7 Luglio 2012

Nuove forme di prostituzione


Circolo della rosa, Milano, sabato 7 luglio 2012, ore 18


Trascrizione a cura di Serena Fuart

 

In occasione della ristampa del libro di Roberta Tatafiore, Sesso al lavoro (a cura di Bia Sarasini, Il Saggiatore 2012) parleremo delle nuove forme di prostituzione. Non c’è una relazione introduttiva, discuteremo a partire da alcuni casi con Laura Colombo, Sara Gandini, Luisa Muraro, Laura Modini, e con un testo scritto di Mariangela Mianiti.

 

 

Luisa Muraro

Il mio racconto è quello di Mariangela Mianiti. Faccio una premessa per dare un’informazione: il nostro codice vieta lo scambio di denaro per la donazione di sangue e organi ma non è ovunque così. Nel nostro codice inoltre non è previsto né gratis né a pagamento l’utero in affitto. E la prostituzione non è né regolata, né proibita, è depenalizzata. Prostituirsi è, faccio un esempio, come se decidessi di fare una passeggiata. La faccio e basta. Nel nostro codice, grazie alla legge Merlin, prostituirsi è depenalizzato. Per contro la legge punisce chi sfrutta la prostituzione, compresi gli albergatori che sono considerati sfruttatori. Ed è punito anche chi la favorisce come il taxista che sa che trasporta una persona che va a prostituirsi.

Ma perché facciamo questo incontro sulle nuove forme di prostituzione? C’è motivo di pensare che l’Europa (dove ci sono leggi diverse, per esempio la Svezia punisce chi paga le prostitute) vada verso una regolamentazione della prostituzione, quindi l’Italia dovrebbe lasciare il regime di depenalizzazione. Io sono per quelle che vogliono la depenalizzazione. In questo frangente le nuove forme di prostituzione giocano un ruolo strategico in favore di quelli che la vogliono regolamentare, offrono nuovi argomenti per chi la vuole legalizzare. Ho sentito discorsi così in Francia. Le nuove forme di prostituzione non vanno nella direzione della mancanza di libertà femminile. Allora si vuole banalizzarla e farne un’attività ordinaria da controllare ecc., per questo mi interessa l’argomento di questa sera.

 

Sara Gandini dà l’inizio al racconto di cinque esperienze.

La prima a parlare è Laura Modini.

Io voglio fare due poli. Il primo è un’esperienza mia infantile, di mia madre che mi raccontava che durante la guerra conobbe un’amica a Roma nel ’43 che faceva “la vita”, espressione che mi è rimasta molto impressa. Da Roma questa ragazza era andata a Milano perché aveva conosciuto un avvocato che si era innamorato di lei. Prima della legge Merlin però tutte le prostitute erano schedate. Quando c’è stato bombardamento a Roma e mia madre si trasferì da lei a Milano, questa donna era disperata perché voleva sposare l’avvocato ma era schedata come prostituta e non poteva sposarsi. Sperava di rifarsi una vita ma il suo sogno andò in fumo. Dopo sei mesi si uccise. Mia madre diceva che lei era stata costretta a prostituirsi per fame. Nessun giudizio quindi.

In riferimento alle nuove forme di prostituzione vorrei raccontare di un brano del libro di Concita de Gregorio in cui intervista una ragazza di 27 anni, laureata, di famiglia non ricca ma normale (http://www.libreriadelledonne.it/news/articoli/circolo070511_cristina.htm). Questa ragazza un bel giorno, scherzando con un amico, dopo aver letto annunci hot sul giornale pensa che quello è un modo semplice di guadagnare. Quello che la frenava era la paura e il rischio di violenza, però si è ingegnata. Ha preso un appartamento. Una stanza di attività e una stanza dove c’era una segretaria. E così ha trovato la sua tranquillità: «Ho scoperto che guadagno 10.000 euro al mese con poca fatica. Lavoro solo la mattina poi il pomeriggio sono libera, esco con il mio fidanzato e faccio shopping. La sera faccio a volte la babysitter. Faccio un lavoro utile al sistema:  infatti soddisfo mariti che hanno mogli che non  ci riescono, uomini che hanno momenti di debolezza». Lei si sente una che fa un servizio utile. Ma io ho dei grossi dubbi ad accettare le sue parole perché io, se fossi in lei, sentirei che una parte di me viene invasa da un estraneo e questo in Cristina sembra accadere senza che emergano sentimenti particolari. Mi fa problema come mi fa problema l’uso del sesso. Ho questioni non risolte su questo tema.

 

Interviene Laura Colombo.

Parlerò di Nuvola Nera, una donna molto bella che abbiamo intervistato l’anno scorso per un nostro incontro. È una pornostar che adesso ha un sexyshop nella periferia Sud di Milano. L’abbiamo incontrata e ci ha detto che voleva essere citata colo con il suo nome d’arte perché in passato è stata arrestata con il marito per sfruttamento della prostituzione, nonostante le ragazze che lavoravano per lei avessero testimoniato a suo favore. È una sera della primavera del 2011, io e Sara incontriamo una bella donna che si fa chiamare Nuvola Nera. Ha cinquant’anni ma ne dimostra dieci di meno e si presenta come un’irrequieta donna del sud. Ha lunghi capelli mori, occhi scuri, è abbronzata e ha un fisico slanciato e ben fatto. Nuvola ci racconta: «Case chiuse ce n’è in ogni luogo, ormai la donna non fa niente per niente, forse gli uomini non la meritano neanche per niente. Un regalo c’è sempre: un gioiello per esempio,  anche per una donna normale, giusto?»

Quando hai iniziato che cosa facevi? Come si è trasformato il tuo lavoro e cosa fai adesso?

