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"Leggendaria" n. 62/2007 SPECIALE/VIRGINIA
WOOLF SCRIVERE
LA VITA di
Nadia Fusini e Liliana Rampello Autrici
di due libri che, in modi diversi, fanno i conti con la difficoltà di
raccontare Virginia Woolf, non semplici biografie ma testi che si misurano
con la scrittura della vita come avventura dell'anima. A Mantova, nel corso
del Festivaletteratura 2006, Nadia Fusini e Liliana Rampello hanno dialogato tra
di loro mettendo a confronto i loro percorsi. Abbiamo trascritto questo scambio
che vi proponiamo come inusuale testo critico ma anche come testimonianza della
relazione tra due appassionate lettrici LILIANA
RAMPELLO - Nadia Fusini è anche una traduttrice di Virginia Woolf, della
Woolf ci ha restituito finalmente la lingua dei suoi romanzi. Entrambe siamo state
sicuramente molto colpite dalla capacità e possibilità che i suoi
testi ci davano di entrare in viva relazione con una donna che non abbiamo considerato
alle nostre spalle ma in qualche modo capace di camminare ancora accanto a noi,
e noi di fianco a lei. Io ho incontrato i testi della Woolf in un percorso stravagante
rispetto a quelli tradizionali perché stavo studiando Walter Benjamin quando
mi sono imbattuta nei suoi testi. Poi l'ho incontrata ovviamente tra le donne.
Nel movimento delle donne la sua presenza - soprattutto per i testi dichiaratamente
politici, cioè Una stanza tutta per sé e Le tre ghinee - erano stati
ripresi e riletti come momento inaugurale di un pensiero che, più che della
differenza femminile, definirei della libertà femminile. Ero molto incuriosita
da questi testi ma la lettura dei suoi romanzi, soprattutto nelle traduzione allora
esistenti, mi annoiava mortalmente e non capivo come mai si parlasse tanto della
scrittrice. In realtà, mi sono appassionata molto prima della Woolf delle
lettere, dei diari, dei saggi. Solo dopo aver fatto questo passaggio nella sua
opera non narrativa sono riuscita a capire che cosa diavolo aveva fatto nei suoi
romanzi. Ovvero come avesse una posizione di libertà che non veniva semplicemente
tematizzata nel suo lavoro ma fosse proprio una postura della sua esistenza ed
un coraggio, un incredibile coraggio proprio nella capacità di porsi rispetto
alla grande tradizione della letteratura inglese che conosceva molto bene. Ho
capito che rispetto alla grande avventura del pensiero maschile, che lei ammirava,
esprimeva la capacità di "scappare", deviare, scartare. Con una
libertà che, a mio avviso, le ha permesso di inventare un pensiero che
non aveva trovato fino a quel momento una voce. In lei c'è la una posizione
decisissima e consapevole - ma anche dolorosa - la capacità di essere libera,
di rendere se stessa libera. La seconda cosa che mi aveva incuriosito moltissimo
- perché è un altro grande tema per chiunque si occupi di letteratura
- è il fatto che il suo programma di poetica, il suo programma di lavoro
artistico, si poteva riassumere in pochissime frasi da lei spesso ripetute però
assolutamente difficili da afferrare. Vale a dire: l'affermazione esplicita di
voler "scrivere la vita" e "pensare le cose come sono". Se
noi riflettiamo su queste due frasi, su queste due affermazioni, la questione
può apparire quasi banale. In realtà "scrivere la vita"
diventa un programma di enorme difficoltà formale perché il problema
grande, essendo lei una grande scrittrice, è come si fa ad acchiappare
la vita quotidiana, come si fa a tradurre in forma, rendere esattamente e precisamente
quella cosa che sfugge, cioè quello che ci sta attraversando e in ogni
momento stiamo vivendo e che afferrare è particolarmente ed estremamente
complesso. Questo mi ha interessato molto perché non solo è appassionante
vedere come lei ha risolto questo problema, ma anche perché implica una
fortissima e importante meditazione che in qualche modo la pone in una posizione
diversa dalla sua epoca e anche dagli autori della sua epoca. Questo "scrivere
la vita" a mio parere attraversa l'intera opera di Virginia Woolf. Non solo
il suo diario, apparentemente il registro più facile per scrivere la vita.
Non solo le biografie - come si fa a scrivere la vita di un altro, di un'altra?
