, costantemente in contrapposizione, donne che vogliono occupare tutto lo spazio, sostituirsi a te, perché dove ci sei tu, loro si sentono negate, senza la terra sotto i piedi, donne che non ti guardano negli occhi e con il loro corpo tagliano il contesto in due. Non fu più possibile ad un certo punto per noi continuare a chiarire, a spiegare, a cercare di concordare e mettere ordine. Ci siamo così spostate da un’altra parte e abbiamo preso contatti con altre realtà e contattato altre istituzioni.
Presa distanza dal Centro-Donna come istituzione che pretendeva di includere la differenza nella parità, abbiamo fatto la scommessa che non avevamo bisogno di un luogo né di un’associazione per esistere in città. Se ci siamo chiamate “associazione”, infatti, era per poter accedere ai finanziamenti del Comune, solo per questo motivo. Lucia era l’economa dell’associazione, noi le socie, Luana la presidente, ma quelle cariche non dicevano nulla dei veri rapporti tra noi. Da un certo momento in poi abbiamo fatto a meno del luogo, scoprendo che i finanziamenti si possono chiedere e ottenere comunque, l’importante è la forza di relazione e il valore che si dà al progetto, a quello che si vuole fare insieme, allora, se hai idee e vuoi realizzare delle iniziative, le possibilità in città ci sono, si trovano.
Allontanarci dal Centro Donna ci ha dato molta forza, ci ha reso improvvisamente libere da mediazioni al ribasso e da sterili conflitti, non più soggette alle alterne vicende della politica istituzionale, non più contattate unicamente durante i periodi elettorali come “movimento”. Eravamo ormai in grado di vedere i meccanismi di non libertà che ostacolavano il nostro cammino. Per esempio un grande ostacolo alla politica delle donne è l’immaginazione messa al posto della relazione, l’ideologia al posto delle parole che nascono dall’esperienza. Le donne del gruppi del Centro-Donna hanno detto più volte che il Centro stava per “morire”, che poteva incendiare da un momento all’altro, a causa dell’impianto di illuminazione e del volume degli spazi che non erano a norma. Ogni tanto saltava fuori questa storia, che doveva scoppiare un incendio al Centro Donna. Certo l’edificio non era a norma, ma l’incendio imminente era frutto di paure immaginarie, fatte circolare da quelle che alla forza dei rapporti a cui non credevano contrapponevano il mondo “esterno”.
All’inizio degli anni Novanta, mentre il mondo era sconvolto da enormi cambiamenti, guerre, la caduta del muro di Berlino che rivelava la fine dei regimi comunisti dell’Est, è avvenuto un incontro felice fra tre donne che avevano una storia politica e radici profonde negli anni Ottanta e anche prima: una sono io, che, insieme con Nadia e Daniela, avevo dato vita alla “Rete della differenza” che si riuniva al Centro Donna, un’altra è Lucia, che aveva una intensa vita di associazione e conosceva molto bene il suo quartiere, la terza è Luana Zanella, anche lei molto radicata nella città di Mestre, dove sua madre l’aveva messa al mondo, che conosceva praticamente ogni abitante del quartiere, sapeva la storia di tante persone, “teneva in mano la città”, nel senso che attraverso lei passavano tantissimi fili di relazione e tantissime potenzialità. Tutte tre vedevamo chiaramente i fatti drammatici, guerre, esodi di massa, immigrazione povera, degrado urbano, che accadevano in quegli anni in ogni parte del mondo e volevamo agire in città per un cambiamento radicale.
Da questo incontro nascono le Vicine di casa, da questo mettere insieme delle reti.
