Libreria delle donne di Milano
Africa Burkina

da DWF n.68 - ottobre/dicembre 2005

Odile Sankara, prima di tutto la vita
di Vita Cosentino

Parlare di teatro e di politica, se si tratta di Odile Sankara, significa per me parlare di un cambiamento. Sento infatti che, nello scambio che intrattengo da alcuni anni con questa artista africana del Burkina Faso, mi si sono aperti dei varchi di comprensione, soprattutto riguardo ad alcune possibilità politiche preziose in questo nostro tormentato presente. Una relazione non sempre semplice, per i molteplici piani che si intersecano e che chiamano prepotentemente in causa il rapporto, così come si è costituito storicamente, tra Occidente e paesi poveri africani.
Per farmi intendere, racconterò un piccolo episodio capitato durante una recente visita di Odile a Milano, quando venne invitata, nell'aprile 2005, dalla Libreria delle donne. Eravamo andate, insieme a Luisa Muraro, a tenere un incontro in una scuola e un ragazzo, incuriosito, le chiese che sogno avesse da bambina. "Quando ero molto piccola non avevo un sogno" rispose, "perché sono stata educata secondo la tradizione della mia etnia Mossi, che privilegia la comunità rispetto all'individuo; poi, quando sono andata a scuola, che in Burkina è francese per via della colonizzazione, allora sì, avevo un sogno, ed era quello di diventare una grande cantante francese, come Edith Piaf. Crescendo, però, ho capito che si trattava di un inganno, e solo all'università ho incontrato la mia strada." In quell'occasione, Odile ha chiuso l'incontro con una sorprendente considerazione che mi ha fatto pensare: "Quello che io e il mio paese possiamo dare al mondo globalizzato di oggi è un contributo alla spiritualità".
Quest'ultima affermazione illumina, a mio modo di vedere, tutto il suo percorso umano e teatrale. Mi occorreranno molte più parole scambiate per rendere comprensibile il suo percorso, come mi è occorso molto tempo per i lenti avvicinamenti successivi. E tante domande. Soprattutto un pomeriggio, a casa mia, trascorso a cercare di capire qualcosa di quello che mi stava dicendo. Come facciamo noi occidentali - e questo Odile lo apprezza molto - mi sono aiutata con i libri, in particolare due. Il primo è stato L'Afrique au secours de l'Occident, per ora disponibile solo in francese, scritto da Anne-Cécile Robert, che insegna all'università di Parigi 8 e collabora a Le Monde Diplomatique. La sua tesi di fondo è che il preteso "ritardo" dell'Africa potrebbe essere l'espressione di una formidabile resistenza culturale a un modello economico devastante. Sarebbe piuttosto l'Occidente ad aver bisogno di aiuto, e il patrimonio culturale africano potrebbe venirgli in soccorso. Odile mi ha poi consigliato di leggere A quando l'Africa? di Joseph Ki Zerbo, un intellettuale, uno storico e un uomo d'azione del Burkina che da quaranta anni si batte per lo "sviluppo endogeno".
Dice un proverbio africano citato nel libro, "non si può pettinare qualcuno in sua assenza". "Non dovrebbero essere gli Europei a spingere per la crescita dell'Africa." - spiega Odile - "Quest'esigenza dovrebbe partire da noi Africani, dalla nostra volontà e capacità di tracciare la nostra strada nel mondo senza che siano altri a indicarcela". La consapevolezza che lo sviluppo del suo paese non può e non deve avvenire a imitazione del modello occidentale ha profondamente a che fare con il suo impegno nel teatro. Il perché lo ha spiegato, con la consueta capacità di ricorrere a immagini semplici e incisive, durante un incontro in Libreria, raccontando che le è capitato di vedere, in villaggi dispersi nella savana, bambini che indossavano vestiti con i colori della bandiera americana. "Di fatto, esiste un contrasto fra i due modelli, occidentale e africano, ma fortunatamente ci sono ancora, in Burkina, degli uomini e delle donne che s'impegnano perché il nostro patrimonio culturale e la ricchezza delle nostre tradizioni non vengano cancellati" dice. "Mi chiedo però quante persone possano capire il vero significato nascosto dietro a tutto questo, quanta gente si renda conto della necessità vitale di mantenere ben salde le nostre radici africane. Noi, tramite il teatro, riprendiamo i racconti tradizionali proprio con l'intenzione di riproporre, grazie ai loro contenuti, tutti i valori di un paese, della storia di un popolo, di un continente intero, soffermandoci sugli insegnamenti, sui principi educativi, affinché da questi si possano trarre immagini di una società."
