7 Ottobre 2014

L’Europa di Simone Weil. Discussione sul numero 110 di Via Dogana

L’Europa di Simone Weil. Discussione sul numero 110 di Via Dogana

alla Merlettaia, Foggia, venerdì 26 settembre 2014

a cura di Anna e Katia

L’affermazione iniziale di M. Concetta Sala nel suo articolo Quale Giustizia? ha dato avvio alla discussione. “L’odierna Babele sociale, i drammi e le tragedie nei nostri mari e nelle nostre case, i reboanti bollettini di cronaca e di politica interna europea e internazionale squassano cuore e mente con il risultato di acuire le lacerazioni del vivere e offuscare la percezione del presente…” Per recuperare la nostra umanità e riscoprire il sacro che è in ciascuna persona umana abbiamo considerato particolarmente importante alla Merlettaia riflettere sul numero di Via Dogana dedicato a S. Weil.

Per Adele particolarmente interessante l’articolo di Paola Melchiori nell’inserto Pausa lavoro in cui analizza la situazione del rapporto uomo donna nei paesi scandinavi dove in contrapposizione a un alto livello di emancipazione e parità “il femminismo di stato non intacca più di tanto alcune correnti profonde che ancora strutturano l’identità maschile: la misoginia e la violenza”. Sarebbe utile anche per noi confrontarsi con movimenti nordici che si muovono in questo panorama. Adele sottolinea la necessità delle pratiche della politica del simbolico citando il gesto della prima Ministra australiana che ha attaccato pubblicamente il leader dell’opposizione per i suoi atteggiamenti misogini, da cui si sentiva colpita e offesa, provocando in lui imbarazzo. Una radice fondamentale è la lingua materna, come risulta dalla testimonianza di Lilli Gruber nel libro L’Eredità, in cui lei racconta che la prima misura di soffocamento dell’opposizione all’annessione del Tirolo all’Italia è stata vietare l’uso della lingua madre, e dal racconto che le ha fatto una sua amica macedone, conosciuta in Canada, di come prima della guerra serbocroata le popolazioni vivendo insieme pacificamente, parlavano ciascuno la propria lingua comprendendosi e rispettandosi.

Questa posizione la ritrova nell’articolo di Wanda Tommasi Perché Simone Weil … Weil propose un’idea di Europa fondata sul ritrovamento delle proprie radici culturali. La sua proposta è di ripartire dalla “patria del linguaggio, dal radicamento nella propria lingua, non solo quella nazionale ma anche le lingue locali, i dialetti, che custodiscono una memoria preziosa del passato: la lingua materna, che spesso è stata resa muta dalla forza, è il principale luogo di radicamento”.

Adele si chiede se questo ritorno a Simone Weil sull’Europa è dovuto all’impasse della politica italiana oppure è un voler allargare l’orizzonte.

Katia riprende l’introduzione di Vita Cosentino E in risposta i due punti, che riassume l’attività di S.W. dal ‘42 e gli scritti londinesi raccolti nel libro Una costituente per l’Europa in cui matura l’idea che la crisi europea possa essere l’occasione per un ripensamento sulla civiltà e “che la guerra non era stata la causa, ma la conseguenza di una malattia più antica: la perdita di contatto con le radici della propria civiltà e da qui ripartire”. L’ultimo foglietto scritto prima di morire riporta:

la sola cosa che possiamo costruire è una civiltà. Nuova, rispetto al caos spaventoso finito in un incubo. Viva. Se possiamo…” Katia si chiede: se per S.W. la sua radice è il cristianesimo per me donna oggi qual è? La sua risposta è l’opera della madre e la lingua materna che è il faro per ricreare una nuova civiltà di rapporti tra donne e uomini imperniata sul senso della giustizia e non sulla rivendicazione dei diritti. Questa possibilità è stata resa palpabile nell’assemblea di Paestum 2012 dove l’energia, il desiderio di esserci e modificare ha reso armonioso l’incontro tra donne provenienti da esperienza e contesti diversi che si ascoltavano e si parlavano al punto che Lia Cigarini dopo Paestum nel libro scritto con Luisa Cavaliere C’è una bella differenza parla di una vera e propria costituente. Questa necessità Cigarini la riprende nel lucido articolo L’Europa di Simone Weil in cui rileva la difficoltà delle donne che entrano nella politica ufficiale e la necessità di creare un’Europa “transnazionale che non assuma carattere statale e che abbia nella negoziazione il suo principale strumento politico”. A Katia è sembrato che in tutti gli articoli ci sia un forte richiamo alle pratiche politiche maturate all’interno del pensiero della differenza e del movimento delle donne e tra queste pratiche Lia Cigarini sottolinea fortemente il “lavoro sul simbolico che è stato centrale per me in questi decenni. A me interessa qui che S.W. senta indispensabile il simbolico (soprannaturale) per pensare e formalizzare le sue idee per una costituzione europea”. Katia soggiunge che i pur tanti movimenti femminili non hanno però la forza di incidere e trasformare radicalmente la società.