All’inizio ci siamo limitate ad una politica nel quartiere. Abbiamo partecipato per esempio a una festa del rione Pertini, vendendo la rivista Via Dogana, mettendola vicina agli oggetti della memoria “domestica”, esposti nei banchetti allestiti dalle e dagli abitanti; abbiamo organizzato una giornata di festa l’8 marzo, utilizzando la sala della Parrocchia, un ciclo di proiezioni di film sull’amicizia tra donne, degli incontri nelle case. Ben presto la stampa e la televisione hanno dato visibilità alle Vicine di casa, per esempio in occasione della lotta del rione Pertini per il mercatino. Le vicine di casa partecipavano alle assemblee pubbliche del quartiere, facevano parte della delegazione degli abitanti, prendevano la parola, protestavano, giravano per gli uffici, imparavano a leggere le carte dei tecnici e degli architetti, ponevano domande agli amministratori, aprivano contraddizioni. Ovunque si è vista la potenzialità delle Vicine, anche il parroco del quartiere ha colto la novità delle Vicine e scritto una lettera sul giornalino della parrocchia in cui, preoccupato, parla della fine del patriarcato e della nuova forza delle donne che vedeva aggirarsi per le vie del quartiere. Evidentemente avevamo toccato qualcosa di profondo. Le Vicine infatti fanno leva su qualcosa che tutti anche oggi riconoscono, donne e uomini, basta che volgano lo sguardo verso la realtà vicino a casa, verso l’economia domestica che nasce e si sviluppa intorno alla figura materna e alle relazioni femminili.
Luisa Muraro, a cui avevo dato nella primavera del ’91 il primo volantino delle Vicine di casa, ha colto subito la novità del progetto e ci ha scritto una lettera in cui ci poneva dieci domande che riguardavano i rapporti tra noi, le contraddizioni, i conflitti, la scommessa politica delle Vicine. Ci siamo riunite a casa di una vicina e abbiamo iniziato a rispondere a quelle domande, registrando la nostra conversazione. Ne è nato così un articolo per Via Dogana, il primo articolo delle Vicine di casa. La nostra era una pratica politica in grado di misurarsi, a partire dal contesto vicino a casa, con i grandi problemi del presente e di dare risposte significative al bisogno diffuso di senso e di radicamento. Da lì sono nati collegamenti, contatti, ricerche. I problemi molto grossi che in quel momento stava affrontando la nostra città erano l’inquinamento chimico causato dalle fabbriche di Porto Marghera, la fine dell’organizzazione fordista del lavoro e le nuove forme di lavoro, la presenza sulle strade di notte di giovanissime prostitute dell’Est, l’arrivo di tantissimi immigrati, molti dei quali nomadi, il degrado urbano. Nella periferia della nostra città nei primi anni Novanta erano stati allestiti due campi nomadi. La gente aveva paura, per cui si erano verificati dei conflitti nelle assemblee di quartiere, dove tanti abitanti accorrevano per gridare contro l’amministrazione che accoglieva il “popolo delle discariche”. Quello è stato un momento molto difficile. In più, un quartiere intero, quello di Via Piave, era insorto perché le prostitute dell’Est o del Sud del mondo circolavano liberamente per le strade, causando disagi alle e agli abitanti, aumento del traffico di veicoli (una vicina di casa di casa aveva fatto il conto che in un’ora erano passate sotto casa sua non so quante macchine!più di cento forse), oltre a problemi di igiene e di decoro. Di notte dentro i piccoli giardini che circondano le case di Via Piave veniva gettato di tutto: fazzoletti sporchi, preservativi, cicche, lattine, pannolini ecc. La gente era come inferocita e chi prendeva la parola cominciava sempre così: “Non sono razzista, però …”. Allora quelle di noi che si trovavano coinvolte in questo genere di problemi, hanno attivato una pratica di ascolto, senza voler avere ragione e dire l’ultima a tutti i costi, perché certi problemi, questo lo abbiamo capito bene, non sono risolvibili, o non lo sono immediatamente, ci vogliono le mediazioni giuste; però la gente si può ascoltare, si può cercare di capire e, invece di dire a quelli che protestano: “vergognatevi, siete razzisti, egoisti, incapaci di solidarietà!” o proporre loro ideali impraticabili, come facevano i partiti della sinistra o i giornali locali che scrivevano a titoli cubitali insulti e parole cariche di disprezzo nei confronti degli abitanti, noi ci siamo collocate dalla parte della comunità ospitante per cercare di capire le cose tenendo conto di questo punto di vista, ma soprattutto per portare il conflitto ad un livello più alto.
