3 Dicembre 2010
la Repubblica

Gli sguardi incrociati sui luoghi delle artiste

 

di Paola Nicita

Lo sguardo sull’ altro,a volte diventa lo sguardo dell’ altro: e così tra conoscenza e incontro il pensiero assume le nuove forme di uno spostamento, inteso come modifica soggettiva e al contempo analisi globale. “Chassis – Croisès” prende spunto da una figura di danza, quella per l’ appunto in cui dama e cavaliere scambiano i loro posti – e dunque modificano la percezione di sé e dell’ altro – per approdare a un discorso sulla semantica nel progetto allestito al Centro d’ arte Piana dei Colli, a Villa Alliata Cardillo, curato da Giulia Ingarao e Marìa Jesus Martinez Silvente. Un progetto espositivo che ha visto una forte volontà collaborativa per chiamare in causa le artiste selezionate: da Palermo arrivano Anne-Clémence de Grollée e Marjolein Wortmann, da Amsterdam Esther Burgher e Patricia Haersenhout, da Siviglia Ruth Moràn Mèndez e da Malaga Laura Brinkemann Reimann. Il percorso espositivo – allestito da Agnese Giglia- propone una sequenza di stanze, una per ciascun artista, doveè leggibile il lavoro sia nella sua singolarità che nel suo raccordarsi in un unico filo. Le artiste hanno scambiato le loro residenze: una modalità abbastanza diffusa, ma che qui ha fatto leva anche su un aspetto maggiormente personale. Iniziamo dalla fine, con uno dei progetti, quello di Patricia Kaersenhout, che sembra più efficacemente concretizzare la riflessione su una serie di concetti, dall’ identità al neocolonialismo, passando per una frammentarietà dell’ esistenza che a ben vedere assurge ad emblema di una condizione umana nutrita, per sua stessa natura, di spostamento, di mancanza di basi e certezze. Kaersenhout, nata in Olanda da genitori provenienti dal Suriname, propone “Zio Tom Project”, una serie fotografica realizzata a Palermo, in cui il celebre libro “La capanna dello Zio Tom”, è emblema di cancellazione dei visi delle persone che l’ artista ritrae con una fotografia. Altri lavori prendono in prestito gli emblemi del colonialismo, quelle perline di vetro e specchietti che venivano scambiati con gli indigeni per pietre preziose, per restituirli al loro ruolo decorativo. Anne-Clémence de Grolèe si appropria delle icone legate all’ Olanda, mucchee tulipani, le lega alle nuove architetture contemporanee che hanno alterato il celebre landscape tutto verde e bovini, e le rimaneggia in una direzione inedita e al contempo familiare, frutto – anche qui – di una summa di identità, come del resto accade anche nelle gouaches di “Flyng Dutch Cows”. Identità che si moltiplicano e a volte si annullano, ed ecco le fotografie con i tulipani “seriali”, uguali a se stessi, pronti a trasformarsi in codici a barre, in cerca di altre identità. Le suggestioni del paesaggio di Mondello e Sferracavallo sono gli spunti emotivi dai quali trae ispirazione il lavoro di Ruth Moràn Mèndez, che assembla una serie di fogli minuziosamente percorsi da segni minuti, quasi tracce di una memoria pulviscolare, astratta eppure insolitamente pregnante nella definizione di paesaggi d’ anima. La madre, nelle declinazioni più insolite, dal sacro al profano, è la presenza costante delle opere di Majolein Wortmann, che la Settimana santa di Siviglia e la festa della Madonna del Capo incrocia strappi di manifesti e inserisce decorazioni, tornando poi a riproporre quelle “vestagliette” da lei reinventate che sono un po’ la divisa da ordinanza delle donne del sud, tutte casa, lavoro e chiesa. Esther Burger recupera frammenti di libri e stoffa, li accosta per dar vita e nuovi racconti, ricoprendole con strisce sottili di silicone trasparente, per uno sguardo “disturbato”: la visione è tremula anche nel video e nelle immagini di Laura Brinkmann, che gira per i mercati siciliani e spagnoli, dando vita ad immagini fuori fuoco che ancora una volta narrano l’ inconsistenza del visibile.

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