Donata sostiene che le nuove forme in cui circola un’idea di un mondo diverso ci sono ma tutto sembra sopraffatto dall’organizzazione economica dominante. Donata è una studiosa di S.W. e nella sua tesi di laurea ha riflettuto sulla questione della giustizia e del diritto che presuppone sempre l’uso della forza. Ricorda che S.W. propone di smantellare l’idea del nemico. Viviamo in una società multietnica che però crea al suo interno continuamente il nemico. S.W. pensa alla piccole comunità, di conseguenza per pensare l’Europa non possiamo pensare all’Europa degli Stati ma a un’Europa dei popoli, un’Europa sovranazionale che è obbligata a trovare “forme politiche che non si sostengano con la possibilità di uso delle armi”, a differenza dei singoli stati che “possono imporre la propria autorità all’interno e all’esterno con l’uso della forza, la forza fisica, armata”, come dice Clara Jourdan nell’articolo Sulle forme conosciute della UE. In realtà “l’esercito europeo è un’idea che ritorna fuori ogni tanto, in particolare in occasione dei conflitti che scoppiano nel mondo, per poter portare la pace. È un’illusione, così come è pericoloso un esercito europeo per i rapporti interni: già accade che alcuni paesi (Grecia per esempio) si sentano e siano costretti dai rapporti di forza non armata, figuriamoci se ci fosse anche quella armata!”.

Anna, riprendendo l’articolo di M.C. Sala sottolinea con S. W. la vanità della “presunzione di quanti si arrogano il vanto di poter appagare l’anelito di giustizia di chicchessia facendo appello a rivendicazioni che hanno il difetto di essere illimitabili”. Cita poi le parole di S.W. in Vita Cosentino: “se si dice a qualcuno in grado di capire: ‘ciò che mi stai facendo non è giusto’, è possibile stimolare alla fonte lo spirito di attenzione e di amore”. Lo stesso scopo non si ottiene se si invoca il diritto.

Come è emerso dalle esperienze raccontate dalle amministratrici nel convegno di Roma (29-30 marzo 2014) della Rete delle città vicine e dal confronto con le sindache di Calabria, che ha avuto luogo a Catanzaro nel gennaio scorso, ci sono molte donne che praticano la politica restando fedeli al proprio essere donna, cosa che invece non si ritrova nelle donne della politica ufficiale legate ai partiti.

Rosaria fa l’esempio di Deborah Serracchiani che inizialmente mostrava indipendenza e coraggio rispetto ai capi del partito ma, divenuta parlamentare, è stata riassorbita dalle logiche di quegli stessi che aveva criticato. Molte si chiedono che cosa impedisce alle donne che sono nella politica ufficiale di portare fuori e mostrare la loro differenza e renderla operante e farne una forza di cambiamento invece di seguire gli uomini che, come dice Adele, in parlamento non mostrano nessun amore per la politica. Adele continua dicendo che quello che le è sempre piaciuto in S.W. è l’attenzione alla persona, che oggi si sta perdendo e si interroga: forse per influenza anche dei social network?

Anna ritorna sulla questione del diritto e della giustizia, sulla suggestione di un libro che sta leggendo, Il cardellino di Donna Tartt, in cui l’attenzione di tutti, assistenti sociali, magistrati, amici nei confronti di un ragazzino che ha perso la madre in un evento terroristico è rivolta ad assicurargli il diritto alla tutela e alla custodia ma nessuno si chiede e gli chiede cosa stia soffrendo né gli offre una parola o un gesto di affetto e di amore. Un diritto astratto e generico può non rispondere al bisogno e al desiderio soggettivo e addirittura risultare controproducente e dannoso, come quando un bambino viene tolto al genitore in nome del diritto dell’infanzia.

(Anna e Katia, La Merlettaia, Foggia 28 settembre 2014)

Print Friendly, PDF & Email