«Ho gestito per più di 20 anni un’impresa di pulizie. Mi sono sposata a 20 anni, a 21 ho avuto il mio primo figlio e mio marito aveva 20 anni più di me. Non dico che qualcuno mi ha obbligata a fare quello che ho fatto e neppure che sono pentita, le pentite a me non piacciono, però ero una ragazza calabrese un po’ chiusa, timida. Forse dentro di me c’era quello che c’è oggi e non sapevo come tirarlo fuori. Nessuno mi ha obbligata ma dopo un anno e mezzo che ero sposata con mio marito lui si è rivelato un gran porco: voleva vedermi nei club privé con uomini, con donne e tutte queste cose. Ho iniziato ad andare in giro nei club privé a ballare, piano piano è uscito il mio carattere esuberante e mi hanno battezzata Nuvola Nera, dicevano che scateno il temporale perché riesco a tirar su il morale, a trascinare gli altri. A me piace divertirmi. Mi piace anche essere il centro dell’attenzione. In più sono esibizionista. Così è nato il primo figlio, girando tra club e club. Nel 1995 ne abbiamo aperto uno io e mio marito e ha cominciato a prendere piede, nonostante fossi così giovane, proprio per il mio carattere. Ho avuto entrambi i figli con mio marito, non l’ho mai tradito, quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto insieme, ci siamo separati dopo la disavventura del 2001. Però finiti gli arresti domiciliari abbiamo riaperto il club, sono sempre venuti i controlli e non ci hanno mai trovato niente anche perché le ragazze non venivano sfruttate, però voglio dirvi che gli scambi di coppia sono praticamente come le case chiuse. Adesso vi spiego: nei club ci sono coppie pagate per far sesso. Una volta erano veri i club privé, io ho fatto di tutto per tenerlo ‘vero’ il mio, finché non ce l’ho fatta più. ‘Vero’ significa che il single pagava 300 mila lire, adesso 150 euro, ma non era garantito il sesso, solo l’ingresso, può andar bene o male. Poi nel ’97 ho cominciato a vedere che non funzionava più come prima e i singoli si lamentavano dicendo che negli altri club facevano sesso. Io ho capito che dagli altri c’erano coppie pagate: se nessuno faceva sesso, alla fine subentravano loro. Io piuttosto che inserire coppie pagate, ho inventato il club “spettacoli non-stop” dove 7/8 ragazze socie facevano spogliarello e poi potevano andare nel privè. Erano quasi tutte donne italiane che avevano sui trent’anni e avevano sempre bambini a casa, quindi avevano una doppia vita, lo facevano proprio perché serviva. Molte lavoravano anche di giorno, facevano quello di sera per arrotondare.»

Tu dicevi prima che nessuno ti ha costretta.

«Sì, nel senso che non è che mio marito… Alla fine del ’97 quando ho conosciuto Maurizia Paradiso mi sono creata questo personaggio, Nuvola, ma sono sempre stata esplicita, ho sempre detto che ero sposata, avevo due figli, un’impresa di pulizie. Sono diversa dalle altre pornostar, perché è difficile che un’altra riesca a fare due figli, una famiglia, invece con mio marito le cose andavano. Un giorno lui mi ha detto “dai facciamo un film amatoriale”, nel frattempo mio figlio aveva compiuto 18 anni e gli ho parlato, lui già sapeva che mi spogliavo per far spettacolo e gli ho chiesto cosa ne pensava se avessi fatto un film e lui ha risposto “certo che a me non piace, però la tua vita è tua, tu ti sei sempre comportata da mamma quindi fai quello che vuoi”. Mia figlia è stata intervistata dalle iene che le hanno chiesto cosa ne pensava del lavoro di sua mamma, e lei è tranquilla, non ha mai avuto problemi anche con gli amici, mi rispettano tutti i suoi amici.»

Allora è stato tuo marito…

«Sì, lui mi ha portato in un club e io sono uscita piangendo, mi dava fastidio che gli altri mi toccassero, poi gli ho detto che se mi faceva scegliere la persona e lo facevamo solo tra di noi, piano piano… poi ha capito che ero esibizionista e mi ha detto una sera in un locale “ti do un milione se ti spogli su quel cubo”; mi hanno fatto un po’ ubriacare, hanno messo una musica e io mi sono spogliata. Ho visto che la gente impazziva e da quel giorno ci ho preso gusto a spogliarmi. Se dovessi essere io a scegliere, a me piace spogliarmi e non dare altro però i film li ho dovuti fare per i fans. Solo che ora non li faccio più perché sono mal pagati.»

Ti sei anche prostituita?

«Non sulla strada, però nei locali ho fatto privé.»

C’è solo la molla dei soldi o c’è anche altro?

«Ci sono anche gli uomini… Una volta uno si è messo in ginocchio e mi ha detto “ti do il libretto degli assegni, segna quello che vuoi” ma io gli ho risposto che non mi andava di andare con lui di là. E c’è anche un piacere nel realizzare i desideri degli uomini. Gli uomini che vanno in questi locali la maggioranza sono soli. A volte neanche vogliono fare sesso, vengono lì, fanno una chiacchierata, hanno bisogno di umanità.»

Quando i tuoi figli erano piccoli e vedevano la tua promiscuità sessuale…

«Dipende da come una donna si comporta a casa. Io lavo, stiro, faccio le faccende. I mie figli non bevono, non fumano, non sono stupidi. Mio figlio è geometra, mia figlia si è diplomata con 90, in una scuola tecnica ha studiato i computer e adesso portano avanti l’impresa di pulizie. E noi non abbiamo mai fatto vedere nulla ai nostri figli, a casa era un’altra cosa, non abbiamo mai raccontato quello che facevamo.»

La relazione con tuo marito era buona?

«Lui aveva il sesso da tutte le parti, lo eccitava questa cosa, tante volte abbiamo fatto i triangoli con altri ragazzi, a lui piaceva, non solo guardare, partecipava anche. Ma non è solo mio marito, voi non avete idea di quanti ce n’è, quelli che non lo possono fare con la loro compagna pagano per farlo, l’80%, e quanti uomini giovani e belli sono attratti dai trans, proprio tanti. Io penso che la libidine è una cosa, poi uno è una persona normale quando gli è finita quella libidine.»

Adesso hai un compagno?

«Sì, che ha 38 anni, che sapeva cosa facevo ma è gelosissimo e adesso mi fa disperare. Stiamo insieme da 9 mesi e l’ho conosciuto all’ospedale. Con lui convivo, per la prima volta dopo il marito. I miei fan sono ragazzi e tante donne.»

E queste ragazze giovani che magari per studiare si vendono…

«Non è che si vendono, è anche la società che non ti permette di fare altro. Poi ci sono quelle che trovano il sistema facile, senza fatica, e lo fanno. Magari non accetterebbero di andare a lavare una scala. E io conosco anche laureate che lo fanno. Secondo me è anche colpa degli uomini che quando vogliono qualcosa mettono subito i soldi avanti. Da questo giro non si esce mai perché forse piace, gli uomini ti fanno un sacco di complimenti che a volte appagano più del resto.»

Secondo te è un lavoro come un altro?

«Sì, ma dipende da come lo fai. Se lo fai come un lavoro.

C’è amore e sesso. Sesso è la libidine e lo fai per sfogare e provare delle sensazioni. Poi dipende perché per molte donne non è così, ma gli uomini ne hanno un bisogno fisico. Per le donne (non tutte) è diverso: noi siamo più sentimentali, ci innamoriamo di più.»

Non hai mai avuto schifo di qualcosa?

«Ma io ho fatto principalmente spettacoli, e nei privé scelgo io con chi stare.»

E il tuo desiderio come entra in gioco?

«A me piace quando sono sul palco di un locale e li vedi che bramano per te. Io vengo a volte. Li vedi che ti desiderano e non possono toccarti né fare niente. Poi quando ballo ho delle belle movenze, e loro muoiono, tutti mi fanno complimento perché trasmetto femminilità, diversa da quelle che si spogliano adesso, che non sanno ballare e masticano la cicca mentre ballano al palo. Io dicevo sempre alle mie ragazze: immaginati che il palo sia il più bel ragazzo al mondo che ti vorresti fare, e fai credere agli altri che con loro faresti così e trasmetti con l’immaginazione qualcosa di diverso.»

