18 Dicembre 2017
la Repubblica

I disegni di Marzia Migliora sono in vetrina

di Cristiana Campanini

 

Passeggiando di fretta o anche sfrecciando in auto con le luci della sera, qualcosa d’inconsueto cattura il nostro sguardo da una vetrina di via Pietro Calvi. Ci suggerisce di rallentare la corsa e i pensieri per aguzzare la vista.

Non propone alcun prodotto. Solo tre legni da carpentiere piantati in verticale. Ciascuno fa da sostegno ad altrettanti disegni, delineando una scacchiera. Alcuni sono rivolti alla strada, altri ci danno le spalle per guardare dentro il negozio. È un’installazione di Marzia Migliora e siamo alla libreria delle donne che, a partire da un’idea di Corrado Levi nel 2001, dà alla quarta vetrina campo libero alla sperimentazione d’artista (donna, ovviamente, più spesso giovane). E quest’ultimo episodio, con mezzi poverissimi e l’eleganza della sintesi, riesce a catturare la nostra attenzione spingendoci a sfiorare il vetro con la punta del naso per indagare i disegni, oltre i riflessi.

Ma soprattutto a entrare. «C’è una grande libertà d’interpretazione in questa piccola cornice», spiega la curatrice Francesca Pasini, motore di una frenetica accelerazione di vetrine d’artista, o meglio vere e proprie mostre a misura di vetrina, una ventina in soli due anni, che hanno visto avvicendarsi Alice Cattaneo, Margherita Morgantin, Goldie Chiari, Liliana Moro. Ciascun episodio è inaugurato da un incontro con l’artista e accompagnato da un multiplo in 10 esemplari in vendita a 150 euro in libreria a sostegno del progetto. «A ogni mostra mi accorgo che il lavoro delle artiste è un universo da indagare — spiega la curatrice con voce calda, spegnendo una sigaretta dopo l’altra — Sono molte, anzi moltissime. E sono brave, mi appassionano sempre di più. Potrei andare avanti così altri dieci anni. Quando ho iniziato a fare il critico, negli anni Novanta, ricordo che i collezionisti, prima d’investire su un’artista, si chiedevano: ma se si sposa e poi ha figli? È cambiato, certo. Ma c’è ancora molto lavoro da fare».

Libreria è una definizione impropria, per questo luogo, che è un’istituzione del femminismo milanese e italiano. Fondata nel 1975 in via Dogana. Circolo culturale, laboratorio di pratica politica per generazioni di femministe, finanziava il suo esordio proprio con l’arte, dalla vendita di opere donate da artiste del movimento, come Carla Accardi, Dadamaino, Nanda Vigo. Lo spazio è scandito da tre stanze: una sala per i libri, una per gli incontri e un’altra con cucina, per i momenti conviviali (moltissimi). «Più che una vetrina, è un vetro.

Non c’è alcun fondo a chiudere lo spazio. E l’artista lavora a tutto tondo. L’arte scende in strada, ma anche in libreria dove l’aspetta una platea partecipativa, allenata a discutere. La sfida è interessante». E Marzia Migliora, artista torinese con una vocazione per i temi universali, come il rapporto dell’uomo con il lavoro e la terra, risponde con le sue chine su collage, delicate composizioni che mimetizzano frammenti dalle illustrazioni dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, tasselli di un ingranaggio da cui innescare libere associazioni oniriche. Il tema? La maternità.

 

 

 

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