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Cara Serena
Fuart,
ricevo dalla Libreria delle donne, come proposta di lettura, un articolo
dell''89 di Luisa Muraro sullo stupro,con domanda finale: esiste allora
un significato femminile dello stupro?
Testo e domanda inquietanti, perché il fantasma dello stupro non
è un oggetto facile da maneggiare per una mente femminile evoluta.
Strati e strati di significati, detti e non detti, quasi certamente non
compatibili.Vorrei liberarmi della questione attestandomi sui circuiti
più civili e complessi della mia soggettività e dire che
la fantasia dello stupro ( parlo del simbolico, perché della violenza
reale non credo ci sia da discutere) è prerogativa maschile esclusiva,
comprese le proiezioni sull'ipotetico godimento-desiderio-provocazione
inconscia femminile. Ma, come la mettiamo con le visioni delle mistiche,
giustamente evocate con rispetto da Luisa Muraro, così spontaneamente
e felicemente creative nell'elaborazione di una simbologia della violenza
desiderata, con la sublimazione dell'annichilimento in estasi=apertura
onnilaterale al divino? E con le fantasie di dedizione amorosa (scelte,
d'accordo, liberamente e certo revocabili, ma pericolosamente vicine a
stereotipi troppo noti della simbologia maschile del dominio sessuale)?
Ricordate Gianna Nannini, "Come una schiava"? C'è qualcuna
di noi che non abbia avuto il desiderio di perdersi in un amore e non
si sia sentita felice in tale estremo abbandono, prima di rinsavire?
Eppure sono sicura che l'equazione di reciprocità , tra fantasie
maschili e femminili, non torna. Provo a ripensare a ciò che comprendo
del lato maschile della cosa. Lo stupro è un atto sovranamente
unilaterale (Muraro la chiama "autosufficienza simbolica"),
con cui il maschio sopprime la soggettività dell'altra (che gli
starebbe di contro, hegelianamente, come un altro se stesso, un'altra
autocoscienza con cui fare i conti) e se la sottomette come un oggetto.
Fonte di piacere, in senso stretto, ma soprattutto campo aperto di attività,
teatro di un'esibizione di potere, lei è per lui al più
spettatrice minimale (perfino sopprimibile realmente, nei finali più
violenti), perché è innanzitutto ai suoi stessi occhi (o
a quelli degli altri maschi presenti) che il violentatore dimostra la
sua onnipotenza. Se lo stupro, o la fantasia di stupro è esaltante,
è per il delirio di autosufficienza che esprime: un delirio autistico
di auto riferimento, più profondo e tragico del banale narcisismo
prestazionale, che ancora esprime il bisogno di sguardo altrui. Nello
stupro il maschio è solo con se stesso e con il fantasma della
sua virilità ingigantita, così esclusivamente attiva da
sopprimere ogni aspetto recettivo della relazione in corso, fino a negare
la realtà dell'altra. Lei non deve né godere, né
approvare o rispondere, ma subire e tacere, limitando la sua presenza
viva alla consapevolezza del suo annichilimento.
Per essere complementare a questa, la fantasia femminile di stupro dovrebbe
elaborare l'annichilimento insieme alla solitudine, in cui deliberatamente
la vittima viene respinta dal suo violentatore. Ma non è così.
Le fantasie femminili di annichilimento ad opera dell'altro (uomo o dio,
non importa) sono fantasmi di una relazione: una relazione d'amore che
estremizza il gioco delle parti tra chi è amante e chi è
amato e chiede risposte estreme;una relazione in cui il violentatore non
solo esiste e giganteggia come figura piena e splendente, ma si suppone
desideri violentemente appropriarsi della violentata. Solo in virtù
di questa supposizione (proiezione che interpreta il gesto maschile come
desiderio di unione), la dedizione può essere vissuta come forma
paradossale di valorizzazione, perché il piccolo "io"
separato e solo può pensarsi felicemente accolto dentro il grande
"io" erotico dell'altro.
Dunque, credo, non c'è nessuna simmetria o complementarità
possibile. C'è piuttosto un grande equivoco, che forse si annida
in tutti gli scambi simbolici tra uomini e donne, alimentando sogni unilaterali,
non conciliabili. Accettando la violenza nel rapporto, lei crede di entrare
nel desiderio di lui, di rimanere inclusa senza residui nella sfera del
suo erotismo, mai più separata e mai più sola. Così
la violenza può diventare il sogno estremo della relazione perfetta,
secondo un'immagine inclusiva che mi sembra, in qualche modo, materna.
L'equivoco è davvero tragico, perché per ogni quota di violenza
che lei è disposta ad accettare, c'è per lui un incremento
di esaltazione solitaria, un nuovo gesto di emancipazione dalla forza
affettiva vischiosa del rapporto. Se sussistono altre componenti dell'affettività,
l'equivoco permette a due fantasie autoerotiche divergenti di coesistere
in modo non del tutto allucinatorio.Nello stupro vero ( o quando un rapporto
si rivela interamente vuoto di affettività), non ci sono margini
di illusione possibili: anche la fantasia della donna, disperatamente
fiduciosa, viene annichilita per sempre.
Questo modo di vedere le cose mi fa tornare qualche conto, tra ciò
che ho sentito, pensato e osservato. Mi farebbe piacere sapere di altre
riflessioni sull'argomento. Grazie per la newsletter.
Fulvia de
Luise
postaingioco@libreriadelledonne.it
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