Odile fa notare che le attuali politiche africane non fanno nulla per impedire l'influenza occidentale e sostiene che "se la politica cerca nei valori tradizionali, troverà delle cose a cui appoggiarsi per armonizzare la società moderna". Ma quando le si chiede se fa politica, risponde di no, intendendo che non riveste cariche politiche ufficiali. In realtà, nel 1992 ha fondato l'Associazione "Talents de femmes" per promuovere l'eccellenza femminile nelle arti dello spettacolo e nell'artigianato. L'Associazione - che è composta principalmente da donne ma non preclude la partecipazione agli uomini - in questi anni ha messo in scena testi teatrali, ha promosso Giornate delle donne delle arti dello spettacolo e organizza stabilmente, ogni due anni, "Voix de Femmes", evento noto in tutta l'Africa.
Quando l'ho sentita per la prima volta usare la parola "valori", e per di più associata a "tradizionali", ho fatto un piccolo sobbalzo, perché è un concetto che, qui da noi, suona piuttosto moralistico; ma il problema che sta a cuore a Odile è cruciale. Si tratta di un argomento ben delineato anche nel libro della Robert: le élite politiche africane di parecchi paesi rifiutano i valori e le forme tradizionali dell'organizzazione sociale e politica a favore dei modi della democrazia occidentale (tribunali, diritti ecc.). La centralità di questa posizione mi è apparsa chiara quando l'autrice porta nel suo libro l'esempio di Nelson Mandela, che in un suo scritto esplicita come la palabre - cioè il cerchio tradizionale sotto l'albero in cui chi vuole parlare può farlo - abbia influenzato la sua concezione del potere. All'improvviso ho capito da dove veniva quella straordinaria invenzione politica che è stato il processo di riconciliazione in Sudafrica, in cui è stata data la parola sia alle vittime che ai carnefici. Certo non è stata la riproposizione diretta della tradizione; è qualche cosa di nuovo, un'invenzione, ma che trova la sua radice nella tradizione africana.
Forse è proprio questo che dobbiamo imparare dall'Africa. La nostra è una civiltà basata sulla scrittura, e spesso ci sfugge il fatto che nelle civiltà orali la questione del potere si organizza in modo differente, perché la scrittura cambia il significato delle norme e del vivere comune e crea un universale astratto. Secondo la Robert, in Africa la palabre è una "forma specifica di mediazione", una forma di potere parallelo (L'Afrique, p. 120). Nelle società a tradizione orale tutto rimane più fluido. Credo che Odile abbia in mente proprio questo, quando parla di "armonizzare la società moderna". Di sicuro non è contro di essa, ma neppure accetta tutto quello che propone. Assume questo stesso atteggiamento verso usi e costumi dell'Occidente, verso la società francese, in cui ogni anno passa alcuni mesi, invitata a tenere corsi di teatro, a Belfort.
Sulla necessità di fare riferimento alla tradizione, Odile si richiama a suo fratello per parte di padre, Thomas Sankara, amato presidente del Burkina dal 1983 al 1987, che fu tragicamente ucciso dopo essere stato protagonista di un tentativo rivoluzionario oggi molto studiato e riproposto in due spettacoli teatrali in corso di realizzazione in Francia e in Italia. "Si pensa sempre alla tradizione come a qualcosa fuori moda" dice Odile, "ma se Thomas vedeva le cose in quel modo e pensava quelle cose, è proprio perché è nato nella tradizione. Noi non siamo della città, siamo cresciuti nel rispetto e nella conoscenza della tradizione." Thomas Sankara parlava di decolonizzare la mente, e Odile, riferendosi al fratello, continua: "Sosteneva l'idea di 'sprigionare' le persone dalla loro stessa testa, di farle uscire dall'incastro in cui finiscono per mettersi, di convincerle che è importante occuparsi di sé, prendere la parola ed essere responsabili di se stessi".