- certamente le lettere. Le lettere sono squarci di vita continuamente riportati
attraverso una delle cose che lei adorava, la conversazione. Le sue lettere sono
vibranti di conversazione, sono divertentissime, recuperano un'intera epoca, restituiscono
il piacere che lei aveva avuto nelle sue giornate, nella sua vita quotidiana.
Ancora, ovviamente, "scrivere la vita" è un problema che riguarda
i suoi romanzi quindi l'invenzione di una forma e di un linguaggio. Anche "pensare
le cose come sono" implica un enorme coraggio, è un'enorme sfida.
Che cosa vuol dire "pensare le cose come sono", visto che il lavoro
che fa Virginia Woolf, sia artisticamente sia come grande pensatrice e saggista,
non è a mio parere la decostruzione del pensiero degli altri? Negli ultimi
anni siamo stati subissati dalle decostruzioni. Lei non decostruisce assolutamente
niente, lei si sposta e parla dal luogo in cui ha deciso di mettersi. Ed è
in questo gesto che c'è un movimento di libertà, qualcosa attraverso
il quale una donna ci fa vedere che c'è bisogno di conoscere e anche di
ammirare la cultura, le tradizioni e le loro grandi invenzioni, ma che, per trovare
la propria voce, non si può stare chiusi dentro una cultura e una tradizione.
Bisogna operare un grande spostamento, uno spostamento che fa sì che lei
veda qualcosa che prima non era stato visto. Questo significa allora "pensare
le cose come sono", pensarle a partire da ciò che io sono e non da
ciò che gli altri dicono che io posso essere o devo essere. Infine, non
mi piaceva, mi muovevo con poco agio, nelle interpretazioni di Virginia Woolf
che in gran parte il Novecento ci ha consegnato: una donna malinconica, depressa,
con una malinconia che, alla luce del suo suicidio, in qualche modo oscurava l'intera
grandezza della sua opera. Opera che io invece avevo letto come quella di un donna
che amava la vita e che per questo voleva scriverne. L'opera di una donna che
era riuscita comunque a trasformare tutto ciò che le capitava nella forza
di una risata, nella forza di uno sberleffo, nella forza di una gioia di vivere
continuamente ritrovata. Il mio incontro con Virginia Woolf è stato questo,
e nel percorso ovviamente ho incontrato Nadia Fusini, cui sono grata per il regalo
che ci ha fatto con le sue traduzioni, e anche con un'interpretazione con cui
non sempre concordo. Ma questo fa parte della lettura che liberamente si vuol
dare di una grandissima scrittrice. NADIA
FUSINI - Incontro qui per la prima volta Liliana Rampello, ma l' ho sentita subito
amica proprio perché condivideva con me la passione, l'ascolto, l'attenzione
e un certo modo dell'attenzione nei confronti appunto di questa scrittrice che
anche io amo molto e a cui riconosco delle qualità che sono qualità
letterarie. La Woolf certamente non l'abbiamo scoperta noi, sta nel Pantheon dei
grandi scrittori del Novecento, però mi pare che anche nel modo in cui
la guarda Liliana ci sia un valore in più, c'è un valore aggiunto
che è lo stesso che io le riconosco. Siccome insegno letteratura inglese
è chiaro che non potevo non incontrare questa scrittrice. Però il
mio modo di ascoltarla non è certamente di tipo universitario o accademico:
lei mi ha imposto un modo più intimo, non tanto valutativo - di una tecnica,
di una capacità, di una abilità. A mio avviso, se si legge con attenzione
Virginia Woolf, è lei ad imporre il modo in cui noi dobbiamo ascoltarla.
Anche per me l'incontro risale a molto tempo fa ed è continuato nel tempo.
Sono stata lettrice fin da ragazzina perché m'erano stati regalati i suoi
libri, poi la lettura mi ha in qualche modo chiesto di risponderle ed io non potevo
che risponderle scrivendo. In un certo senso è lei che mi ha fatto scrittrice,
per rispondere alla sua parola non potevo che ampliare quella risonanza e cercare
attraverso la parola, la parola scritta, di mettermi in sintonia con lei. E' una
scrittura quella della Woolf fortemente evocativa e con dei tratti anche profondamente
simbolici, nel senso che richiede che a simbolo risponda simbolo, cioè
che ci si intoni a lei in una stessa ricerca. Poi forse l'incontro più
intimo, più profondo è stato quello di tradurla. Avevo già
tradotto altri scrittori e altri poeti, ma tradurre la Woolf è stata davvero
un'esperienza di grande intimità. Perché tradurre è entrare
un po' nella testa dell'autore, nel meccanismo creativo della lingua. Non basta
conoscere l'inglese per tradurre la Woolf, occorre entrare in quella lingua che
lei ha creato. E lei l'ha creata a partire da una lingua che esiste ma scavandoci
dentro, facendo accadere in questa lingua qualcosa che non tutti sanno fare accadere.