La cosa che si lega con le nuove forme di prostituzione è il piacere nell’essere guardata e nell’usare il proprio corpo. Siamo state anche alla casa delle donne di Viareggio in occasione della giornata internazionale della violenza ed era il momento in cui il documentario della Zanardo era uscito e faceva molto discutere. Noi abbiamo portato qualche elemento di critica a proposito del documentario che riguarda l’aspetto moralistico che c’era. E una donna, femminista storica, ha raccontato che la figlia 20 anni che fa l’università per mantenersi agli studi andava in discoteca a ballare sul cubo. Non si spogliava, non si prostituiva però tutti la vedevano e a lei piaceva un sacco essere al centro dell’attenzione: «Lì mi sento bene, decido io fin dove arrivare». La madre non la giudica.

 

Sara Gandini

Io vi leggerò gli stralci da un blog. Si tratta di una  ragazza sui quarant’anni che sceglie di definirsi donna adulta e non giovane. Il blog si chiama “meno e pausa”. È una donna ironica. Si definisce femminista. Madre di un’adolescente, per mantenersi fa la telefonista erotica, la badante e lavoretti occasionali vari. E racconta sul suo blog le sue avventure. «Sono una donna, precaria, di poco più di quaranta anni» scrive sul suo blog. «Dato che qualcuna mi ha detto che un blog è meglio dello psicoanalista ed è gratis allora eccomi qui.»

L’ora del the delle telefoniste erotiche

Il raduno della domenica delle ragazze della telefonia erotica è fatto di delizie al cioccolato e frutta e tisanine e the. La più divertente del gruppo ha sessant’anni. Voce da maliarda, dizione perfettissima, seduce e incanta e provoca un orgasmo in pochi attimi. Però lei ritma e non li lascia andare prima che abbiano fatto il giro dei minuti.

Io sono in lizza come migliore cartomante dell’anno, con i consigli sessual/erotici alle donne. Ora chiamano anche gli uomini e la cartomanzia erotica va alla grande. I tarocchi dicono: «toccati di più», «devi spogliarti e disinibirti, massaggiarti», e poi ci sono carte che prevedono il tuo ingresso in una dark room…

Quando guardo le mie colleghe penso: queste donne sono felici, tranquille, eppure c’è chi le giudicherebbe come sfortunate per il lavoro che fanno. Io per esempio ambirei a fare altro ma non perché non mi diverta, è solo perché non ho una particolare indole a perder tempo con individui idioti. Invece loro sono tranquille, hanno il controllo, possiedono un telefono e il potere di eccitare.

C’è una delle mie colleghe di telefonia erotica che come me ha una laurea. Lei ha preso pure un master. Avesse saputo che sarebbe finita a fare questo lavoro avrebbe studiato meno, dice, o avrebbe viaggiato, se la sarebbe goduta, forse ora si troverebbe all’estero, almeno potrebbe fare telefonia erotica in più lingue.

Lei è la più giovane tra noi e ogni giorno arriva, mi dà un bacio sulla guancia, siede alla postazione vicino la mia, e comincia i suoi numeri meravigliosi. È brava. Consapevole, combattiva. Non è rassegnata. Lei semplicemente sa quello che vale e sceglie ogni momento. Sceglie anche le telefonate da ricevere. Mi dice sempre «questa falla tu» se lui è una rogna di quelli pesanti. E in effetti solo io con la mia ironia so gestire certi che altrimenti sarebbe da rinviarli a fare terapie assolate presso luoghi divertenti.

La mia collega risponde, mi guarda, origlia, ride, mi pizzica il braccio per segnalarmi qualche straordinario evento, attira l’attenzione delle altre se c’è una chicca succulenta da recepire e poi non sta mai ferma. Schizza, corre, salta, sulla sedia resta bloccata due secondi e poi cambia posizione.

«Che c’hai la tarantola attaccata al culo, figlia mia», le ho detto una volta, e lei mi piglia il ciuffo dei capelli, me l’aggiusta e poi mi dice che le piacerebbe essere mia figlia. E lì diventa dolce, una roba da diabete, e svela meccanismi strani, tipo che la madre, quella sua, non lo sa che lavoro fa nella vita per mantenersi le sue cose e lei è obbligata a mentire perché la genitrice altrimenti le fa una piazzata.

«Se non trovi cose dignitose allora resti in casa» – riferisce il dialogo con la mamma. E lei che ha voglia di una stanza tutta sua, di farsi spesa e ricevere in un letto morbido il ragazzo con cui fa l’amore ha detto che questo è meglio di altre cose. La compagnia le piace, si diverte e viene pagata puntualmente. E in effetti, care mie, se non avessi questo anch’io da mesi avrei perduto il senno.

Questa giovane donna oggi arriva e mi fa:

«c’è uno che mi chiede cosa sento con un dito nell’ano…»

«e allora? tu che senti?»

«mi stimola la cacca… ché glielo devo dire?»

«ah bhé, ci sta che ti capita coprofago…» – le altre ridono.

Lei parla, glielo dice e lui chiede che genere di cacca. La vedi lì a fare smorfie e felice, con gli occhi a brillare, farmi segno che sììì, menomale che gli piace e io da madre snaturata la conforto e faccio un cenno come per dire «hai visto? tutto bene, cara…». E non so come dirle che mi fa una tenerezza enorme quella piccola grande donna che si fa prendere dall’ansia da prestazione e che vuole fare bella figura con l’unico lavoro che si ritrova.

E io sono qui a farmi ore di telefonia per scampare la precarietà. Questi racconti mi servono a ridere di me. Dovrò imparare a ridere con voi.

 

Sara Gandini: ecco il secondo racconto che vi propongo.

Toccami sempre

Tra una telefonata erotica ed un’altra stamane ho ricominciato a fare da badante alla piccina. L’ho ritrovata accomodata sulla sua poltrona, dito incollato al telecomando, volto grinzoso ma curato.

Le ho raccontato delle mie vacanze, e si fa per dire, in quella trappola di negozio dove ho impacchettato regali per pochi euro che non mi sono stati ancora corrisposti. Dirle che c’era gente che comprava gran sciocchezze l’ha fatta ridere, tant’è che le ho messo in ridicolo ogni cosa, per distoglierla da quella scatola televisiva.

Poi l’ho richiamata all’avventura, a camminare fino alla finestra e infine l’ho appoggiata al letto per il riposo dopo pranzo. L’ho ripulita, accarezzata, e mi ha preso la mano, come fosse figlia mia. Una bambina di ottant’anni e passa.

Qualunque cosa accada, chiunque tu sia a capitarmi intorno, toccami sempre, tienimi le mani addosso, voglio calore, tenerezza e vita.

