13 Marzo 2012
la Repubblica

Marlene Dumas, la star dell’arte commossa dalle Stelline

 


di Cristiana Campanini


Occhi inquieti e dispettosi, incorniciati da riccioli biondi indomabili. Le mani si muovono come per dipingere nello spazio. È un fiume in piena quando racconta la sua pittura Marlene Dumas, una delle due, forse tre artiste viventi più costose al mondo (tra i suoi collezionisti, Francois Pinault e Charles Saatchi), campionessa del ritorno alla pittura dagli anni Ottanta con soggetti scioccanti, immagini pornografiche e cadaveri (come la terrorista Ulrike Meinhof sul tavolo dell’obitorio e Marilyn Monroe fotografata dalla polizia). Nel 2008 la grande tela The visitor (1995) andava all’incanto per 4 milioni di euro. Era l’anno dei successi americani, quando la retrospettiva Measuring your own grave viaggiava dal Moca di Los Angeles al Moma di New York. Curata da Giorgio Verzotti, inaugura oggi alle 18.30 alla Fondazione Stelline una mostra intima e spirituale, senza scene di sesso o violenza. «Nel mio lavoro non c’è solo sofferenza, ma vitalità e bellezza», l’artista si racconta con gioia e un sorriso aperto, insospettabili per chi la conosce attraverso un’opera scarna, drammatica, esistenziale. Sfilano 15 carte, tra disegni e acquerelli storici, e 22 dipinti recenti, tra cui 4 crocifissi, ispirati a sculture gotiche lignee, e due volti di Amy Winehouse ritratta a poche ore dalla morte. Doveva essere una mostra come altre, ma è diventata un omaggio a Milano in 15 opere inedite. “Al Castello Sforzesco ho incontrato la Pietà Rondanini, opera inarrivabile. Ho iniziato a riflettere sul dolore della donna, sul rapporto tra Pasolini e sua madre, a cui avevo già lavorato, e ho rivisto capolavori come il Vangelo secondo Matteo e Mamma Roma”.
Uno dopo l’altro emergono ritratti e figure. Da vecchie foto d’archivio dell’ex orfanotrofio femminile delle Stelline nascono tre dipinti. «Negli occhi di quelle bambine ho rivisto la mia giovinezza in collegio», spiega. Nata nel 1953 in Sudafrica in una famiglia di boeri protestanti di lingua Afrikaans, Marlene cresce in una piccola azienda vinicola a un’ora da Cape Town, cosciente fin da bambina dei dolori dell’apartheid. È la più giovane di tre figli e il fratello Pieter, reverendo, viene licenziato per un sermone antirazziale. Nel 1976 si trasferisce ad Amsterdam in cerca di libertà e per vivere arrotonda la sua borsa di studio facendo le pulizie.
Quei conflitti razziali nutrono da allora una vera e propria ossessione per la figura umana. La dipinge, per lo più la notte, a olio su tela nei toni del grigio, del nero, del viola. Oppure ad acquerello su grandi carte facendo emergere fantasmi dai volti dolci e sgangherati. Le sue figure sono sempre tratte da fotografie. «Immagini di seconda mano» le chiama, ritagli di giornale archiviati per categorie: volti, urla, cadaveri, guerre, modelle, uomini. Le scelte formali sono centrali nella sua pittura, mentre storie, racconti e simboli restano sullo sfondo. «In un certo senso sono una pittrice astratta, perché in una linea verticale vedo l’uomo e in un volto scorgo paesaggi indefiniti». Da non perdere un piccolo olio su lino omaggio alla Pietà Rondanini; e il documentario di Rudolf Evenhuis, assistente che la segue due anni per realizzare il film della sua vita.

 

 

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