12 Luglio 2014

Ironie in salsa islamica

da “Il Manifesto” del 12 luglio 2014

— Manuela De Leonardis, NEW YORK, 10.7.2014

Arte. «Middle East Revealed», una mostra di fotografe dal Medioriente a New York, presso la galleria Howard Greenberg

Da una parte ci sono gli uomini, pro­prio come nei matri­moni arabi tra­di­zio­nali, dall’altra le donne. Truppe colo­niali inglesi, legione stra­niera, beduini e anche sene­ga­lesi della guar­ni­gione fran­cese sono ritratti dalla prima cor­ri­spon­dente di guerra della sto­ria, l’americana Mar­ga­ret Bourke-White (1904–1971) che è stata anche la prima donna foto­grafa di Life (sua anche la prima coper­tina del set­ti­ma­nale del 23 novem­bre 1936). Datate 1940, que­ste foto sono state scat­tate in uno sce­na­rio che è pre­va­len­te­mente quello del deserto siriano. Sette mesi dopo, gli Stati Uniti sareb­bero entrati in guerra con­tro la Ger­ma­nia nazi­sta e i suoi alleati. Esporre que­sto nucleo di vin­tage, pro­ve­niente dall’archivio di Life, nell’ambito della mostra The Middle East Revea­led: A Female Per­spec­tive alla Howard Green­berg Gal­lery di New York (fino al 30 ago­sto) è il punto di par­tenza per inter­cet­tare altre pos­si­bili rifles­sioni. Attra­ver­sati que­sti ultimi settant’anni di sto­ria, a par­lare — sta­volta — sono le donne. Non solo in quanto sog­getto, ma anche come attente osser­va­trici di una società quanto mai com­plessa come quella medio­rien­tale. Ma la yeme­nita Bou­shra Almu­ta­wa­kel, l’iraniana Shadi Gha­di­rian, la liba­nese Rania Matar e la sau­dita Reem Al Fai­sal ci mostrano anche aspetti meno pre­ve­di­bili. Lo fanno attra­verso lo stru­mento della foto­gra­fia che, come il video, è un’arte «nuova», con minori con­di­zio­na­menti e restri­zioni espres­sive. Ci si può lasciar andare alla tra­spo­si­zione lirica, come Reem Al Fai­sal (vive tra Jedda e Parigi) con le sue grandi foto in bianco e nero della Mecca. Il pel­le­gri­nag­gio (la serie Hajj) non è solo un dovere per ogni buon musul­mano, può rac­con­tare anche un momento di aggre­ga­zione. Seguendo la sua innata indole alla tra­du­zione meta­fo­rica, qui il bianco e nero dà voce alla cora­lità pul­sante. Una col­let­ti­vità fatta di indi­vi­dui — uomini e donne — come è ben con­sa­pe­vole la fotografa-principessa (il suo bisnonno era Re Abdul Aziz). Alle prese con gli oppo­sti — modernità/tradizione, pubblico/privato, sono le figure fem­mi­nili ritratte da Shadi Gha­di­rian (Tehe­ran, 1974) nelle note imma­gini sep­piate della serie Qajar (1998). Umo­ri­smo e iro­nia alleg­ge­ri­scono la pesan­tezza di un dato di fatto: essere donna in Iran vuol dire com­bat­tere per affer­mare i pro­pri diritti. Ma la vita va avanti, come afferma anche Bou­shra Almu­ta­wa­kel (Sana’a 1969) con la sua notis­sima serie foto­gra­fica Mother, Daughter, Doll (2010) che foca­lizza l’involuzione cul­tu­rale in corso nel suo paese. Spetta a Rania Matar (Bei­rut 1964, vive e lavora tra Boston e Bei­rut) il com­pito di sot­to­li­neare, invece, come non ci siano con­fini quando si parla di ado­le­scenza. A Girl and Her Room (2010–2013) intro­duce a situa­zioni ogget­ti­va­mente diverse, negli Stati Uniti e in Medio Oriente, di cui sono pro­ta­go­ni­ste delle tee­na­ger che, indi­pen­den­te­mente dalla geo­gra­fia e poli­tica, hanno gli stessi sogni e vulnerabilità.

Print Friendly, PDF & Email