Quando eravamo a casa mia, le ho chiesto che cosa significhi vivere e crescere secondo la cultura mossi. I Mossi sono una delle 60 etnie che costituiscono il Burkina. Me ne ha parlato a lungo e l'elemento di fondo che ho colto dalle sue parole è una dimensione di sacralità che aderisce agli aspetti materiali della vita e ai rapporti umani. "L'educazione, per un Mossi, è dare un valore alle cose, alla comunità e all'individuo come parte integrante di essa, a tutto ciò che rappresenta il villaggio, ai sacrifici, alle cerimonie e ai riti… Nella comunità mossi c'è molto rispetto per tutto ciò che è ritenuto sacro, per cui se, per esempio, al villaggio un pozzo viene considerato pubblico e tutti ne possono attingere l'acqua, nessuno vi si avvicinerà con l'intenzione di sputarci dentro. Non si possono saccheggiare i beni altrui, non si può andare nel campo di un altro e rubargli il raccolto solo per invidia o gelosia. Se ci sono dei feticci o dei luoghi di culto, nonostante io non condivida certi riti, rispetto comunque il luogo e lo considero sacro, perché così va considerato, perché così è deciso da generazioni da tutti; il carattere sacro è fondamentale e dobbiamo rispettarlo."
L'altro valore centrale all'interno della cultura mossi è quello dell'integrità. "Se faccio parte di una famiglia mossi, anche se la mia famiglia è povera e non ho la possibilità di mangiare, devo mantenere un atteggiamento fiero, essere fiera di portare il mio cognome, Sankara, o Kaborè o Ouédraogo, perché rappresenta un'intera comunità, la storia di un popolo; e per questo non posso uscire di casa e lamentarmi della mia condizione, ma devo fare di tutto per migliorare lo stato in cui si trova la mia famiglia, lavorando, impegnandomi come posso. Anche il lavoro è un valore che dà dignità a un uomo." L'idea dell'integrità è stata felicemente ripresa in Burkina Faso negli anni della presidenza Sankara, tanto che lo stesso nome del Paese, che ha sostituito quello di Alto Volta, dato dai colonizzatori, significa "Paese degli uomini integri".
Odile vuole rimanere fedele alla sua radice culturale, ma in modo dinamico. Quando, in Libreria, le abbiamo chiesto quali sono i nuovi valori che l'Africa cerca, indipendentemente dall'influenza occidentale, ha risposto: "Credo che da noi il sapere venga considerato un valore importante perché, se si è istruiti, si ha la possibilità di scegliere. Un altro valore importante è quello del ridere, del riuscire a sorridere nonostante la povertà, nonostante le mille difficoltà. Ritrovare la forza per sorridere della vita significa darsi forza ed essere comunque soddisfatti; dietro a questo si nasconde il valore dell'integrità, che è nato soprattutto durante la rivoluzione e che fino a oggi ha distinto il mio popolo, per cui ogni burkinabè è fiero di sentirsi tale."
Dell'integrità, Odile fa una regola interiore di vita. Per lei, per esempio, "la promessa è sacra". A volte ha rinunciato a proposte più vantaggiose o prestigiose, pur di non venire meno all'impegno preso con i suoi corsisti di Belfort. Di tutto questo, qualcosa traluce dal suo contegno, dal suo portamento, dal suo modo di parlare, tanto che si ha l'impressione di avere a che fare con una regina; questa, almeno, è stata l'impressione che ha fatto a molte di noi quando Serena Sartori - un'amica regista teatrale che lavora spesso in Africa - ce l'ha fatta conoscere una sera, in Libreria.

