21 Febbraio 2019

La critica letteraria femminista: Tiziana de Rogatis su Elena Ferrante

di Francesca Avanzini

È un modo nuovo e affascinante di fare critica letteraria quello di Tiziana de Rogatis, che sabato 9 febbraio ha parlato del suo libro “Elena Ferrante. Parole chiave” presso la Libreria delle Donne di Milano. Nuovo perché si libera dei paludamenti di certa critica “allineata” e si avvicina, per mimare il titolo, a una delle parole chiave del femminismo, quell’ “a partire da sé” che per de Rogatis si esplicita in un ascolto delle risonanze del testo sulla propria soggettività, per allargarsi poi a un suggerimento di lettura dell’esistenza di sé e delle altre.

Ma sgombriamo il campo da qualunque sospetto di visceralità o improvvisazione. Come fa notare Liliana Rampello, che la introduce, de Rogatis “ha importanti strumenti e architettura critica”. Insegnante di Letteratura comparata presso l’Università per Stranieri di Siena, con anni di ricerca alle spalle, “il suo approccio può fornire chiavi di lettura critica anche ad altri saggisti.” Alessandra Pigliaru del Manifesto, co-relatrice insieme a Rampello, ricorda come il successo di Ferrante, che sfiora a volte il fanatismo, leghi insieme le lettrici più diverse e come de Rogatis, anche attraverso protagoniste precedenti la quadrilogia, metta in campo un discorso sulla soggettività femminile a partire dalle parole chiave. La domanda è come mai tra le prime ci siano “smarginatura” e “frantumaglia”.

Parto,” spiega de Rogatis, “come studiosa di Montale, cioè dal salotto buono. Poi ho avuto una crisi della creatività personale. Il Montalismo non mi interessava più, e mentre cercavo di capire il perché, mi è capitato di leggere “L’amore molesto”, che parlava di uno sprofondamento come il mio e che ha cambiato il mio punto di vista sulle cose. Montale mi forniva il blasone, perché ero una studiosa e non uno studioso; Ferrante era sconosciuta quando iniziai il lavoro. Ha ricevuto attacchi molto violenti, così ho deciso di difenderla e parlare di lei. Prima c’era un vero e proprio divieto di accesso a Ferrante nelle università ad opera di universitari maschi. Con le macerie della mia formazione tradizionale ho fatto qualcosa di nuovo, con quello che restava del mio passato di studiosa, ho fatto il libro.”

Tutto questo ha a che fare con la smarginatura, la frammentazione, la perdita dei contorni del sé che fa precipitare nella caverna delle madri, nell’indistinto primordiale, esperienza comune a molte donne, oltre che a scrittrici e poete.

Affine al concetto di smarginatura è quello di labirinto. “ Il mio libro”, continua de Rogatis, “è costruito secondo l’idea del labirinto, sfruttando quindi un sapere non accademico, e la lettura può essere anche disordinata. Allo stesso modo le bambine Elena e Lila si perdono nel labirinto delle strade per giungere al mare, la stessa affermazione nella vita pubblica è uno sperdersi nel labirinto per poi ritrovarsi. Si emerge e poi si sprofonda di nuovo. Non c’è nessuna vergogna nello sprofondare.”

Pigliaru rimarca che “la relazione madre-figlia è il nocciolo dei testi della Ferrante, così come l’intimità e l’ambivalenza del legame tra donne, simboleggiato da quello tra Elena e Lila. Ferrante non fa sconti a far emergere le parti oscure, la relazione faticosa tra donne. Per questo”, aggiunge, ”ne sono attratta, perché ci autorizza alle contraddizioni. Fa emergere la parte umbratile: invidia, sopraffazione. È una questione di sopravvivenza che non è vittimismo, ma ‘vivere sopra’.”

De Rogatis fa notare come Ferrante abbia anticipato elementi di metoo. “Elena e Lila sono spiazzanti. Elena spesso definisce Lila una strega. Ci sono fasi di opportunismo tra queste due subalterne, oscillazioni tra ombra e luce. Ci sono tentativi di manipolare non solo il maschile, ma anche l’altra. La forza è restare in relazione nonostante tutto. La struttura patriarcale poteva anche farle soccombere, ma loro trovano l’una nell’altra ragioni di forza e di conflitto. Sono personaggi non salvifici o edificanti, così come le attrici di metoo non sono Maria Goretti. Attraverso un rapporto spesso forzatamente ambiguo con il maschile, sono capaci di trasformazione profonda soprattutto attraverso l’altra.