Ennesima telefonata: lui ha voglia di sentire cose forti.

Il tizio che mi chiama saprà mai che ciò che vendo a lui è niente?

 

Laura Giordano

Io vi racconto delle candy girl, si tratta di ragazze, di età differenti, che barattano foto e video per soldi e ricariche telefoniche.

Le più giovani hanno dagli 11/12 anni e fanno le candy girl per arrotondare le paghette o per avere un ruolo a scuola, magari perché altrimenti sarebbero derise per altri difetti/problemi. Generalmente scambiano foto coi compagni, tramite cellulari, per pochi soldi o piccoli regali.

Nina, tra i 13 e i 14 anni, si vende a scuola per scrollarsi di dosso l’epiteto di “Porcospino” («Per via di questi capelli di merda che c’ho, cioè tutti arruffati»). Arrotonda la paghetta («Da straccioni, dieci euro alla settimana, da vergognarsi proprio, meglio niente. Per fortuna le mie tette sono belle»).

Non potendo fare veri e propri spettacoli via webcam  poiché il rischio di essere scoperti dai genitori sarebbe altissimo, si sono ingegnate alla meno peggio.

Il sistema è questo: fra di loro, le ragazzine si passano numeri di telefono “magici” (le sim sono spesso anonime) da cui, semplicemente mandando mms di loro nude nella cameretta, riceveranno ricariche telefoniche o sulla postepay.

Il fenomeno, monitorato più o meno silentemente dalle tlc per controlli di natura tecnica e commerciale, non è affatto circoscritto, anzi. Secondo Wolfstep «ci sono in Italia qualcosa come 40.000 minorenni che inviano foto di nudi e/o in pose erotiche, anche in gruppo».

Altre però vanno anche in rete e si offrono a persone più grandi.

Mettendo come parole chiave per la ricerca: candy girl blog, in una delle pagine trovo questo annuncio: «Ciao sono serena una raga di 11 anni e cerco nuove amicizie. Perciò se volete conoscermi meglio visitate il mio blog». I commenti sono stati bloccati.

Diverso è probabilmente più consapevole è l’atteggiamento delle candy girl più grandi, spesso universitarie, che scambiano foto o video via internet in cambio sia di ricariche telefoniche ma anche di versamenti postepay. Generalmente non mostrano il volto, questo viene tagliato nelle fotografie o mascherato nei video. In questo modo non si rendono riconoscibili.

Lo fanno per mantenersi agli studi senza avere un lavoro che le occupi per varie ore in cambio di pochi soldi, in questo modo guadagnano molto di più in meno tempo.

Laura 20 anni. Laura (n.d.r. nome di fantasia, contattata da me) studentessa di 20 anni (studentesXXX@live.it) ha iniziato per caso chattando su canali “normali” e visitando, di tanto in tanto, quelli più spinti. Qui ha incontrato altre ragazze come lei che già si spogliavano in video per soldi e ha pensato di provarci. Con tutta la difficoltà della prima volta, mette il suo annuncio online e dopo poco è sommersa di richieste: «Tanti perditempo, ma alla fine uno si decide a pagarmi con una ricarica telefonica». Il momento più complicato è stato quando ha dovuto smettere i panni della studentessa modello per indossare quelli della showgirl professionista: «Ero imbarazzata, impacciata. Era la prima volta che un perfetto sconosciuto mi vedeva nuda e mi chiedeva cose che solo al mio ragazzo concedevo». Tra le lezioni e gli esami Laura si abitua ben presto alla nuova occupazione, che esercita regolarmente due o tre volte la settimana. «Studio, e mi mantengo da sola, i soldi per divertirsi sono sempre pochi e questo è un sistema facile per guadagnare qualcosa». Nessuno sa della sua attività, rigorosamente, si mostra sempre senza far apparire il volto in video. È fidanzata e ha tanti amici e di certo non le farebbe piacere incontrare qualcuno di loro, qui in chat, a chiedere uno spogliarello.

Marta, 22 anni, Catania. «Ho cominciato a frequentare le chat più bollenti di Yahoo qualche anno fa. Notavo donne che si mostravano in cam e mi faceva impressione come gli uomini accorressero a vederle. Quando ho comprato la webcam, ho cominciato per gioco a mostrarmi. La cosa stranamente non mi infastidiva, anzi. Una volta un uomo mi disse: se ti togli anche il reggiseno ti faccio la ricarica al cellulare.

Mi arrivò la ricarica ed io mi sono spogliata. Poi i miei mi hanno attivato un poste-pay e le ricariche ho cominciato a farmele fare lì. Piano piano ho cominciato io a cercare gli altri e devo dire che ogni volta che mi collego riesco a guadagnare i miei buoni 30 euro.»

Venere, 20 anni, cam-girl, Verona. «Fondamentalmente sono molto esibizionista. Mi piace piacere e ricevere complimenti. Mai però farei del sesso a pagamento. In cam mi piace giocare e giocando ho scoperto RIV che mi ha consentito di guadagnare cifre interessanti che male e schifo devo dire non mi fanno. Quello che mi fa paura è che qualcuno mi riconosca. Infatti quando mi mostro cerco sempre di nascondere il viso o con una mascherina o con inquadrature dal collo in giù. Finora mi è andata sempre bene. Nella vita di tutti i giorni sono una ragazza normalissima: università, studio, discoteca, shopping e divertimento.»

 

Luisa Muraro

Questo contributo di Mariangela Mianiti non lo leggo tutto, leggo alcune parti.

«In 25 anni di lavoro giornalistico mi sono occupata di prostituzione più volte: prostituzione da strada, da appartamento, nei nights e da escort. Incontrai nel 1998, nell’appartamento di Milano, zona Porta Genova, delle donne che lavoravano solo di giorno in orari d’ufficio. Abitavano tutte fuori metropoli. La mattina uscivano di casa salutavano i fidanzati e si recavano sul luogo di lavoro verso le 10.» Poi descrive l’appartamento. Avevano tra i 30-35 anni. «Trucccatissime, con uno sguardo attento, accettarono l’incontro (sono professioniste occulte,  non di strada, che fanno la doppia vita) perché raccomandata da un conoscente» (secondo me cliente un professionista che avevano conosciuto per lavoro). «Capii che non parlavano per bisogno di raccontare ma per uno scambio di favori con l’amico. Non pronunciarono mai la parola “prostituzione” ma furono generose nel descrivere la tipologia di clienti le loro richieste come anche l’astuzia con cui li gestivano. Come facevano a evitare la penetrazione anale facendola però credere, per esempio, ecc…»

«Mi sembrano pragmatiche e disincantate – dice Mariangela – che vivono scisse in una doppia vita di cui facevano intravvedere solo una parte, quella del lavoro. Non colsi emozioni se non quando, parlando di giovani uomini che erano loro fidanzati, dicevano “che amore è se già da fidanzato paghi per fare sesso?”» Sfugge qualcosa della psicologia maschile alle due donne e Mariangela.

