Libreria delle donne di Milano
paradiso
"A volte penso che il paradiso debba essere un continuo infinito leggere"
(Virginia Woolf, luglio 1934)

Circolo della rosa - 1995

La grande signorina
Lia Cigarini presenta Ivy Compton-Burnett

Trascrizione della registrazione in cassetta a cura di Stefano Sarfati Nahmad

Ho deciso di presentare Ivy Compton-Burnett quando Fiorella Cagnoni mi ha chiesto di fare un intrattenimento culturale al Circolo perché è la mia scrittrice preferita. Ho una vera e propria passione per i suoi libri, che continuo a rileggere e però sono smentita dalle clienti della Libreria delle donne che non comprano i suoi libri. Nel 1994 (adesso abbiamo un computer) risultano vendute 18 copie. Tenete conto che ha 6 o 7 titoli in libreria. Mentre Marisa Caramella mi dice che di ogni libro stampato o ristampato della Compton-Burnett in Italia si vendono 10.000 copie, cioè, per un romanzo, moltissimo. Non solo, molte donne del Movimento che in questi anni li hanno letti li trovano faticosi e non interessanti, strani. Non così i critici. Naturalmente quelli inglesi, uno dei maggiori, quando è uscito il primo romanzo Pastors and Masters, Pastori e maestri, (in realtà questo è il secondo romanzo perché prima era apparso Dolores che però poi la Compton-Burnett ha sconfessato) il critico del "News Stateman"scrisse: è il lavoro di un genio. E poi anche i critici italiani, tra i quali Manganelli e Arbasino. Vi leggo l'inizio della presentazione di Arbasino di Più donne che uomini per farvi intendere che qui non si tratta di una scrittrice brava ma qualsiasi, si tratta di una delle più grandi scrittrici del '900 (e quindi l'interrogativo del perché le femministe non lo leggano diventa più pregnante):"Ivy Compton-Burnett, grande fra i più grandi narratori del nostro secolo, è anche, tipicamente, << autore di un solo romanzo >> - però moltiplicato per venti, giacché ha 'riscritto' (praticamente) lo stesso straordinario romanzo, con verve allucinatoria, con smisurata perfidia, per almeno quarant'anni, un anno sì e uno no".
A un certo momento la Compton-Burnett in pratica è stata acclamata come il Massimo Romanziere Britannico del Mezzo Secolo (cioè quindi più di Virginia Woolf, di D. H. Lawrence e di James e via dicendo) "a settant'anni passati, ricorda abbastanza, con un'impressionante coincidenza di affinità esteriori, le contrariate fortune critiche e i paradossali trionfi definitivi di Carlo Emilio Gadda".
"Tradizioni: la genealogia manzoniana-dossiana lombarda per l'Ing. Gadda, e per Miss Ivy un corteo di leggendarie signorine quali Jane Austen e George Eliot ed Emily e Charlotte Brontë…"
"Così, come davanti a Svevo o a Kafka, rivoluzionari in grisaille, la domanda critica più inquietante si identifica con un dubbio fondamentale: in quale misura questa persona d'ordine, e dai modi squisiti, e così attaccata ai 'valori' convenzionali, sa (programmaticamente…) che il suo 'gesto' stilistico fratturerà la Tradizione Narrativa né più né meno che le scoperte di Freud, di Schönberg, di Picasso, di Eisenstein?"
Questa è l'opinione dei critici. Per quello che dice Arbasino, io credo che Ivy Compton-Burnett sapeva benissimo che rompeva la tradizione stilistica e lo dimostreremo poi. Allora: perché non piace alle donne, o per lo meno a quelle del movimento che frequentano le varie Librerie delle donne? Ho chiesto anche in giro, a Roma, eccetera, è venduta pochissimo. Io credo perché una presa di coscienza anche quella femminile che pure è andata in profondità a interrogarsi sull'essere donna e sul linguaggio, chiede sempre contenuti e risposte, mentre Compton-Burnett non dà risposte. Oppure una vita che di per sé sia una testimonianza della presa di coscienza, come ad esempio Virginia Woolf, scrittrice femminista, malata di follia, alla fine si è suicidata, come esemplare delle contraddizioni, della tragedia dell'essere donna in un certo periodo. Io considero Virginia Woolf una grande saggista, soprattutto per quello che riguarda Le tre ghinee, cioè una grande saggista che ha detto a me, come donna in lotta, delle grandi cose, ma considero i suoi romanzi estremamente inferiori a quelli di Ivy Compton-Burnett; eppure Virginia Woolf si vende come panini qualsiasi cosa appaia, mentre la Compton-Burnett no.