Il suo stesso fare teatro è attraversato dalla contraddizione politica tra Occidente e paesi africani. Il Burkina è un paese molto povero e gran parte dei progetti, anche teatrali, che lì si realizzano, vengono finanziati da paesi occidentali; questo crea spesso forti ambiguità e ulteriori problemi, "perché in Burkina ci sono tanti registi stranieri che vengono come dei rapaci, per saccheggiare l'Africa degli attori africani proponendo dei progetti magari ben remunerati ma con contenuti e qualità decisamente scarsi". Un'altra contraddizione molto presente a Odile è rappresentata dal fatto che, con i forti finanziamenti da parte delle ONG, si fa del teatro una forma di intervento sociale. Mi ha parlato più volte di una troupe molto conosciuta che fa teatro-forum in Burkina, ispirandosi a August Boil - il regista tedesco che ha fondato un movimento teatrale nel dopoguerra - per affrontare temi politici e sociali, come per esempio i matrimoni forzati e l'escissione. Odile non condivide un simile approccio: "Non credo che questa forma di teatro sia arte, perché non c'è dietro un lavoro d'attori, non c'è una creazione alle spalle; risulterebbe uguale se prendessi tre persone del villaggio e le portassi in piazza per fare un discorso politico. Pur rispettando molto l'utilità del lavoro che viene fatto, non potrei accettare di partecipare a iniziative del genere, perché, come attrice, perderei significato, non esisterei. In questo modo non si valorizza l'attore africano, che resta poco considerato e non viene valutato professionalmente, alimentando il preconcetto che è poco artista, che accetta qualsiasi ruolo solo per i soldi. Preferirei che si creassero dei progetti in cui venisse valorizzata la qualità, la professionalità, integrando anche i valori della tradizione e i risultati della riflessione continua e profonda che sempre occorre fare di fronte a un testo."
Queste ultime frasi delineano la strada su cui sta camminando Odile, che mi ha raccontato la sua esperienza. "Quando ho cominciato con il teatro, ho avuto la fortuna di incontrare un regista africano veramente bravo che ancora oggi fa parte della compagnia; sin dall'inizio ci ha consigliato di lavorare duro, di non mollare, e ci ha ripetuto che se avessimo continuato a dare importanza ai contenuti, alla formazione, saremmo riusciti un giorno a vivere del nostro mestiere. La Compagnie de Seeren (fioritura) è nata alla fine del 1990, grazie al direttore che già aveva fatto diverse esperienze in Francia e che, una volta tornato in Burkina, aveva deciso di mettere a frutto tutte le conoscenze acquisite in un nuovo progetto. Appena creata la compagnia, chiarì immediatamente che si trattava di un lavoro professionale e che tutti coloro che accettavano l'impegno dovevano fare del teatro un mestiere, dedicandosi solo a quello. Fu una presa di posizione innovativa che, per certi versi, suscitò scandalo e molte critiche, perché era la prima volta che in Burkina si parlava del teatro come di un vero e proprio mestiere; fino ad allora, nel mio paese, non veniva considerato come un lavoro vero e proprio."
Odile è completamente calata nelle contraddizioni del presente, e sa che si tratta di una lotta sempre aperta. "Oggi è difficile, la gente rinuncia ai propri principi per i soldi, per guadagnare il potere, e spesso si scende troppo a compromessi a discapito dei propri valori. È difficile lottare contro questa situazione, perché si tratta di un sistema mondiale. L'unica cosa che posso fare, nel mio piccolo, è dare l'esempio, senza esiliarmi in Europa. Vengo, sì, in Europa per conoscere, per imparare, e poi reinvesto ciò che ho appreso nel mio paese, per il mio paese. È l'unica maniera che ho per partecipare al cambiamento, per essere d'esempio per le persone che mi sono vicine, con le quali posso discutere… Altrimenti non si può far nulla per arrestare il meccanismo in atto."