La seconda parte del suo racconto: due anni fa scoppia il caso bunga bunga e lei per Vanity Fair va a fare delle interviste. Fa un servizio sia a Ruby che a Nadia Macrì. «Arrivai a loro tramite agenti che nel caso di Ruby era anche il fidanzato. Non fu né facile, né breve parlarci perché al primo momento chiesero denaro. Rifiutammo ma loro accettarono lo stesso, allettate dal servizio fotografico che avremmo dedicato loro con abiti, dal fatto che avremmo fornito la truccatrice, tutte cose che si riservano alla celebrità. Apparire sulla rivista dei famosi trattate come star era per loro un sogno. Hanno 10 anni di differenza ma un’infanzia simile: sono di famiglia povera con padri assenti o violenti e madri sottomesse. Ma Nadia ha voglia di dire la verità.»

«Per Nadia, Ruby è inconsapevole di prostituirsi. Nadia invece è più consapevole. Si definisce escort e non vuole essere chiamata prostituta. “Quella fa solo sesso, la escort  esce con il cliente, va a cena, è una ragazza immagine”.» Mariangela dice: «È un tentativo di dare dignità a se stesse e al mestiere cambiando il linguaggio, tirando dentro gli uomini come soggetti alla pari, parti di uno scambio in denaro che sebbene per poche ore, appare come una relazione».

«Nadia aveva 19 anni voleva vedere città diverse. Risponde a un annuncio dove cercavano cubiste a Genova e “mi sono trovata a fare la entraineuse in un night”. Una sera un bell’uomo sui trentacinque anni le propone del denaro per farle fare la escort. Lui era gentile e lei non si sentiva in colpa. Non era una marchetta ma un aiuto. Se gli uomini sono questo e si guadagna così bene perché no? Si dice. “Davo più importanza ai soldi che all’affetto”. Poi conosce suo marito. Antonio. Lo consce fuori stazione di Parma. Faceva il benzinaio. “Quando ha scoperto che facevo la escort mi ha presentato degli amici e andavo con loro, gli davo una percentuale: io prendevo il 35% lui il 65% (notate la disparità)”. Inizia anche una storia di droga. E prostituirsi non è più una scelta ma diventa sfruttamento. Quando rimane incinta le tolgono il bambino, non perché prostituta, ma per la storia della droga. Il bambino ha 9 mesi, lo affidano ai nonni paterni a Gela. Le impediscono di vederlo. “Non lo incontro da oltre cinque anni non so che faccia abbia”, dice. Rimasta sola continua a fare la escort, le servono soldi per gli avvocati che le permetteranno forse di riavere il bambino. “Adesso però dopo la vicenda Berlusconi non lotto più. Ai magistrati di Palermo ho dovuto dire tutta la verità. Racconta della storia con l’ex presidente del consiglio. Le ha avallato l’accusa di favoreggiamento alla prostituzione e del fatto che le ragazze che si prostituivano erano anche minorenni. Prima di andarsene, Berlusconi le ha dato una busta con 5.000 euro e le ha chiesto cosa fa per vivere… (questo riguarda più la faccenda di Berlusconi ma le cose sono connesse). Lei risponde, la escort: “Lui mi sgrida e dice che fuori da lì non dovevo dirlo a nessuno”. Allora lei chiede un aiuto, lui promette di trovarle un lavoro ma non fa nulla. “Come la chiama lei una che fa sesso e che riceve soldi?” – chiede la giornalista. “Lui mi ha pagato tutte e due le volte che ho fatto sesso, 5000 euro alla volta.”

È diversa dalle altre ragazze che andavano ad Arcore per ricevere denaro, casa, regali, favori. Nadia Macrì svetta il limite di autolesionismo per la trasparenza con cui racconta i dettagli. In comune con loro tuttavia tende a dare la visione edulcorata di vendersi per sesso come se fosse una parte di una compravendita più ampia. In questa “non prostituzione” – dice la giornalista – non c’entra il denaro ma accettazione di ruolo, il poter incontrare alla luce del sole al ristorante uomini ricchi e potenti e danarosi. Niente trucco vistoso, abiti alla moda sono come un brand.»

 

DIBATTITO

 

Silvia Baratella: Una coppia di amici che erano andati a Cuba avevano sentito parlare della prostituzione cubana. Il governo cubano definiva questo fatto come meglio della prostituzione: non si trattava di prostitute ma di accompagnatrici, che oltre al sesso partecipavano alle visite locali, a cene ecc. Il mio amico ha parlato di una prostituzione globale che non deve vedere solo sesso ma un coinvolgimento anche maggiore. È buffo come questo possa essere visto come un surplus di dignità professionale, come anche lo vede Nadia Macrì che si descrive con sincerità. Forse ci credono. Questo sembra, nell’insieme della differenziazione, sempre maggiore del mercato come è riportato nel libro di Roberta Tatafiore in cui si descrive un mercato del sesso molto sfaccettato che continua  a sfaccettarsi. E c’è sempre una cosa che è parte del disagio di Laura Modini, c’è come una scissione tra l’aspetto della libertà commerciale, scegliere l’attività, e il fronte della libertà sessuale. La libertà sessuale per me è per il mio desiderio, l’altro ovviamente dev’essere consenziente, però sia io che lui andiamo alla ricerca del proprio piacere. Quello che a me ha sempre colpito pesantemente della prostituzione è questo fenomeno che dichiara: il desiderio sessuale maschile è un diritto che deve essere soddisfatto e non c’è spazio per il desiderio sessuale femminile. Fino a 40 anni fa c’era anche il vecchio diritto di famiglia che parlava di  dovere coniugale che riguardava le mogli e non aveva declinazione al femminile. Era uno scambio economico perché il marito poi manteneva la famiglia e questo ha a che fare con la tradizione del regalo. Quando un uomo è interessato a una donna le fa regali importanti che creavano e creano una sorta di obbligo. Questa commercializzazione cerca di mettere da parte, a tacere, l’esistenza del desiderio femminile. Quello non è in gioco, l’uomo dice «io ho speso, mi devi qualcosa». La prostituzione è la punta di un iceberg. I miei disagi sono rispetto a questo aspetto. Si tratta di un mestiere che non è come un altro. Per pochissime è in gioco il piacere, in questo caso c’è almeno il piacere. Io credo che vada affrontato nei termini della libertà commerciale scevra dai moralismi.