Mentre Ivy Compton-Burnett lavora sul linguaggio, non dà risposte, ha sovvertito radicalmente la scrittura del romanzo ed è quindi lei unicamente la singolarità, la straordinaria e rivoluzionaria coerenza del suo stile. Non ha né una vita esemplare come donna 'in sofferenza' diciamo, né ha dato contenuti femministi ai suoi testi.
Io la amo perché, al contrario, fondamentale per me è la scrittura. Il lavoro che il romanziere fa su di essa, più che i contenuti e la trama. Penso che la differenza tra la realtà, che posso vedere anch'io che ho un occhio critico, che potete vedere anche voi che avete un occhio critico, e fiction, è proprio unicamente l'invenzione del linguaggio. Per questo mi piace tanto la Compton-Burnett. Non so se riuscirò a trasmettere la mia passione per lei e la vicinanza che sento, al di la di tutte le differenze, al mio lavoro politico.
Ivy Compton-Burnett nacque nel 1884 il 5 giugno, in Inghilterra, a Pinner, in una grande famiglia di 12 fratelli e sorelle, cinque nati da un primo matrimonio del padre e gli altri sette, di cui Ivy era la primogenita, da un secondo matrimonio con la madre di Ivy, appunto. Il padre, linguista e medico omeopatico, aveva studiato con Freud a Vienna. La madre, molto bella e intelligente, con molto senso dell'umorismo, aveva un atteggiamento distaccato dai figli, anche dai propri. Ivy diceva poi: "la mamma ci vuole bene ma non le piacciamo". Per cui i figli preferivano indubbiamente il padre espansivo sperimentatore, appunto era un medico omeopata, che dava attenzione alla psicologia e soprattutto che lasciava loro grande libertà. Nell'intervista a Key Dick, una delle pochissime interviste della Compton-Burnett, ne ha date due o tre nell'intera sua vita, soprattutto negli ultimi anni (Key Dick era una giovane scrittrice, quando intervistava Compton-Burnett), racconta di avere vissuto all'interno della famiglia in un gruppo separato coi due fratelli più vicini di età, Guy e Noel. Il fratello Guy morirà giovanissimo e sarà un dolore per Ivy. In realtà da madre, ai bambini, faceva la governante Minnie. E in effetti nei libri della Compton-Burnett le governanti, soprattutto quella di Servo e Serva, il libro che presenterò sta sera, svolgono una funzione di allentamento della tensione. Si laurea in lettere classiche al Royal Holloway College con una tesi sulla tragedia greca come Dorothy Sayers, la grande giallista. Visse con un'amica per quattordici anni poi con Margaret Jourdain, un'esperta di mobili del '700, per trentadue anni. Di sé e di Margaret, quando si parlava di sessualità con amiche e amici diceva sempre che loro erano due neutri. Quando nel 1911 morì la madre, Ivy divenne il capofamiglia ed esercitò questa mansione con potere tirannico e ciò fu molto duro soprattutto per le due sorelle più giovani Topsy e Baby. Ad esempio, siccome odiava la musica, avendo quattro sorelle che la praticavano, le costrinse a prendere uno studio fuori casa per suonare. Nei romanzi di Ivy, che hanno come oggetto sempre una casa, o due al massimo, con relative famiglie (al massimo ci sono due romanzi dove c'è una scuola, appunto il primo, Pastori e maestri e poi Più donne che uomini) sono sempre presenti dei tiranni domestici, o il padre, o la madre, o il nonno, o la nonna, come lei stessa lo era stato per il periodo per il quale era stato capo famiglia. Tiranni, il più delle volte simpatici. Più esattamente Ivy diceva che non erano così cattivi come i suoi lettori li vedevano.