Devo, a questo punto, ma non è una digressione, allargare il contorno, popolarlo. Odile, infatti, non è sola nella sua lotta, perché lo stesso approccio è condiviso dalle sue compagne Marceline Compaoré e Léontine Ouédrago, con cui nel 1992 ha fondato l'Associazione. Inoltre Odile ha, a sostenerla, quel che di straordinario che attraversa il suo paese e il continente africano. A sud del Mali, nell'arido Sahel, con 10 milioni di abitanti, il Burkina è di primo acchito sconcertante: quanto è povero di beni materiali tanto è ricco di amore per la cultura. A chi vi si avvicina viene spontaneo parlarne come di un miracolo, proprio come fa Lila Azam Zanganeh in un articolo comparso su "D donna di Repubblica", in cui racconta l'edizione di quest'anno del "Festival Panafricano del Cinema" (Fespaco) che dal 1966 si tiene ogni due anni nella capitale. Lo descrive come un miracolo, in vari sensi: Ouagadougou, città sofferente e povera, è riuscita a diventare la sede della più grande e interessante manifestazione culturale di tutta l'Africa, a cui accorrono critici e gente di cinema anche dall'Europa e dall'America; inoltre, grazie a questo evento, per sette giorni l'Africa diventa "visibile", si sottrae all'immagine che ne propongono i mass-media occidentali, fatta di massacri, Aids, guerre tribali. Certo, i film in concorso si fanno spesso specchio di fatti tragici, ma li raccontano dando "un volto più umano all'oscurità, nella percezione collettiva, di questo continente continuamente devastato dalle guerre" scrive Lila Azam Zanganeh. "Ogni film riesce ad afferrare un suo frammento di verità e a illuminarlo con una scintilla di poesia." Cita poi un testo che mi è molto piaciuto per dire che continuare a essere poeta in circostanze difficili è anche raggiungere il cuore della politica perché i sentimenti, le esperienze umane, ritrovano un posto di primo piano.
Che ci sia un cuore della politica che sta nel cuore degli esseri umani è particolarmente vero per il Burkina, in cui ha continuato a tessersi un filo sotterraneo che dopo la morte del presidente Sankara non si è più fermato e che si manifesta come amore per la cultura, per il sapere, coinvolgendo tutta la popolazione, dalle donne artiste ai contadini dei villaggi.

Odile e le sue compagne dell'Associazione sono espressione di questo "cuore della politica" e in più di un decennio hanno delineato una loro strada di libertà, che si può sintetizzare nel prendere la parola. In questo, Odile segna una differenza anche rispetto a suo fratello. Nel corso di un incontro pubblico, ricordando il grande impegno di Thomas per l'emancipazione femminile, ha raccontato come questa sensibilità gli venisse dall'aver assistito troppe volte alle sofferenze della madre a causa del marito, suo padre, un uomo molto patriarcale, e gli ha avanzato una velata critica, dicendo che "in Africa non si può andare in fretta, e qui si parla di un cambiamento molto profondo e radicale di mentalità". Le stesse vicende biografiche di Odile mostrano questa verità. Conversando a casa mia, mi ha raccontato che lei stessa, nonostante facesse l'università, durante la rivoluzione non si sentiva di partecipare agli incontri pubblici, come altre donne hanno fatto, e preferiva tornare a casa ad aiutare nelle faccende domestiche. Pur essendo d'accordo su tutto, preferiva tenersi in disparte e non farsi coinvolgere. Mi ha spiegato che si comportava così per il peso - negativo, in questo caso - della tradizione, quello stesso per cui da bambina non aveva un sogno: l'individuo viene sopraffatto dalla comunità e, per una donna, non è prevista la partecipazione a una discussione pubblica. Mi spiegava di aver trovato la sua indipendenza, la sua consapevolezza e la fiducia in se stessa - in breve, la sua strada per la libertà - grazie al teatro, che ha incontrato per caso quando frequentava l'università. "Con il tempo ho scoperto che quello che facevo mi piaceva e mi veniva naturale, e il teatro e la recitazione sono diventati per me un'arma per esistere in quanto donna. Nelle comunità tradizionali, la parola è consacrata ai saggi, agli anziani, al capo del villaggio. Così mi sono detta: il teatro è un mezzo di espressione, con il teatro posso dire delle cose, recitare sulla scena e dire delle cose liberamente."
