5 Gennaio 2015
ALIAS "Il Manifesto" 4 Gennaio 2015

Gabriella Benedini “Tran­siti e incon­tri”

Angelo Dio­niso di Nanni Valen­tini, una delle ultime acqui­si­zioni del Museo Dio­ce­sano di Milano, col­lo­cato così a mezzo piano dello sca­lone d’onore, sem­bra vestire i panni del custode silente ed ebbro che guida l’accesso alle Col­le­zioni e alle mostre che si suc­ce­dono nei locali supe­riori di uno dei Chio­stri della Basi­lica di Sant’Eustorgio. Oggi “Cha­galle la Bib­bia”, nell’ultimo anno, prima “Terre” di Nanni Valen­tini e poi “Tran­siti e incon­tri” di Gabriella Bene­dini. Ciò, a con­ferma di una voca­zione dia­gno­stica e rifles­siva, da parte del diret­tore del Museo Paolo Biscot­tini, in rife­ri­mento ad alcune ten­denze, non sem­pre cano­niz­zate, dell’arte con­tem­po­ra­nea degli ultimi trent’anni del ‘900. Peral­tro, legate sia ad un raf­fronto con i clas­sici dell’arte del XX secolo sia ad un’idea espo­si­tiva che non disde­gni di sfon­dare nei cosid­detti nostri “anni zero” e oltre. Pro­prio que­sto è il caso di Gabriella Bene­dini, ottan­ta­duenne arti­sta d’origine cre­mo­nese, che con “Tran­siti e incon­tri” ha sug­ge­rito un per­corso espo­si­tivo che avvolge la sua pro­du­zione degli ultimi trent’anni ad un cor­ri­spet­tivo, anto­lo­gico e bio­gra­fico, impa­gi­nato nel cata­logo della mostra. La con­ver­sa­zione che segue risale allo scorso mese di luglio.

Il suo è un rac­conto bio­gra­fico per imma­gini. Da una parte le opere, dall’altra il lavoro, la fatica, l’officina dell’artista con tutto il suo reti­colo di rap­porti e rela­zioni. Cri­tici, gal­le­ri­sti, com­mit­tenze, musei, mostre. Que­sta mostra, “Tran­siti e incon­tri”, ne è la sua più mani­fe­sta dichiarazione?

Per l’appunto, il mio è un rac­conto per imma­gini del lavoro degli ultimi 30 anni. La mostra, infatti, parte dalla metà degli anni ottanta. Deli­be­ra­ta­mente ho tra­scu­rato tutto quelle che pre­cede quella data.

che però si recu­pera nel note­vole inserto bio­gra­fico del cata­logo, quasi un libro nel libro …

Sì, è giu­sto che dica che dalla fine degli anni set­tanta ho per­se­guito una ricerca che fosse com­ple­ta­mente auto­noma. L’informale era finito e per conto mio, lavo­ravo sulla poe­sia e in genere sulla let­te­ra­tura. Ritengo di essere rinata arti­sti­ca­mente pro­prio negli anni ottanta. Forse anche iso­lan­domi per tro­vare quelle domande che sem­bra­vano allora come oggi assil­larmi. Allora ci fu il gra­duale pas­sag­gio alla scul­tura. Comun­que, mi fu cru­ciale la visione degli affre­schi di Palazzo Schi­fa­noia a Fer­rara. Rimasi abba­gliata dai mesi dello Zodiaco. Poco tempo dopo la stessa espe­rienza la ebbi a Man­tova, a Palazzo Te. Comin­ciai a stu­diare i feno­meni alche­mici. Sem­brava che quelle imma­gini così potenti comin­cias­sero ad attrarre il mio lavoro. Non credo che sia stato un caso che qual­che anno dopo fui chia­mata a lavo­rare pro­prio in quelle stanze così intrise di arte, scienza, alchi­mia. Da lì sono nati i lavori degli ultimi decenni; i cicli i Tea­tri della ‘melan­co­nia’, i Pen­doli del tempo, i Gonio­me­tri, i Sestanti , le Costel­la­zioni, e le arpe, le arche, le scrit­ture anti­che e i libri-tattili e oggetto. Ma, è altret­tanto giu­sto che si cono­sca il mio pre­ce­dente per­corso artistico.

A tal pro­po­sito gli inizi sono stati dif­fi­cili oppure è riu­scita ad inte­grarsi imme­dia­ta­mente nell’ambiente arti­stico nazionale?

Ho fre­quen­tato la Brera di Aldo Carpi. Ho ten­tato di agire nell’ambiente arti­stico mila­nese. Erano i tempi, tra gli anni cin­quanta e gli anni ses­santa, del cosid­detto Rea­li­smo esi­sten­ziale. Bepi Roma­gnoni e Mario Raciti erano tra i miei amici. Ma, era un con­te­sto chiuso e maschi­li­sta. Si tro­va­vano tra di loro. Non si per­deva occa­sione per sal­tarmi addosso e lo dico con il senso del tempo che è pas­sato, allora però ero una ragazza non da but­tare. Non veniva preso in con­si­de­ra­zione nes­sun altro aspetto. A me, però, inte­res­sava solo l’aspetto artistico.

Ha pra­ti­cato un fem­mi­ni­smo ante-litteram …

Pre­i­sto­ria. Però, a metà degli anni set­tanta con il col­let­tivo Meta­mor­fosi, era­vamo quat­tro arti­ste tutte con una loro spe­ci­fica tra­iet­to­ria arti­stica che fu alla base poi dello scio­gli­mento del gruppo, affron­tai con acqui­sita con­sa­pe­vo­lezza tutte le tema­ti­che e i con­te­sti sociali”al femminile”.

