12 Febbraio 2006
Il Sole 24 Ore

Ballando con un elettrone

 

di Alison Abbot (traduzione di Sylvie Coyaud)

In Lumen de Lumine, il video di sei minuti che Ken McMullen ha girato nel tunnel di un acceleratore di particelle in disuso, al Centro Europeo per la Ricerca Nucleare di Ginevra, una danzatrice fa ruotare sopra la propria testa una lampadina, lasciandone scorrere via via il filo: dapprima è lei a controllare il moto della lampadina, ma poi il filo s’allunga e la situazione si ribalta: è quel moto a trasferirsi nel corpo di lei che oscilla ritmicamente per mantenere l’equilibrio. Unica fonte luminosa nella caverna sotterranea, quando ha la lampada alle spalle, la danzatrice passa dalla luce al buio. Alla fine tira a sé il filo e la luce si spegne.
Il 9 febbraio, durante l’anteprima di quella che è considerata la più grande installazione artistica mai realizzata in Europa, quella figura solitaria in un abito rosso cadmio è stata proietta in loop per tutta la notte sul muro, alto 50 metri e lungo 80, della centrale nucleare di Torness, vicino ad Edimburgo. È la versione rimasterizzata di un filmato realizzato per la mostra Signatures of the Invisible seguita a un incontro tra fisici del Cenr e artisti europei nel 2000. Da Londra era anda in Cina, in Giappone e negli Stati Uniti, mentre in Europa era sostata tra l’altro a Roma, nel complesso del Vittoriano.
Quando la lampadina si spegne, la danzatrice sussurra “Sein oder nicht sein, das ist die Frange” (si sente in alcuni punti nei pressi della centrale).
In tedesco perché l’incipit del soliloquio di Amleto allude agli scienziati
Tedeschi che hanno sviluppato la teoria quantistica. La sequenza coreografica. Così semplice all’apparenza, rispecchia gli elementi contraddittori del mondo quantistico nel quale non è possibile conoscere con esattezza la posizione e un’altra proprietà delle particelle subatomiche.
Quella figura di donna danza nella luce o nell’oscurità? È vestita di rosso o di nero? Oni volta la risposta è, né l’uno né l’altro ed entrambi perché la realtà ne è la somma. Quanto alla centrale di Torness, ricorda che la fissione dell’atomo può servire il bene e il male, altra dualità.
Il promotore dell’installazione, l’impresario scozzese Ricky Demarco, spera di trovare uno sponsor e di mantenerla in funzione un anno intero per un pubblico potenziale di 16 milioni di persone. Tanti sono i passeggeri che usano il collegamento ferroviario tra Londra ed Edimburgo, ai quali si possono aggiungere gli automobilisti in transito su una grande strada, a poche centinaia di metri dalla centrale. Gli spettatori non vedranno mai due volte la stessa immagine. Non solo il suo nitore cambierà con le condizioni meteorologiche e la luce naturale, ma l’immagine stessa dipenderà dal moto di chi la guarda, un riferimento alla teoria della relatività di Einstein in cui lunghezza e tempo cambiano in funzione della velocità.
Dal movimento “Atoms for Peace” nel secondo dopoguerra, l’energia nucleare non aveva mai più avuto una simile occasione di “pubbliche relazioni”. Né McMullen, un artista e cineasta britannico che negli anni Settanta ha lavorato con Joseph Beuys, poteva prevedere che la sua installazione sarebbe capitata nel bel mezzo di polemiche sulla necessità o meno di costruire nuove centrali. Il suo scopo non è direttamente politico: nasce da un interesse personale per la fisica delle alte energie. È iniziato negli anni Novanta, quando lui aveva conosciuto Maurice Jacob, uno dei massimi teorici del Cerne ne era diventato amico. La loro liason intellettuale divampò in una passione che per McMullen culmina ora nello spettacolo di Torness:
Insieme a Jacob, nel frattempo aveva portato al Cern per due settimane un gruppo di famosi artisti europei per metterli di fronte all’astrazione estrema della fisica delle particelle, ai laboratori attrezzati con tecnologie da era spaziale, nuovi materiali e un’ennesima potenza di calcolo: Gli artisti passarono una parte del tempo a esplorare le installazioni sperimentali e l’altra in seminari e lezioni, per imparare – da intellettuali che sono la loro immagine speculare nel mondo della scienza – qualcosa sulle forme invisibili che costituiscono il nostro universo quotidiano. Uno si essi preferì stare in cima a un serbatoio d’acqua per ammirare le Alpi al di là dei laboratori, McMullen invece si concentrò sul gioco delle menti che avveniva al loro interno.
Delle varie opere generate da quell’incontro, Lumen de Lumine è forse la più potente, va oltre l’etica per intrecciare molteplici piani. “non ho mai avuto l’intenzione di descrivere o illustrare quanto ho capito di fisica, ma di riflettere su quanto ho imparato, sulla natura della luce , per esempio, e della meccanica quantistica”, dice McMullen. Si è accorto che alla centrale di Torness la sua opera assumeva dimensioni che al Cern non avrebbe potuto immaginare. Basti pensare al videoproiettore high-tec, dotato di un proprio generatore, sistemato in una tenuta agricola. “Dal campo di un contadino proietta immagini su una delle strutture industriali più avanzate che ci siano” dice. “È la falce e martello dell’età contemporanea”.

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