Il teatro - che si fa "luogo di dibattito pubblico" - le permette di discutere, di entrare in contatto con la gente di città e di villaggio. "Dal punto di vista delle sue manifestazioni, il teatro trasmette la stessa vitalità che si respira nei villaggi, come se si trattasse di un matrimonio, o di una veglia. Non è come in Occidente, dove si presta grande attenzione al rigore, al rispetto del testo, alla dizione; per noi, all'interno delle nostre creazioni, è prioritaria la vita. Il divertimento sale ma, a un tratto, il pubblico non ride più: è in quel momento che inizia a riflettere."
Pur privilegiando, nel fare teatro, i racconti tradizionali, sia in "Talents de femmes" che nella sua compagnia teatrale, Odile non esclude altre fonti di ispirazione come romanzi e testi classici. "Nel '96 abbiamo messo in scena il nostro primo spettacolo, Les Co-epouses dell'algerina Fatima Gallaire, testo di un certo impatto sul pubblico, visto che parla della coalizione delle mogli che sottomettono il marito poligamo" racconta. "Abbiamo anche analizzato dei testi classici. Recentemente abbiamo lavorato su un testo di Pasolini, Pilade; l'abbiamo realizzato in Burkina, dopo una breve formazione a Parigi. La scelta, ovviamente, non è stata casuale, visto che nella trama si toccano tematiche molto vicine alla realtà politica africana di oggi. In Pilade viene sottolineata la relazione fra potere, sangue e crimine, e si analizza come, per raggiungere il potere, spesso, di fatto, si debba passare attraverso lo spargimento di sangue e il crimine. Un argomento d'evidente attualità, nell'Africa odierna."
Odile fa conto sulla forza dell'oralità che "porta a una riflessione profonda, che suscita domande e interrogazioni sul proprio comportamento, sull'agire interno della collettività. La nostra battaglia" dice, "serve proprio per ridare valore alla parola, rendere ancora sacra l'arte della parola, dell'oralità".

Apparentemente in contraddizione con il forte accento che pongono sull'oralità e con la tradizione culturale in cui sono immerse, le donne dell'Associazione "Talents de femmes" danno molta importanza alla scrittura. Odile e le sue compagne ritengono che si tratti di una strada di libertà femminile, oltre a un modo per custodire il sapere degli anziani, che rischia di perdersi nello sviluppo della società africana. In un incontro pubblico, dopo aver ricordato che lo scrittore africano Amadou Hampâté Bâ sostiene che "quando in Africa muore un vecchio è come se bruciasse una biblioteca", Odile ha avanzato una considerazione: "per me, il luogo della scrittura resta il luogo della libertà d'espressione. Dopo ci potrà essere la censura, ma intanto qualcosa è stato pensato e tradotto in scrittura. Per molti paesi questo è molto importante, è una presa di coscienza e padronanza di sé". A quell'incontro era presente anche Leontine, che ha aggiunto: "Abbiamo voglia di parlare e abbiamo delle cose da dire. Spesso capita che in presenza degli uomini le donne tacciano. Tuttavia, quando abbiamo un pezzo di carta e una penna in mano, allora parliamo; con la scrittura, le donne possono parlare di tutto quello che vogliono".
Il rapporto tra la Libreria delle donne di Milano e l'associazione "Talents de Femmes" è nato proprio per sostenere un loro progetto, quello di creare delle giovani scrittrici in Burkina attraverso un concorso letterario per le scuole superiori. Luisa Muraro e io abbiamo fatto in modo che il progetto concorresse al Premio "Grazia Zerman" , e ha ottenuto un finanziamento. Da quel momento, è cominciata una relazione che si va rafforzando, attrae altre donne della Libreria e non smette di farci pensare. Nel 2004 c'è stata la prima edizione del concorso letterario "Voix de Femme-Grazia Zerman", a cui hanno partecipato più di duecento ragazze burkinabé. In questi mesi è in preparazione la seconda edizione, che si concluderà nel febbraio 2006.