Così abbiamo iniziato un’azione che dal locale ci collegava ad un contesto più ampio, perché vedevamo che i problemi che avevamo noi li avevano anche tante altre città in quel momento in Italia e in molte parti del mondo. Iniziava la globalizzazione. Dal momento in cui abbiamo preso la parola pubblica e ci siamo poste come voce autorevole di donne che avevano a cuore la città, siamo state invitate a parlare in molti altri luoghi, nei paesi vicini a Mestre e in altre città, suscitando sempre un vivo interesse e molto riconoscimento. Non eravamo delle docenti universitarie o funzionarie della politica istituzionale che arrivavano con una relazione da esporre, ma parlavamo a partire dall’esperienza, ci ponevamo come “vicine di casa” appunto, come donne che avevano deciso di far fronte al disordine nella propria città e scommesso sulla qualità dei rapporti per restituire senso al vivere quotidiano. Da qui una rete sempre più fitta di relazioni.
Con le Vicine di casa ho potuto sperimentare l’efficacia di una lingua che nominava in termini semplici, concreti, vicini all’esperienza la realtà dei grandi problemi del mondo attuale. Quegli anni di forte esposizione pubblica sono stati molto appassionanti.
La pratica del vicinato si poneva come una politica che andava bene a uomini e donne, un nuovo modo di fare politica che ci consentiva di avvicinarci ai problemi della nostra città, di ascoltare le ragioni diverse di uomini e donne, rendendoci capaci di mediazioni, di risposte positive e concrete anche nelle situazioni più difficili.
Poi nel 1996 – ’97 c’è stato un arresto, un conflitto. Proprio nel momento in cui avevamo raggiunto il massimo di visibilità e la scommessa delle Vicine di casa andava ulteriormente radicalizzata, rilanciata, proprio allora si manifesta in alcune di noi l’esitazione alla vita pubblica, si ripresenta l’estraneità dovuta ad innumerevoli motivi (un non sentirsi all’altezza della situazione, non saper stare alla realtà delle contraddizioni in quel momento) e nascono tra noi incomprensioni profonde: da un lato ci sono quelle che mettono al centro la città con i suoi problemi, puntando sulla parola pubblica e che scommettono sulla trasmissione della pratica di relazione in ambiti sempre più vasti, attraverso iniziative e dibattiti non solo nella propria, ma anche in altre città, dove sempre più spesso sono chiamate a parlare da gruppi, realtà politiche, istituzioni, dall’altra ci sono quelle che si sentono incalzate da un troppo “fare” e sono sempre più a disagio nello spazio pubblico, mentre privilegiano lo spazio dei rapporti e misurano ogni cosa che accade con il criterio dell’autenticità dei percorsi e il grado di consapevolezza raggiunta.
Donne che erano colonne portanti del progetto cominciarono a vacillare e ad avere dubbi sulla forza e l’efficacia della politica che stavamo facendo insieme.
L’esitazione alla vita pubblica, nominata in un articolo su Via Dogana da Lia Cigarini, non è una spiegazione sufficiente, secondo me, di questo impasse in cui ci siamo trovate. Ad un certo punto la vita pubblica sembrò ad alcune slegata a tal punto dal piano dei rapporti da risultare una finzione insopportabile. Ci fu una tacita separazione. Io, Luana, Nadia e altre abbiamo continuato a portare avanti in città una visibilità pubblica della differenza e da quel conflitto andiamo avanti. Oggi ci vediamo nelle case e utilizziamo gli spazi pubblici della città, la sala del quartiere, la casa dell’Ospitalità, la biblioteca del Centro-Donna, il Centro “Maria delle Grazie”, il Liceo Giordano Bruno. Tra noi ci sono quelle che puntano solo sul piacere e il sapere dei liberi rapporti e quelle, poche, che guardano da qui anche alla vita pubblica.
Il vincolo delle Vicine sono i legami fra noi. Io sento ancora molto forte il legame con Luana Zanella, come se ci fosse una promessa, una restituzione di senso che non si è realizzata pienamente, una ricchezza di cose capite e di esperienze fatte da rielaborare e rimettere in gioco.