Ivy negli anni di università e dopo visse legatissima al fratello superstite Noel e frequentò i suoi amici di Cambridge, un po' come aveva fatto Virginia Woolf. Qui voglio notare che sono bastati pochi anni di differenza e forse soprattutto anche la differenza del padre (mentre il padre di Virginia Woolf era un letterato conservatore, il padre della Compton-Burnett era uno sperimentatore, uno spirito liberale) per cui Ivy Compton-Burnett ha potuto andare all'università e studiare il famoso greco (che era il problema per Virginia Woolf, che non aveva potuto studiare il greco). Quindi una differenza sia di pochi anni, perché le sorelle della Compton-Burnett hanno studiato tutte, le sorelle di Margaret Jourdain, questa donna con cui lei ha convissuto, hanno studiato tutte, una sorella è diventata rettore di un collegio universitario per donne, e una delle sorelle di Ivy è diventata una editrice e una famosa giornalista.
Il 1917, aveva circa trent'anni, fu un anno terribile e traumatico nella vita di Ivy. Le due sorelle Topsy e Primerose che erano legatissime e condividevano la stessa stanza furono trovate morte suicide. Ivy dirà anni dopo: "Topsy e Baby hanno avuto troppa musica nella loro vita, io penso che fosse tutta quella musica, ho sempre pensato così, anche Noel lo pensava".
Fu un anno traumatico perché morì in guerra il fratello amatissimo Noel. Ivy non parlò mai più del fratello se non per dire che la morte di Guy e Noel aveva quasi maciullato la sua vita (infatti su questo è stato costruito dai critici, dai biografi e anche da alcune scrittrici la tesi che Ivy Compton-Burnett avesse un rapporto incestuoso col fratello Noel e in effetti gli incesti sono molto presenti nei suoi romanzi) tanto che, per alcuni anni dopo la morte del fratello, Ivy si rifiutò di fare qualsiasi cosa se non stare stesa sul sofà a mangiare cioccolatini e a leggere. Ivy disse poi: "io non potevo fare alcun lavoro intellettuale ma poi il mio cervello rinvenì (came back)". Cruciale per far ritornare indietro il suo cervello fu l'incontro con gli scritti di Samuel Butler, soprattutto i suoi Note-books, i diari. Per inciso devo dire che prima di conoscere i libri della Compton-Burnett io ho letto di questo scrittore il romanzo Così muore la carne pubblicato negli anni '50 da Einaudi. Avrò avuto vent'anni e il libro mi è piaciuto moltissimo, cioè anch'io ho sentito una risonanza con questo autore, per l'analisi spietata che fa della famiglia. "L'ideale - dice il protagonista di Così muore la carne,all'inizio del romanzo - sarebbe nascere in un orfanotrofio avvolto in sterline". Dei diari, che purtroppo non sono pubblicati in italiano, quindi io non li ho potuti leggere, uscirono postumi (Butler era morto nel 1901) in Inghilterra nel 1912, Ivy conobbe la seconda edizione del 1918.
Per Ivy l'impulso a muoversi, a muovere il suo cervello e proprio fisicamente dal sofà, sembra sia venuto da Butler, il quale nel momento in cui lei ne aveva bisogno, le fornì i testi a partire dai quali avrebbe lavorato tutta la vita. Ivy sottolineò con più tratti, i passaggi dei diari relativi alla famiglia, alla religione, alla morale, al sesso e al denaro. Per farsi un'idea di cosa pensava Butler (che aveva avuto scambi durissimi con il proprio padre, un ipocrita e ricco reverendo della chiesa di'Inghilterra) della famiglia, frase segnata con sei righe laterali di Ivy, vi traduco una proposizione: "io credo che da questa fonte viene più infelicità che da ogni altra, io intendo dal tentativo di prolungare i legami famigliari e tenere la gente insieme artificialmente cosa che mai accadrebbe normalmente. Il danno nelle classi inferiori non è così grande ma nella media e alta borghesia è tale da uccidere un largo numero di persone" (usa proprio to kill, uccidere). Ivy Compton-Burnett nei suoi romanzi parlerà di questi legami che inchiodano adulti, bambini, servi in spazi artificiali e ristretti.