Viviamo in un periodo di emergenza”, continua de Rogatis.”La crisi del welfare pesa sulle donne, l’emigrazione porta quote arcaiche e i diritti delle donne sono in pericolo. Il patriarcato potrebbe tornare. Raccontare gli abusi non crea vittimismo, anzi, è proprio nel raccontare che c’è forza e sopravvivenza.”

Alla domanda successiva posta da Pigliaru circa il contesto napoletano in cui la vicenda è inserita, de Rogatis risponde con un aneddoto: “Ero a Shangai, all’Università Fudan, una delle più prestigiose della Cina, e una studentessa cinese mi ha chiesto se la smarginatura è quello che succede alle donne quando subiscono la violenza del sistema maschile. La vicenda narrata dalla Ferrante è molto locale, anche stereotipata, con scenate e sceneggiate, e però la scrittrice ha universalizzato il rione napoletano.”

C’è, come faceva notare Pigliaru, un elemento di classe ma, “anche metoo ci dice che attrici superpagate raccontano storie di umiliazione tanto quanto le proletarie napoletane. Può darsi che nasca una stagione di universalizzazione su un dato grave come quello della violenza di genere.”

Proseguendo nel discorso sul libro, Pigliaru dice di essere stata colpita dai termini “arcaico” e “vulnerabilità”. Il terremoto che scuote il corpo di Lila quando per la prima volta subisce una “smarginatura”, è qualcosa di imponderabile e che non si può controllare, molto simile a un attacco di panico, mentre la vulnerabilità si rivela nel rapporto con l’altra ed è uno strumento politico eccezionale.

De Rogatis spiega che ”la caduta nella caverna, la smarginatura, lo sprofondare, è raccontato come se fosse una fase rituale a cui segue un’emersione. La caverna è uno spazio mitico in cui si dovrebbe recuperare la sorveglianza non repressiva ma espressiva. Dopo la smarginatura, si dovrebbe esercitare una sorveglianza.” Non a caso spesso le protagoniste, quando sprofondano nella loro personale caverna, lo fanno con un computer, strumento tecnologico che contrasta con l’arcaico del ritorno alle madri, e che simboleggia la capacità di raccontare l’oscuro e salvarsi. Ma la smarginatura rivela anche altri aspetti. “Nello sprofondamento,” continua de Rogatis, “ti sveli come qualcosa che per sopravvivere deve dipendere. In questo senso la smarginatura è molto simile a un’epifania joyciana. Lila vive la smarginatura quando, durante i fuochi d’artificio di Capodanno, il fratello si rivela da protettivo a uomo avido. La smarginatura è provocata dal maschile.”

De Rogatis fa esempi personali di arcaico e vulnerabilità, sottolineando però che non è parola che la Ferrante usi. “All’Università per Stranieri di Siena, dove insegno, ho studenti che ancora sostengono la legittimità del delitto d’onore. Sono qui tra noi e non abbiamo le risorse per gestirli, e allora occorre tenere tutto insieme come nella caverna, senza recedere sui diritti. Ancora: per me “arcaico” è sentirmi inadeguata nello stare dove sono all’Università. Finché mi sono occupata di Montale, tutto bene, me ne stavo nella mia stanzetta di cristallo, invece con la Ferrante per alcuni colleghi sono decaduta. E questo per me è accettare la vulnerabilità attraverso l’altra.”

Del resto lo stesso che a Ferrante è successo a Elsa Morante, di cui pure de Rogatis si sta occupando al momento insieme a Elizabeth Strout, altra scrittrice molto amata e popolare.

Anche per la Morante il successo viene portato a detrimento. C’è stata un’estrema violenza nell’attacco a lei, che ha osato sconfinare dallo spazio in cui una donna deve stare. Finché stai nel domestico, nello spazio che ti compete, tutto bene, ma se crei un grande affresco storico, guardi la Resistenza dal basso, lì hai sconfinato in un campo maschile, e la visibilità femminile torna a essere un tabù. La Ferrante invece insabbia le grandi date. Il ’68 poteva essere un’occasione di riscatto per le sue protagoniste, ma non è così.”

Rampello, a conclusione della presentazione ricorda una frase di Virginia Woolf, che è l’emozione a tenere insieme il testo, più che la concatenazione degli eventi o qualunque altra cosa.

(www.libreriadelledonne.it, 21 febbraio 2019)

Print Friendly, PDF & Email