E poi l'ho insegnata, la insegno e davvero ho capito quanto lei possa farsi tramite
di una scoperta. Per dei giovani ragazzi e giovani ragazze che l'avvicinano quello
che lei scrive, l'esperienza che ci racconta possano diventare modi di pensare
a se stessi, alla vita stessa. La Woolf ha una strana capacità di offrirsi
come medium per una interrogazione anche sul sé e a mio avviso questo è
uno dei motivi profondi per cui è stata una scrittrice così amata
dalle donne. Naturalmente per me restano indimenticabili i seminari su di lei
che facevamo negli anni Settanta nel "Centro culturale V.Woolf " di
Roma: in quel centro di cultura femminista la Woolf è stata per me veramente
un tramite di incontri molto importanti. Ha ragione Liliana di ricordare che c'è
un certo volto canonizzato dalla definizione letteraria della Woolf che ho cercato
di sfatare: traducendo ho cercato di recuperare tutto l'aspetto sperimentale della
sua scrittura, elemento che veniva opacizzato nelle precedenti traduzioni. Non
perché fossero fatte male - non è questo il punto - ma c'era un'idea
della scrittrice donna, cui si attribuiva una carattere sensibile, sognante, che
poi agiva come filtro. Faccio un esempio: se la Woolf in quel meraviglioso romanzo
che è Al faro scrive che la signora Ramsey sta con i suoi "children",
veniva tradotto i suoi "piccini", ma tradurre "figli" è
meglio. Ci sono tanti casi di questo genere dove chiaramente una certa idea della
scrittura di una donna faceva velo su quello che lei stava facendo sulla lingua,
quello che stava inventando. Quindi tradurla per me è stato importante.
Una tappa nel mio rapporto con la Woolf è stato certamente questo ultimo
libro che ho scritto Possiedo la mia anima, che non definirei una biografia romanzata
perché io non invento nulla, è una biografia narrata. Anche qui,
ho fatto la scelta di non scrivere una di quelle biografie che vanno bene per
gli statisti, per gli uomini d'azione, persone la cui vita si è realizzata
in grandi fatti. Per lo più la biografia di uno scrittore, ma in particolare
la biografia della Woolf, non registra grandi azioni, gesta clamorose. Quindi
quella che racconto è più una vita, intanto che si fa continuamente
parola - e anche questo un problema in un certo senso per il biografo - e in più,
appunto, una vita interiore. Giustamente, lo ricordava anche Liliana, i Diari
sono una miniera fantastica per chi voglia avvicinare la Woolf, non sono scritti
in una chiave confessionale o sentimentale: sono la registrazione quotidiana di
tutto quello che le passa per il cervello, per il cuore. Come qualcuno che sia
sempre sveglio e vigile a registrare la vita. Virginia Woolf è una donna
che fa della propria vita, di se stessa, una cavia perché le interessa
analizzare l'atto del vivere. Vivere è un verbo, vita è un sostantivo.
In realtà lei sente molto più l'aspetto del verbo, cioè dell'azione.
LILIANA
RAMPELLO - Hai detto che nel proporre ai tuoi studenti la Woolf trovi una risposta
positiva perché in qualche modo i suoi testi permettono a una persona giovane
di pensare a se stessa: io penso che questo sia vero perché il suo pensare
differentemente da un uomo implica che lei capovolge la gerarchia del verbo stesso
"pensare". Per lei pensare non significa che ci deve essere in prima
battuta un "Io" in senso filosofico forte, il Logos, la ragione. Lei
mette sempre al primo posto le emozioni e quindi mettendo le emozioni al centro
della possibilità di pensare, in un'altra forma, in un altro modo, ci permette
di capire che il sentire, questa cosa così grande che è il sentire,
non è un po' di più o un po' di meno del pensare. E' un altro modo
di pensare, un'altra forma del pensiero. Questo probabilmente nel rapporto vivo
tra una persona giovane e il testo permette l'emergere della questione dell'emozione
e credo sia una questione centrale. NADIA
FUSINI - Assolutamente, e devo dire che a me personalmente piace molto questo
pensiero, a me piace il "pensiero sensibile", forse perché sono
una donna. Sì, penso che questo c'entri. A me che piace anche molto insegnare,
insegnare a leggere, intendo, e leggere la Woolf è comprendere come nei
suoi romanzi passi l'aspetto del pensiero. Io amo i libri, amo la letteratura
non come intrattenimento. Leggere non mi serve a divertirmi, mi serve a svegliarmi.