Butler si era scelto il ruolo di profeta che sparge allarme tra tutti quelli che credono nella religione, nella vita di famiglia, nelle prospettive di progresso, nell'innocenza, carità, diligenza ed altruismo, o in altre illusioni di questo tipo. Così facendo, Samuel Butler, romanziere, filosofo, pittore, musicista, teologo, libero pensatore, spregiatore di etichette si è messo al bando dei circoli di potere di volta in volta profanati dai suoi approcci demolitori, dalle sue tesi spesso bislacche, sempre irritanti. È stato messo al bando dai circoli ecclesiastici per la spregiudicatezza di certi suoi scritti. Al bando dai circoli scientifici per i suoi interventi non richiesti nei dibattiti sull'evoluzionismo (si è messo contro Darwin), al bando dai circoli artistici per i suoi attacchi alle accademie, al bando infine dai circoli letterari dopo la pubblicazione delle sue ricerche e scoperte su Omero e Shakespeare. Forse non a torto: aveva pubblicato i sonetti di Shakespeare riordinati secondo una sua del tutto originale ipotesi di cronologia e quanto a Omero, dopo averne tradotto l'Iliade e l'Odissea in Inglese quotidiano, aveva scoperto, senza alcuna possibilità di dubbio che si trattava di una donna siciliana di Trapani, Nausica la figlia di Alcino re dei Feaci. Quindi Butler si è messo contro nella sua vita tutti i circoli di qualsiasi tipo.
Butler naturalmente agisce con la tecnica del rovesciamento: la virtù diventa il peggiore dei vizi. La intelligenza e la diligenza diventano come l'ottusità e la stupidità. Ivy Compton-Burnett, invece, che pensava le stesse cose e quindi non era affatto una donna d'ordine e convenzionale come riteneva Arbasino che era fuorviato dagli abiti vittoriani e dal tè delle quattro che per Ivy era un rito, Ivy invece fa luce sulla realtà, per lei essenzialmente sulla tragedia della natura umana e delle sue illusioni senza che questa sia nominata in modo esplicito dalla sua scrittura ma, appunto, attraverso la lingua, attraverso lo scambio verbale tra due persone, mettendo in luce quello che non quadra, stride, tra le molte parole che le persone, i suoi personaggi, si scambiano. Ecco, mentre Butler era andato tutto sommato sul semplice nei suoi romanzi, rovesciando la virtù in vizio e viceversa, Ivy Compton-Burnett fa solo un lavoro linguistico vedendo che cosa stride, che cosa non quadra nella realtà verosimile che si presenta agli occhi dei più. Ci dice Ivy Compton-Burnett che è li che la realtà si significa, in quello che stride, in quello che non quadra. E questo sentito con l'orecchio, con le parole che lei dice e con le parole che scrive. Nei suoi testi c'è questo, il farsi segno di quello che è al di sotto e al di sopra di quello che le persone credono di starsi dicendo. Da vecchia, Ivy dirà: "io ho visto e sentito, io so come le cose sono fatte" (cioè seen e heard, l'occhio e l'orecchio, che poi l'orecchio è anche lo strumento dello psicanalista).
Andando all'osso dei rapporti famigliari umani che secondo Ivy sono sempre gli stessi, arriva all'osso dei rapporti sociali. E questo è appassionante molto di più di un saggio psicoanalitico o filosofico o linguistico o della storia di un caso clinico della psicanalisi, perché i suoi libri sono spiritosissimi, una serie di battute, una dietro l'altra come in un film di Buster Keaton, esattamente come quelli di Jane Austen, che era la sua scrittrice preferita insieme a Shakespeare. Ivy Compton-Burnett diceva che dopo aver letto e riletto Jane Austen per settant'anni conosceva i suoi romanzi così bene che non aveva bisogno di leggerli, bastava pensare ad essi. Diceva anche una cosa molto carina, che in un certo periodo pensava di diventare pazza perché non avrebbe potuto finire I Watson, il romanzo incompiuto di Jane Austen, voleva finirlo ma … non era legittimata a farlo. In entrambe, Jane Austen e Ivy Compton-Burnett sono presenti rapporti di potere, analizzati nel loro svilupparsi, in un gioco sociale, soprattutto famigliare perché la famiglia è il luogo dove si dice l'essenziale sul potere, la debolezza, l'odio, la complicità, l'amore per il denaro con la pretesa di non dirlo, dove il dettaglio della vita quotidiana si accompagna a fatti drammatici ed eccezionali, o meglio: è un fatto drammatico e eccezionale. Tuttavia la visione umoristica in entrambe le scrittrici si infiltra ovunque con risultati esilaranti.