 

Luisa Muraro: Sono stupita dalla lunghezza dell’intervento di Silvia, come se questi racconti le avessero caricato un disagio  che non viene mai detto ma che c’è. Sei stata come un fiume in piena…

 

Antonella Nappi: Di queste cose abbiamo sofferto e parlato negli anni del femminismo anni ’70. Ricordo un libro… che diceva che tutte hanno a che fare con la prostituzione. Io l’ho condivisa questa idea e oggi m è tornata presente. La mia storia è di essere donna, guardata dagli uomini, che voleva mostrarsi nella società come le escort, di stare con persone interessanti ma anche importanti. Insomma questa storia la riassumerei come il fatto che le giovani  si trovano in una situazione più avvantaggiata rispetto a me… Io ho scelto un ragazzo più giovane, anzi due, ma questo secondo mi rimproverò tutta la fatica che doveva fare per confrontarsi con i miei desideri sessuali. I miei studenti hanno detto – presenti le ragazze – che riconoscevano il desiderio sessuale femminile, e mi hanno detto la loro gran fatica con donne insoddisfatte, e si confrontavano con questo problema. La conclusione, penso, è che veramente la prostituzione sia un rapporto molto diffuso che implica molte attrazioni che gli uomini e la società maschile possano dare. Vedo che la storia dell’emancipazione femminile è fatta di confronti, con seduzioni di denaro ecc. Nego la prostituzione, la nego come lavoro,  come legittimazione.

 

Silvia Cardoso: In riferimento al desiderio. La Tatafiore, quando parla di prezzo e di mercato, anche lei cade in questa trappola. Perché il desiderio non c’entra esattamente con quello che hanno gli uomini quando succedono queste cose. Quello che succede agli uomini in riferimento alle prostitute, alla pedofilia, in tutte queste forme della sessualità parzializzata perversa si chiama thanatos, è pulsione istintiva la cui energia è morte… Questa è la differenza. Invece il desiderio inconscio che c’entra con il desiderio materno è eros è vita e unione. Il desiderio c’entra con il creare, produrre ecc. Gli uomini alla fine uccidono perché il loro impulso è morte. La metafora è la cellula cancerogena che divide…

 

Sara Gandini: Volevo fare un intervento provocatorio rispetto al desiderio femminile. Penso alla donna del blog e ci trovo elementi interessanti: le relazioni tra colleghe che scherzano, si sostengono nel luogo di lavoro dove vanno felici. Trovo interessante la capacità di usare l’ironia, di mettere in parola quello che accade, cercare un senso condividerlo. Dal racconto che dice: «Ho un desiderio rispetto quel lavoro: ritrovarmi con le amiche, scherzare su questi uomini, metterli nel sacco, farlo in modo giocoso». Ma la riflessione della badante è importante dove dice che là il corpo non lo mette in gioco ed è altro anche se corpo è importantissimo. Penso alle mie amiche che fanno le telefoniste in altri ambiti e alla loro difficoltà riguardo a orari di lavoro allucinanti seppur  precarie. Non so… è tutto sul crinale…

 

Silvia Cardoso: Tutte le donne vogliono sapere che cos’è essere donna e loro pensano che la risposta può dargliela un uomo…

 

Sara Gandini: Non c’entra con le telefoniste. Tu pensi che abbiano questa risposta dagli uomini?

 

Vita Cosentino: Volevo sottolineare un altro aspetto che ho capito ascoltando questi racconti in cui più volte emerge questo elemento di piacere che è stato definito esibizionista. Vorrei entrare più dentro. Conosco delle figlie di amiche mie care, persone benestanti, che hanno fatto le cubiste. Anche la storia di una mia ex alunna è così: voleva fare teatro e per mantenersi faceva la cubista. Quando me l’ha detto ho pensato “chissà come va a finire questa storia”, invece poi il direttore del teatro le ha fatto delle proposte e lei ha mollato tutto. Questa cosa del mostrarsi è completamente diversa da quella che è stata la mia esperienza. Da giovane mi sembrava che lo sguardo maschile sempre addosso mi cancellasse, volevo emergere, volevo giocare il mio protagonismo nella parola, nella cultura. Una volta, al liceo, ero stata assente e il prof ha detto: «Anche se la Cosentino non c’è e non posso interrogarla poi si sposerà lo stesso». Per me il femminismo, l’emancipazione è stato lasciare… Qui ho capito che donne giovani oggi si prendono questa forma di protagonismo, forse un po’ deviante, eccessivo, ma dove alla base c’è un piacere. Cerco di capire perché alla base c’è una forma di piacere. Essere al centro con il corpo bello. Bisogna fare i conti con questo aspetto.

 

Laura Colombo: Sono d’accordo. Nuvola Nera dice che se dipendesse da lei si farebbe solo guardare. Lei parlava degli sguardi desideranti, anche delle donne, e diceva «quando mi guarda e mi desidera una donna è il massimo». Poi aveva tutta l’attività di prostituzione classica nel privé, faceva film porno ecc. Ci si interroga su com’è fatto questo desiderio…

 

Intervento: Mi sono dichiarata d’accordo su questa distinzione rispetto ai desideri che faceva Silvia ma non sono d’accordo su quello che ha detto dopo. Si parla un po’ troppo di desiderio. Nel tipo di rapporti di cui si parla è in gioco il potere, l’affermazione, più che il desiderio. Mi sembra che sia un’altra questione, non è il caso di distinguere tra desiderio maschile e femminile. A Luisa chiedo: Mariangela Mianiti diceva che la sua interlocutrice non ha capito nulla della psicologia maschile. Questo mi sembra un punto molto interessante. La faccenda di desiderio di morte mi sembra aria fritta.

 

Silvia Cardoso: È la differenza tra desiderio maschile e femminile, è questa la questione.

 

Intervento: Però non mi sento così entusiasta nel dare una definizione in questo momento, preferisco fare un passo indietro e farmi delle domande piuttosto che darmi risposte. Penso che ci sia una questione forte di potere da parte del discorso fallico dell’avere in proprietà una persona…

 

Luisa Muraro: Si tratta del potere. Il giovane, bello e felicemente fidanzato ha, a letto, la pulsione di morte che si colma solo con il potere e nella relazione di scambio di soldi. Questa pulsione è soddisfatta ma io non credo che ci sia di meglio a questo. Ci sono qui uomini forse che desiderano trasformarsi perché è un fatto storico; la lotta delle donne c’è sempre stata perché ci sia un desiderare. Invece ci sono sempre questioni di potere, guerre, quelli che ammazzano. I casi che avete presentato sono molto interessanti. È un ricorso al simbolico il tentativo di giocarsi questo problema, di giocarselo simbolicamente. Acuta anche la donna che va con la vecchietta e lì il corpo c’entra, nel lavoro da telefonista invece è fregare l’altro cercando di far credere che il corpo per lui  ci sia. Non è così…

 