Tor­nando agli inizi. Era quello un periodo di grande tra­sfor­ma­zione. L’Italia pove­ris­sima, uscita a pezzi dal tra­gico epi­logo del ven­ten­nio nero, s’apriva alla cul­tura euro­pea. Si comin­cia­vano a cono­scere le nuove ten­denze arti­sti­che, anche d’Oltreoceano e a ripen­sare le ormai esan­gui avan­guar­die sto­ri­che, filo­so­fi­che con l’esistenzialismo, e ancora gli scrit­tori che ave­vano rivol­tato da capo a piedi il romanzo ottocentesco …

Avevo tro­vato lavoro come illu­stra­trice. Dise­gnavo da sem­pre. Anche in Ita­lia, men­tre stu­diavo, dise­gnavo per rivi­ste desti­nate ai ragazzi. Era un paese che aveva biso­gno di tutto. Se ti ren­devi utile, lavo­ravi. Poi è finita la pac­chia. Andai a Parigi. E poi mi spo­sai. Comin­ciai con mio marito Gior­gio a viag­giare. Mi era molto d’aiuto. Fu lui a sug­ge­rirmi di spe­ri­men­tare con la cine­presa super8 con i quali ho rea­liz­zato “Dopre­noi” e “Diutop”.

Viaggi che, a leg­gere le mete e i gli anni, paiono leg­gen­dari: Marocco, Africa nera, Paki­stan, Afghanistan.Luoghi fre­quen­tati nello stesso periodo da Bur­rou­ghs, Chat­win e Boetti. Per fare qual­che nome.

Furono viaggi avven­tu­ro­sis­simi, anche rischiosi. In auto, in treno, in posti impervi. Nel ’71 tra­scor­remmo due in Afgha­ni­stan. Non sapevo di Boetti. Allora si viveva e si dor­miva. Era­vamo spe­ri­co­lati. Andammo in Paki­stan, attra­verso la Siria, l’Iraq, il su dell’Iran. Tra il ’75 e il ’75 dal Marocco, sbar­cati a Ceuta da Mar­si­glia, attra­ver­sammo in mac­china il Sahara, il Sene­gal e in treno fino in Nige­ria. Non avevo seguito un per­corso acca­de­mico, né rico­no­scevo mae­stri. Era mio inte­resse cono­scere posti nuovi e come le per­sone di quei paesi si espri­me­vano. Poi, fil­mavo tutto. Esplo­ravo ciò che poi è diven­tato per me un discorso eco­lo­gico che trovò ragione con­creta nel film “Dio­tup”, che uti­lizza la mate­ria­lità di oggetti di pla­stica, umi­liati e pronti ad essere modi­fi­cati in una scul­tura d’aria, embrione gigante sot­to­po­sto a trasformazione.

Dove fu girato il film?

Fu girato, tra l’inverno del ’71 e la pri­ma­vera dell’anno dopo, in con­di­zioni for­tu­nose a Rosi­gnano Sol­vay, con il ser­pen­tone d’aria che si espande gra­zie al banale trucco di gon­fiare il mate­riale di pla­stica con le emis­sioni del tubo di scap­pa­mento della mia auto.

Dun­que, pare di capire che il suo è stato un per­corso ori­gi­nale, quasi appar­tato, seb­bene con­sa­pe­vole di appar­te­nere ad un mondo dell’arte come dire all’italiana.

Sono andata sem­pre avanti, debbo dire che la mia soli­tu­dine arti­stica è stata cen­trale per la mia ricerca. Ho dovuto atten­dere molto prima di avere spa­zio nei musei. Ma in tutto que­sto tempo, ho fatto incon­tri con per­sone straordinarie.

 

Nota Bio­gra­fica

Gabriella Bene­dini è nata a Cre­mona nel 1932. Fre­quenta a Parma l’Istituto d’Arte Paolo Toschi e tra­sfe­ri­tasi a Milano si diploma all’Accademia di Brera. Lavora nell’editoria per ragazzi come illu­stra­trice, sul finire degli anni cin­quanta va a vivere a Parigi. Tor­nata a Milano espone con la Gal­le­ria Ber­ga­mini e fre­quenta i pit­tori del Rea­li­smo esi­sten­ziale. Tra la fine degli anni ses­santa e la metà degli anni set­tanta alla ricerca di un pro­prio lin­guag­gio arti­stico viag­gia molto, in Africa e in Asia. Nel1972 spe­ri­menta il cinema rea­liz­zando due film in super 8 Dopre­noi e Diu­top. Con Ales­san­dra Bonelli, Lucia Pesca­dor e Ales­san­dra Ster­loc­chi costi­tui­sce il Gruppo Meta­mor­fosi. Sciol­tosi il gruppo spo­sta la sua ricerca verso la scul­tura. Cicli come le Sto­rie della terra-Mutazioni (1977–1980), i Tea­tri della ‘melan­co­nia’ (1984), i Sestanti (1992), le Costel­la­zioni (1993). E poi instal­la­zioni come Il tea­tro di Per­se­fone (1985) e le Arpe (1991). Dell’Estate del 2014 è la mostra “Tran­siti e incon­tri” al Museo Dio­ce­sano di Milano.

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