Luisa Muraro, (che quest'anno ha fatto un seminario alla scuola di filosofia intitolato "Lingua e verità" e ha dato ai suoi studenti da leggere i testi di Emily Dickinson, di Ivy Compton-Burnett e di Teresa di Lisieux) in un suo appunto dice che la Compton-Burnett ci dimostra che non è necessario che le cose si realizzino, le cose sono nel momento che vengono significate, che vengono dette con senso; la realizzazione effettiva delle cose se mai la possiamo trovare nella tragedia greca. In effetti qualcosa della struttura della tragedia greca, i romanzi di Ivy Compton-Burnett l'hanno (tenete conto che lei si era laureata in greco, proprio sulla tragedia greca): l'unità di tempo, azione, perché il nucleo che prende in esame è il nucleo famigliare con pochissime ramificazioni all'esterno e l'unità di spazio (si svolgono sempre all'interno di una casa). Tuttavia Ivy Compton-Burnett stravolge completamente la tragedia greca. Nella sua introduzione, un altro grande critico e scrittore italiano, Manganelli, dice dell'operazione che la Compton-Burnett fa sulla tragedia greca. La tragedia greca è stata evocata non solo per unità di azione e di luogo, ma anche perché i suoi romanzi sono pieni di incesti, quindi rimandano al mito di Edipo.
"Si è detto spesso della Compton-Burnett che le sue storie hanno una parentela con la tragedia greca: che è in parte vero, tenendo presente che si tratta di 'travestimenti'".
Nella Compton-Burnett "il travestimento sta nella fulminea miniaturizzazione del mito a dimensioni di un salotto edwardiano, con Giocasta che giocherella col cucchiaino, e tutti sanno e nessuno parla se non del tempo e della servitù. Allo stesso modo, il feroce mondo elisabettiano sta alle spalle della scrittrice come un'ombra illusionistica, una deformazione grazie ai giochi di luce, giacché c'è omicidio e omicidio, per tacere dell'incesto, e un delirante come Webster (che era un elisabettiano) o un barocco come Shakespeare, verrebbero raggelati nel mezzo dei loro monologhi o dialoghi catastrofici da una di quelle battute, così sapienti nella bocca dei personaggi della Compton-Burnett: l'equivalente di un 'veramente' (isn't it)".
Ebbene io penso che il lavoro politico, che insieme ad altre ho fatto in questi anni, incentrato sul simbolico, vale a dire sul cambiamento dell'ordine simbolico maschile senza trascurare l'analisi del profondo, dell'inconscio e la lotta che alcune di noi hanno fatto contro il femminismo della rivendicazione e dei diritti, cioè contro il femminismo realistico che partiva dalla condizione materiale delle donne, mi abbia collocato nel punto dove si era collocata Ivy Compton-Burnett, dove cioè si fa segno quello che è, l'essere donna. Naturalmente la collocazione è quella, le pratiche e le parole sono state trovate ma le vie si divaricano perché per quello che mi riguarda non c'è invenzione linguistica, fiction, come dicevo all'inizio, ma un altro impegno. C'è tuttavia, e questo lo voglio sottolineare, uno straordinario godimento nella lettura dei suoi libri proprio per questa collocazione. È difficile dire come ha giocato la differenza sessuale nella vita di Ivy Compton-Burnett: nei suoi libri sicuramente sì, e lo vedremo poi.