Devo trovare uno scrittore che sia capace di accendere quel tipo di attenzione,
quel tipo di sguardo sulla realtà e ho potuto verificare che, quando lo
trovo, anche i miei studenti capiscono e seguono. In fondo io penso che tutti,
uomini e donne, bambini e vecchi, ricchi e poveri, vogliamo un'esperienza significativa,
vogliamo tutti che la nostra vita non sia banale, stupida, ripetitiva, oziosa.
E chi ci sollecita in qualche modo a cogliere questo aspetto dell'esperienza,
beh! ci fa davvero piacere incontrarlo. Per me è stato sicuramente l'incontro
con con Woolf è stato di questo tipo. LILIANA
RAMPELLO - Vorrei fare un altro esempio: nella Signora Dalloway la Woolf mette
in scena una donna comune. Si tratta di una signora che dà una festa, come
si può cercare lì la famosa avventura dell' Io?Pensate a come Balzac
chiude meravigliosamente Papà Goriot: Rastignac guarda Parigi e dice "e
ora, a noi due". Per quanto ne so, questo si trova difficilmente in un romanzo
scritto da una donna: non c'è nessun eroismo, nessuna protagonista che
si fa eroe della propria vita. Ci sono piuttosto protagoniste che conoscono l'etica
della vita quotidiana. Il fatto che siano donne, e che siano donne comuni che
fanno cose comuni, consente loro, per via, appunto, di quella centralità
del sentire come forma diversa del pensiero, di farci accedere all'idea che il
miracolo della vita sta nella sua quotidianità, che non è da cercare
altrove. Non è che la Woolf ignori che c'è sempre un altro e un
oltre, ma questo lei lo riporta, lo lega, ne fa carne dei suoi personaggi. Allora,
di nuovo: non è un caso che sia una donna a dirlo, a farlo, e a proporlo
come arte. NADIA
FUSINI - Pensate a uno scrittore sperimentale come Joyce: anche lui fa quest'operazione
di raccontarci la vita assolutamente quotidiana di un personaggio che lui chiama
l'uomo medio sensuale cioè Bloom. E poi c'è Stephen, cioè
l'intellettuale: due personaggi, le due metà dell'uomo "intero".
Si incontrano, passeggiano per Dublino. Cosa deve fare Joyce per costruire il
senso che pensa di dover dare a tutto questo? Ci mette dietro Ulisse, in modo
che l'insignificanza venga per così dire elevata e inserita in un codice
di significati altissimo: allora noi dobbiamo capire a un certo che Stephen è
Telemaco, Bloom è Ulisse: così tutta la struttura acquista significato.
Perché, come disse T.S. Elliot, c'è l'ordine del mito che lo sostiene.
La Woolf ci da una donna comune, una donna che fa una festa, anche qui le unità
di luogo di tempo e di azione sono perfettamente rispettate - e non è che
non ci siano all'interno del testo dei forti richiami mitici, anche se bisogna
veramente cercarli tanto sono nascosti. Se lei non si serve di un richiamo esplicito
al mito è perché in fondo non ha un'idea gerarchica dei significati.
Lei davvero si apre alla vita come se fosse una grande avventura anonima, che
riguarda tutti. Ora, questo è un grande tema letterario, molti scrittori
in qualche modo sentono che il grande compito, il dovere di uno scrittore è
dare vita, è dare parola a chi non ce l'ha. Ecco, Virginia Woolf lo fa,
tenta di farlo veramente: dare parola a chi non ha parola, a chi non ha lasciato
tracce e in particolare a chi non ha lasciato tracce di parola. Nadia
Fusini Possiedo la mia anima Il segreto di Virginia Woolf Mondatori,
2006 347 pagine, 17 euro Liliana Rampello Il canto del mondo reale Virginia
Woolf, la vita nella scrittura Il saggiatore, 2005 224 pagine, 16,50
euro ===========
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