Riporto un passo del progetto, quello che più ci ha colpite perché fa vedere la scelta di queste donne - pienamente consapevoli dei drammatici problemi del loro Paese - di adottare come strategia politica la strada della scrittura: " 'Se anche avete un solo dente, fate che sia di un bianco perfetto' dice il proverbio. Nelle donne
burkinabé la passione per la scrittura esiste, questo è molto importante; si tratta ora di trovare dei quadri, un inquadramento affinché esse possano dare il meglio di se stesse. È in questo contesto e in questa prospettiva che l'Associazione 'Talents de Femmes', fedele ai suoi obiettivi, vorrebbe contribuire all'emergere della parola scritta femminile. La donna non ha forse una sensibilità che le è propria, con la quale è tenuta a contribuire alla costruzione del pensiero nazionale? In altre parole, può esistere un pensiero nazionale senza l'apporto della donna? Indubbiamente la ragazza burkinabé ha problemi che possono essere giudicati prioritari: la scolarizzazione, l'educazione, la lotta contro le MST [malattie sessualmente trasmissibili], il dramma delle ragazze madri... Tutti questi problemi, vissuti spesso in un drammatico silenzio, situano la giovane donna nel punto d'incrocio dei mali sociali del nostro tempo. È una ragione in più per dare la parola a queste vittime perché, come dice Edmonde Jabès praticare la scrittura è praticare nella propria vita un'apertura da cui la vita si farà testo".
Lo sviluppo ulteriore di questo progetto prevede una formazione più approfondita per le vincitrici, la pubblicazione dei testi migliori e il trarne materia per messe in scena teatrali. Da questi lavori e dalle altre attività di 'Talents de femmes' passa, per Odile, la possibile rottura, che è già in atto, con gli aspetti della tradizione che pesano malamente sulla vita delle donne. Il lavoro dell'Associazione e la sua stessa figura sono su un crinale difficile tra amore della tradizione e cambiamenti anche duri da fare: forse l'emblema di questa difficile posizione è che hanno adottato il francese, la lingua dei colonizzatori.
"Negli scritti delle ragazze che hanno partecipato al Concorso letterario emergono dei temi e delle libertà che vengono con forza rivendicate in contrasto con la tradizione stessa. Oggi bisogna iniziare a rendersi conto che ci sono delle pratiche della tradizione che sono superate, che oramai non possono più coesistere con la realtà e lo sviluppo della società… Per esempio, se consideriamo l'escissione, non ci si chiede perché realmente la si pratichi ma la si continua a proporre come rito sacro, perché da generazioni viene considerato tale e se non si dovesse fare si sarebbe puniti dalla divinità… Oggi si sono già messi in discussioni certi riti quali i matrimoni forzati, dove la donna è semplicemente un oggetto di scambio, e si lotta perché la donna, tramite la scolarizzazione, possa ottenere uno spazio all'interno della società pubblica… Tutti questi comportamenti ed argomenti vengono ripresi negli incontri che organizziamo con 'Talents de femmes', perché la donna possa comprendere il significato di tali comportamenti e inizi a raggiungere una certa consapevolezza, una coscienza per lottare per i propri diritti; la stessa possibilità di prendere la parola e potersi esprimere diventa un mezzo fondamentale attraverso il quale si può assistere a un cambiamento che ha origine proprio da una nuova coscienza e spinta."

Odile è una donna bella, elegante, fiera, un'artista coraggiosa, capace di tenere assieme libertà, cambiamento e tradizione culturale. Io sto continuando a imparare da quello che mi racconta di sé, della sua vita, delle sue idee; e quello che posso fare io, con la mia povera penna, le mie povere forze, è cercare di parlare di lei nel rispetto della sua differenza.


Bibliografia
Robert, Anne-Cécile, 2004 L'Afrique au secours de l'Occident, Paris, Les Éditions de l'Atelier
Zerbo, Joseph, 2005, A quando l'Africa? Bologna, Ed. Emi
Azam Zanganeh, Lila, Miracolo a Ouagadougou, in "D donna di Repubblica" 5 aprile 2005