Nella vita. Da quello che si può ricavare dalle sue biografie (quella di Elizabeth Sprigge e quella di Hilary Spurling, la prima era una sua amica, mentre la seconda era una giovane studiosa che ne ha ricostruito la vita c'è un fatto: Ivy ha convissuto con due donne, soprattutto, per trentadue anni, con Margaret Jourdain anche se definiva la convivenza tra lei e Margaret come quella tra due neutri. D'altra parte si allude a un rapporto così stretto e amoroso con il fratello Noel da far pensare a un rapporto amoroso vero e proprio. Io sto facendo vedere le contraddizioni: nei suoi libri l'incesto è onnipresente anche se accade all'esterno della conversazione tra i partecipanti. Di fatto Ivy Compton-Burnett si riconosceva in una genealogia femminile: Jane Austen come Shakespeare, Gorge Eliot hanno influenzato molto il suo primo romanzo. Poi c'è l'influenza che ho sottolineato di Samuel Butler, cioè di un uomo, il quale però era un omosessuale, così come gli amici più cari di Ivy Compton-Burnett, e odiava i padri. Samuel Butler diceva che amava Jane Austen (anche lui, era la sua scrittrice preferita) perché la Austen si aspettava il peggio dai padri, così ha scritto in una lettera alla sorella. Ivy Compton-Burnett amava molto i fratelli, Guy e Noel, e sembra di capire non molto le sorelle e le sorellastre, così come gli amici intelligenti e intellettuali che il fratello Noel frequentava a Cambridge. Tuttavia ha avuto forti amicizie con scrittrici sue contemporanee e più giovani: Rose Macaulay, Rosamond Lehmann , Kay Dix e Vita Sackville West e tante altre. Anche riguardo a Virginia Woolf, che Compton-Burnett non riteneva una grande scrittrice, tuttavia ha dimostrato lealtà,quando il grande critico Angus Wilson ha fatto un attacco al libro Gli anni di Virginia Woolf,paragonandolo a un libro della Compton-Burnett e dicendo che la Compton-Burnett era molto più brava, Ivy ha detto: è stato un gesto disgustoso. Cioè è stata leale, nonostante non apprezzasse molto Virginia Woolf.
Sarebbe inutile andare avanti per questa strada perché gli aspetti sono contraddittori: molte femministe amano appunto trovare una vita esemplare secondo il loro schema ideologico mentre la Compton-Burnett è contraddittoria, da una parte ama Jane Austen dall'altra Samuel Butler e via dicendo. Quello che si può dire è che è stata una donna libera e autonoma sia dai circoli letterari, dalla famiglia e dalla religione: era una militante atea e nei suoi libri viene sempre fuori questa questione della miscredenza esattamente, se non di più, di Samuel Butler, che è apparso come un profanatore e come un iconoclasta. Lei ha fatto la stessa opera contro il potere distruttivo dei tiranni domestici così come Samuel Butler. L'unica cosa che si può dire, oltre a questa straordinaria forza che comunica di autonomia e libertà, è che Compton-Burnett (che ha studiato la tragedia greca e amava moltissimo Shakespeare, sebbene come abbiamo sentito da Manganelli abbia stravolto sia la tragedia greca che Shakespeare) ha mantenuto invece sempre il tono, la cifra di Jane Austen, l'ironia e il dialogo spiritoso. Lo stravolgimento nei confronti di Jane Austen non c'è stato.
Certo in Ivy Compton-Burnett, a differenza di Jane Austen, gli antichi splendori, gli agi, i balli, i matrimoni convenienti si sono storicamente perduti. I suoi privilegiati, quelli che vivono senza lavorare, devono economizzare, le grandi case con terreni e fattorie annesse sono diventate decrepite e praticamente cadenti, quasi in rovina. Economica, tesa al risparmio, è anche la rappresentazione letteraria, essendo l'ornamento dei buoni sentimenti e le buone maniere un lusso il cui costo non si può ignorare.
Molti critici, tra cui appunto Arbasino, sono stati tratti in inganno dall'apparente vita convenzionale di Ivy Compton-Burnett perché non sapevano in realtà nulla della sua vita, di cosa pensasse, ci sono addirittura degli errori, hanno sbagliato la data di nascita, dicono che è vissuta settantanove anni, invece è vissuta ottantacinque, essendo nata nel 1884 e morta nell'agosto del 1969. Perché pur essendo a suo modo una donna socievole, Compton-Burnett ha dato pochissime interviste (due o tre alla fine della sua vita), parlando pochissimo di sé e dando giudizi letterari sempre un po' criptici. Tuttavia la Compton-Burnett, a differenza di Patricia Highsmith, non era una selvatica solitaria: viveva abbiamo detto con Margaret Jourdain (e aveva vissuto prima con un'altra amica) che era una donna molto espansiva e anche per ragioni di lavoro frequentava molta gente. Aveva una cerchia abbastanza ampia di amiche e amici che riceveva a quelli che lei chiamava dei tea party. È vero che, soprattutto negli anni prima della morte di Margaret, parlava pochissimo tanto che gli amici rimasero stupefatti quando uscì il primo libro salutato dalla critica come il lavoro di un genio, non pensavano affatto di aver frequentato una scrittrice, appunto salutata come un genio; se pensavano a una donna, nella coppia, che scriveva libri era Margaret, che scriveva appunto questi suoi testi sui mobili del '700.
