14 Giugno 2002

FREDERIC XAVIER LIVER, LOREDANA MONDORA, ELISABETTA SCAGLIA – “100 DI QUESTI GIORNI!”


“100 DI QUESTI GIORNI!” Quante volte l’abbiamo detto o ce lo siamo sentiti dire nei giorni di festa! Magari per una vittoria, per un compleanno, per il raggiungimento di un traguardo… L’augurio di ripetere una sensazione di gloria racchiuso in un’espressione che di per sé è un paradosso, perché ogni giorno è unico e irripetibile. L’idea di riprodurre e moltiplicare, come moltiplicate sono le figurine di Frederic. Sono tante, sembrano infinite. Possono riempire quanto spazio è a disposizione. Sono identiche tra loro, ma in alcune lo sfondo è rosso, in altre azzurro, in altre ancora è verde, colori che rimandano subito allo stadio di S. Siro, eppure non basta per dire che si tratta di una partita di calcio. La figura, in bianco e nero, è sempre la stessa: il mezzo busto di profilo di un uomo, che rappresenta il “tifoso”, il fan, il celebratore, non il celebrato. Ha un’aria fiera e soddisfatta, ma non si capisce per quale motivo, non ci sono connotazioni, elementi particolari che lo contraddistinguano, non ha la sciarpa tipica del patito di calcio, nessun colore di squadra….
Potrebbe essere chiunque, e perché no, anche l’artista stesso.

Le suggestioni dei lavori di Elisabetta Scaglia passano attraverso il Romanticismo di Friedrich e Böcklin, e soprattutto attraverso l’idea di Sublime. L’uomo elemento finito, si protrae verso l’infinita grandezza della natura che lo sovrasta. Non ci sono infatti tracce di civilizzazione o dove c’erano sono state distrutte, corrose. Sono lavori realistici e immaginari, realistica è la pittura che usa Elisabetta, immaginario è il luogo così misterioso che non permette di essere collocato o riconosciuto ma che stimola la fantasia: in che era siamo? Potrebbe essere un passato arcaico come un futuro post-bellico stile film di fantascienza. 
Elisabetta riesce ad immaginare luoghi di bellezza e mistero rari, che hanno come caratteristica un’inquietudine diffusa. Crea suggestioni cromatiche di scenari irreali, guglie che affiorano dalla nebbia, forme dai toni minacciosi che si stagliano in controluce.

Due foto: un’immagine nitida e una mossa. 
Davanti allo stesso specchio la stessa ragazza, che prima è una presenza concreta, poi appare come dissolta. Ciò che rimane è la sua ombra sull’oggetto.
Loredana Mondora si ritrae nella vecchia casa di sua madre, ora disabitata.
Una grande villa che fin da piccola la incuriosiva e la intimoriva al contempo, un luogo pieno di ricordi, capace di far riemergere l’artista bambina e poi adolescente. Non a caso, infatti, i vestiti che Loredana indossa nelle foto appartengono al suo passato, rimandano ad una dimensione fiabesca.
Le cose sono cambiate, il suo corpo è cambiato, ma è forte la volontà di mantenere saldo il legame con ciò che è stato.
Adesso è lei protagonista in quella casa, e come sua mamma e sua nonna hanno lasciato “impronte” su ogni oggetto, anche lei vuole passare e lasciare un segno, ma senza invadere né cancellare.

Corrado Levi

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