Per quanto riguarda i problemi che abbiamo affrontato nel nostro percorso e che ancora ci vedono impegnate, ne elencherò alcuni:
Il riconoscimento di autorità e di competenza politica da parte di uomini, istituzioni, università, scuole, giornali, quartieri, enti, realtà del mondo economico. Il problema della giusta posizione da prendere rispetto alle istituzioni: non si può chiedere all’istituzione, sia questa il Comune, il Quartiere, la Scuola, finanziamenti e riconoscimenti pubblici. Spetta all’istituzione, che è fatta di persone, nomi e cognomi, formulare una domanda, promuovere autorità sociale, riconoscere figure sociali positive, capire, attraverso uno sguardo attento, ciò che si muove e genera cambiamenti positivi nel territorio. Chi amministra e governa la città coglie l’oro delle Vicine di casa, se noi sappiamo renderlo visibile e ne abbiamo cura come di un bene prezioso che non può essere posseduto, ma, per brillare e moltiplicarsi, ha necessità di passare di mano in mano. Questa ricchezza non ce l’abbiamo solo noi Vicine di casa, ma molta altra gente che in questi anni abbiamo intervistato, uomini e donne di grande valore, capaci di dare orientamento, di trovare soluzioni pratiche ai problemi. Bisogna che l’istituzione si guardi intorno e sappia valorizzare le competenze di donne e uomini che operano in città con coraggio, intelligenza e generosità.
Il conflitto con lo schema diritti – uguaglianza – democrazia è sempre aperto. I rapporti di differenza con gli uomini: c’è tutto uno stile di relazione che bisogna apprendere ed esercitare per poter intrecciare nuove forme di relazione con gli uomini. Le relazioni di differenza sono necessarie se si vuole costruire un mondo di donne e di uomini.
Un’altra questione ancora sono i rapporti con le donne giovani, per niente facili. Anni fa abbiamo scelto di puntare sulle donne giovani, abbiamo parlato con figlie adolescenti, nipoti, nuore, studentesse, colleghe, ricercatrici universitarie, ragazze impegnate nel volontariato e cercato di trasmettere loro una modalità diversa, più libera di essere donne. Secondo noi valeva la pena lavorare sulle relazioni con le giovani donne: si trattava di un investimento sul futuro. Ci siamo chieste quale fosse il modo migliore di consegnare alle giovani l’eredità delle Vicine, il sapere guadagnato nei rapporti. A volte però è accaduto che la giovane, mossa da risentimento e antagonismo nei confronti delle madre, dell’insegnante, delle donne più anziane, si sia sottratta alla misura femminile e abbia preferito rivolgersi ad una autorità maschile. Alcune giovani hanno tradito improvvisamente la fiducia riposta in loro e, non disposte a fare la fatica di sostenere il proprio desiderio, si sono spostate su un terreno più facile, neutro, rinnegando così le proprie simili.
L’impresa simbolica delle Vicine di casa è stata, ed è ancora per molte di noi, quella dell’educazione di figli, figlie e ora anche di nipoti (alcune di noi sono ormai nonne). Il “ritorno” di questa politica c’è quando la ragazza, ormai inserita nella vita adulta, capisce di essere stata sostenuta da mani, da sguardi e parole femminili e torna a dirlo o scrive una lettera in cui riconosce l’importanza che ha avuto nella sua adolescenza la figura delle vicine riunite intorno a sua madre, oppure quando l’ ex studentessa, divenuta imprenditrice o professionista, ringrazia l’insegnante a cui deve la sua formazione e la presa di coscienza. Ci sono delle tesi di laurea dedicate alle Vicine di casa, innumerevoli lettere scritte da madri a figlie e viceversa, benedizioni di matrimoni, commemorazioni di madri, sorelle o fratelli di alcune di noi che hanno reso meno dolorosa, altamente significativa la cerimonia laica di addio o il funerale religioso.

Print Friendly, PDF & Email