Lorenzo: Mi sembra siano state fatte delle generalizzazioni: non è vero che tutti i clienti ammazzano, è vera la differenza tra desiderio e godimento ma la pulsione di morte appartiene sia a uomini che a donne. Avete raccontato di prostitute che conosco, sono diverse dalle altre, non sono sulla strada. I loro racconti quindi saranno edulcorati. Sono stupito da quello che dicono perché mi sono trovato di fronte a donne consapevoli di sé che rovesciavano molti stereotipi: parlavano di clienti che padroneggiavano, clienti che tornavano da loro per discutere, che si innamoravano. C’era una relazione che non era il dominio, c’era scambio di sesso e denaro, si sentivano però soggetti del desiderio. La questione è più complicata di così. Esiste tuttavia la prostituzione di strada, la tratta delle donne, sono tutti fenomeni che condanniamo. Esiste questo fenomeno complicato che ha sfaccettature differenti ma la lettura non può essere solo quella che l’uomo ha la pulsione di morte, sentendo le testimonianze di queste donne che si piacevano, si sentivano desiderate… Mi sembra che definirsi escort piuttosto che prostituta sia un modo di edulcorare ma non soltanto. C’è un fenomeno sociale della prostituzione del mondo del lavoro. Chi viene assunto deve fare più colloqui e non vende solo le prestazioni lavorative e le proprie capacità nell’ambito richiesto ma vende la propria capacità di relazione: ci sono colloqui di gruppo ecc. Siamo in una società dell’immagine in cui si perdono confini tra pubblico e privato. Internet, le candy girl non hanno solo il disagio che gli altri possano riconoscerle, magari si divertono nel vendere la propria immagine, come altre vendono la capacità di relazione come andare a cena con il cliente che fa somigliare ancora di più la professione di prostituzione alle altre.

 

Luisa Muraro: Il punto in cui Mariangela manca di cogliere un punto della psicologia maschile è quando la giovane donna ha detto rispetto al cliente che è giovane, fidanzato, bello, dunque amante e amato: «Perché viene a fare sesso a pagamento?». Lo dice con tristezza, Mariangela. Quel punto lì dà ragione a quello che diceva Silvia e cioè che c’è qualcosa del desiderio maschile… Tu, Lorenzo, ci accusi di generalizzazioni ma io non le ho sentite. Abbiamo detto solo qualcosa, non potevamo che dire qualcosa e qualcosa sei invitato anche tu a dire.

 

Sara Gandini: C’è qualcosa che non mi convince ed è nel momento in cui si parla di desiderio maschile e femminile. Si rischia la generalizzazione. C’è il rischio dello scivolamento. Si tratta di tener conto di come ognuno di noi si muove e la storia che si ha alle spalle. Trovo interessante anche una cosa che scriveva Daniela Danna che ha intervistato delle prostitute: il significato di potere che molte prostitute danno a quello che fanno. Mi ricordo una donna che usava il potere simbolicamente, in maniera molto forte. Veniva pagata infatti per esercitarlo. Il potere non è solo una questione legata al maschio, anche le donne entrano in questa cosa, il che complica tutto. È indubbio che gli uomini legano sesso, denaro e potere, e che risolvono i problemi  della sessualità con i soldi e potere. Storicamente è sempre stato così, usando i soldi. Le donne dopo gli anni ’70 hanno aperto un conflitto con la sessualità portandolo nella camera da letto, gli uomini hanno sempre cercato di uscire…

 

Laura Colombo: Volevo dire che sono d’accordo, che è molto facile e rischioso generalizzare. Io posso dirti di Nuvola Nera. Lei ha tirato fuori desiderio di essere desiderata: viene vedendo persone che bramano per lei. Due cose diceva degli uomini: mettono i soldi davanti a tutto, e lei dice “sto in questo gioco”, e un altro aspetto: sono soli, molto soli, vengono perché hanno bisogno di parlare, chiedono a me prestazioni che non hanno coraggio di chiedere alla moglie perché non le va di fare o non le fa più perché hanno bambini.

 

Luisa Muraro: Leggo un pezzo di Mariangela riguardo l’intervista a Nadia Macrì che di Berlusconi ha un’idea chiara: è un uomo solo. «Quando gli parlai di mio figlio lui raccontò la sua storia, di quando è arrivato a essere presidente, delle persone che parlano male di lui… se lui aveva bisogno di dire queste cose a una escort vuol dire che non aveva con chi parlare…»

 

Intervento: Siccome prima ho parlato di potere volevo dire che il potere non è solo unidirezionale, sicuramente per le donne che parlano di piacere nell’esibirsi questo ha molto a che fare con il potere. Non a caso vendono il piacere di esibirsi, ma è una cosa lunga da indagare. Per rispondere a Lorenzo: non accusavo gli uomini di usare un potere cattivo e le donne di subirlo. Penso che sia un rapporto di potere dove entrambi giocano una parte.

 

Intervento: La mia impressione è che magari tra donne abbiamo un po’ discusso, forse ancora poco, della sessualità femminile. Sulla sessualità maschile non c’è stata alcuna discussione né tra donne, né tra uomini. Donne e uomini non hanno la stessa sessualità, ma quando gli uomini si sono interrogati su questa cosa? Si sono interrogati sul fatto che quando una donna ha un figlio la sessualità diviene meno importante? Se ne accorgono ma non si chiedono questo cosa c’entra con la sessualità. Hanno inoltre una pulsione molto più forte perché non hanno responsabilità: possono mettere al mondo un figlio al giorno. Una donna no, una donna se resta incinta dura nove mesi. È una sessualità diversa e asimmetrica, non ho mai sentito uomini – e qui generalizzo – parlare di questo.

 

Intervento: Lorenzo non mi sembra affatto che si sia indispettito per le censure che ha ricevuto, come un bambino, ma come uno che portava degli argomenti…

Capita molto a me di dovermi difendere in quanto minoranza, mi sento portata a farlo con lui il quale ha posto questioni che hanno una portata più ampia. Lui parte dal chiedersi: è veramente così definito cos’è il desiderio maschile e femminile? È vero che l’aspetto del potere riguarda solo gli uomini? Fare un po’ di piazza pulita sull’ideologia del desiderio femminile come asimmetrico, come comunicativo, oblativo, ed esente invece dalle questioni di mercificazione e reificazione attribuite al desiderio maschile che da secoli si esprime così. Perché secondo me è vero che la liberalizzazione del sesso e del corpo è un fenomeno complesso. La signora raccontata da Laura Modini si è suicidata in quanto prostituta, ora ragazzine mostrano corpo per comprarsi la maglietta. Io sono più come quella donna che si è suicidata. Qui c’è un  nesso con quello che dice Lorenzo. C’è la tendenza a mischiare privato e pubblico, lavoro con esistenza, di relazionarsi con altri che ti chiedono cose in modo tanto diffuso, tanto pervasivo che sapere cosa sei tu come essere umano, come soggetto, diventa difficile. Mi sembra interessante lo spartiacque delle telefoniste: qui io con le parole compro, la mia vita reale invece la spendo con una persona che riesco ad amare e la tocco. Mi sembra che sia difficile per tutti adesso orientarsi su che cosa è subire la miseria. Per me significa subire il fatto che la povertà crescente, l’espropriazione dei modi sociali tradizionali di relazionarsi che è avvenuta attraverso la mercificazione di tutto è una grossa questione di identità del soggetto e della società.

 

Sara: Provo a lanciare un’altra provocazione. Mi viene in mente una ragazza che ha frequentato la Libreria per diverso tempo. E che ha usato il suo pensiero, la sua intelligenza, il suo sapere, quello che ha imparato qui alla Libreria, per pubblicizzare il viagra. Ha costruito un libretto usando il suo sapere rispetto alle relazione, al simbolico, al senso che danno le donne, per cercare di far passare a livello culturale il fatto che il viagra potesse aiutare nella relazione. Questa cosa mi ha inquietato. Si trattava di parole. A me suona come una prostituzione.

 

Luisa Muraro: La libreria delle donne è sempre stata frequentata da pubblicitarie che hanno utilizzato tutto lo sviluppo del pensiero della differenza… Noi siamo continue creatrici perché, indagando a fondo l’esperienza del vissuto, creiamo pensiero che fa gioco alla pubblicità. Gli studi pubblicitari sono a Milano. Non c’è niente da fare quando hai trovato qualcosa, nel giro tre mesi è in giro. Una signora tedesca diceva di creare una setta segreta: avete idee geniali, diceva, straordinarie, vi conviene propagarle segretamente…

 

Silvia interviene parlando di un articolo di “Repubblica” in cui si racconta di turismo sessuale nei paesi più ricchi.

 

Laura Modini: Volevo tornare sul potere del denaro. Io vedo che sia allora sia adesso il potere è nel denaro. Nel senso che le donne che a me è capitato di sentire, come la storia degli anni ’50, facevano la professione per danaro. Vedo oggi varie possibilità. C’è sempre il denaro, c’è la sua potenza che tutto media nel bisogno. Oggi però c’è una maggiore libertà e mi fa problema: anche le donne decidono, non so se liberamente, se facendo i conti, se valutando che è più facile, come Cristina che sostiene inoltre che ha potere sugli uomini. Io non ci credo. Quando un uomo va da Cristina esibisce tutte le sue debolezze e questo le fa dire che è quella che ha potere ma io non ci credo perché prende i soldi, può farlo contento ma il potere è un’altra cosa. Ma sento cambiamento in questi anni. Io sono cresciuta in periferia dove tante prostitute avevano la casa e i discorsi passavano ma allora c’era miseria, si veniva fuori dalla guerra. Oggi qualcosa è cambiato anche perché secondo me c’è una maggiore libertà delle donne.

 

Sara Gandini: Una cosa interessante di Cristina era affrontare lo schifo per l’altro. Questi uomini per il fatto che portano il denaro possono esprimere una sessualità violenta che lei doveva accogliere: lei non sceglie.

 

Laura Giordano: Volevo dire una cosa rispetto alle candy girl più giovani. Quando si fotografano e scambiano queste foto io non vedo libertà femminile perché troppo giovani. Però penso che sono le stesse ragazze che, crescendo, avendo avuto già questo tipo di approccio, saranno influenzate in quello con la prostituzione. Non so quanto saranno libere e consapevoli. Questa di ora è una forma di gioco però un conto è giocare a 22 anni un conto a 12. Questa è una forma di prostituzione legata ai nuovi mezzi: mettono la foto, dicono “non siamo prostitute” però il loro primo approccio a questa forma di scambio è questa. E non si può parlare di libertà perché c’è poca consapevolezza. Qualcuno dice che sanno. Secondo me c’è sapere e sapere. Un conto è avere l’esperienza, il tempo per entrare in contatto con tanti mezzi diversi, un sapere che deriva da altre fonti per scegliere liberamente…

 

Luisa Muraro: Vorrei ricordare quello che scrive Mariangela di questa donna che dice con una certa tristezza «certo mi sono accorta che soldi hanno più importanza dell’affetto», e vorrei soffermarmi sul fatto che la legge (io non amo le leggi) italiana vieta passaggio di denaro per sangue e organi. Il giudice ha detto che escludendo il denaro si interpreta un sentimento profondo di umanità: che la merce non può arrivare fin là. Perché questo non vale nel caso dello scambio amoroso? Perché si è imposto dalla notte dei tempi una pratica che non ha senso da entrambe le parti. Questo scambio che si è imposto anche al legislatore aveva a che fare con il patriarcato. Il legislatore, la Merlin, che si sono seduti in parlamento nel tentativo di fare un po’ di ordine simbolico con l’abolizione delle case chiuse, in quel momento hanno lasciato la possibilità delle transazioni di denaro che è stata preclusa nello scambio di organi. Allora, la preoccupazione di lei di riscattare la sua prestazione dall’etichetta della prostituzione, cioè che le donne tentino il riscatto mettendoci di mezzo intelligenza, è un tentativo femminile di sottrarsi a quella cosa. La prostituzione era inventata dai soldi e dagli uomini e, come dice il mercato, dove ci sono soldi e richiesta, gente che paga, c’è sempre la merce. Bisogna guardare là.

 

Paola: Io vedevo del moralismo nel sottolineare la tristezza espressa dalla Mianiti quando riportava la frase della donna che diceva «sono giovani e vanno con le prostitute». Secondo me lì invece passa davvero un interrogativo, espresso da parte delle prostitute le quali sono le prime a reinterpretare con autoriscatto quello che fanno come semplicemente un mestiere. Io non sono così convinta che fossero delinquentelli questi che andavano con le prostitute…

 

Luisa Muraro: Delinquentelli? La Mianiti ha detto perversi.

 

Paola: Io non sono disposta a questi giudizi…

 

Luisa: Non cambiare le parole.

 

Paola: Sai perché ho usato una parola bizzarra? Il fatto sta nella tristezza di non capire bene la natura della sessualità maschile. Non sono d’accordo. La facilità e la frequenza con cui i maschi si sono dedicati al consumo della prostituzione è paragonabile a quelli che si ubriacavano rispetto alle donne che non si ubriacavano e facevano le madri di famiglia. Cioè mentre per la donna c’era la questione della verginità per gli uomini c’era questa pseudo libertà sessuale. Venendo al giorno d’oggi o a 10 anni fa, questi tabù, queste pesanti ipoteche ideologiche sono cadute. Cioè su cos’è un buon uomo o una buona donna. Se c’è un punto importantissimo di quello che ha detto Silvia è che nell’adolescenza sia per uomini che per donne c’è il chiedersi qual è la loro identità. Decidere cos’è perverso e cosa no e decidere in particolare di legare la propria vita nel senso intimo che identificava scambio organi e sesso… la chiesa sostiene che due coniugi devono diventare un’unica carne. Quei maschi che andavano dalle prostitute prima di sposarsi forse avevano angosce nel diventare una sola carne con le mogli. Anche molte donne ce l’hanno, si sono rese conto. Unico marito, dal 1975 c’è quindi il divorzio…

 

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