Quando Margaret morì nel 1951, Ivy fece addirittura un tentativo di dividere l'appartamento (perché non sopportava di vivere sola e infatti dice che la cosa che non poteva perdonare alla sua amica Margaret era di essere morta prima di lei, di averla lasciata sola) con una studente, aveva scritto a un college di ragazze, poi lasciò perdere e puntò invece sulle amiche e gli amici. Quindi solo adesso, dopo la biografia della Sparling che ha parlato con gli amici superstiti, sappiamo abbastanza per dire che Ivy Compton-Burnett sapeva della grande rivoluzione stilistica che stava attuando, sappiamo delle sue idee sovversive sulle fondamentali istituzioni della società. Tra l'altro, quella conversazione che ha colpito molto di questi scrittori che sono andati a trovarla , non solo Arbasino ma anche Mary McCarthy: loro uscivano e sembrava che la Compton-Burnett li avesse trattenuti sulle piccole minuzie della vita, sul pettegolezzo, che lei amava moltissimo, in effetti. In realtà era un modo di parlare dei comportamenti della gente, di cui era avida di sapere soprattutto come si comportavano rispetto a due cose: il sesso e il denaro. Infatti questi qui venivano interrogati soprattutto sul costo delle cose, sulle rendite, le tasse e poi sul pettegolezzo, sulle perversioni sessuali e quindi credevano che fosse una signorina intenta al pettegolezzo inglese, mentre in realtà Ivy Compton-Burnett ne traeva materia per la sua produzione letteraria. Affermò infatti una volta che gli incesti dei suoi romanzi e il modo di vivere in generale dei suoi personaggi era più diffuso di quanto si credesse.

Adesso vorrei vedere alcuni punti di due romanzi di Ivy Compton-Burnett: Servo e serva, uscito nel 1947 e Madre e figlio nel '64. Sono forse i più belli ma io ne vorrei parlare perché mettono in scena appunto due tiranni domestici, un padre, Orace, in Servo e serva e una madre in Madre e figlio,quindi indirettamente a qualcosa che allude alla differenza sessuale. Premetto che non si possono raccontare le trame dei romanzi di Ivy Compton-Burnett perché sono delle scene relativamente separate le une dalle altre e la trama è un pretesto per la struttura linguistica che lei mette in atto. E si capisce per quanto detto prima, la realtà che si significa, sentita là dove qualcosa stride nel dialogo.
I suoi romanzi poi bisogna leggerli parola per parola appunto per il lavoro che lei fa sulla lingua.
Comunque sia, essendo in questi romanzi presenti sia un tiranno padre che una tiranna madre, già vi ha detto Marisa Caramella che la posizione della Compton-Burnett rispetto ai tiranni non era affatto di dire sono cattivi, cioè il bene e il male nella Compton-Burnett non ci sono. Lei dice i rapporti e la natura umana sono così. Sbaglia anche chi, pensando alla sua frase "i rapporti umani sono sempre gli stessi" crede che la Compton-Burnett abbia avuto una posizione di conservazione. Il conservatore dice i rapporti umani sono questi ed è bene che siano così. Lei questo non lo dice, il bene e il male, sempre tenendo conto anche del maestro Samuel Butler, non entrano, moralità e immoralità, vizio e virtù non entrano nella sua concezione.
In Servo e Serva, Horace Lamb è un tiranno avarissimo che, pur vivendo dei soldi della moglie Charlotte, risparmia su tutto. Fa patire il freddo (molte scene si svolgono davanti al caminetto, al fuoco acceso o spento) ai figli e a tutta la famiglia e anche la fame ai suoi figli che, pur appartenendo a una grande e importante famiglia, vanno in paese con vestiti vecchissimi e laceri. La moglie Charlotte pensa di lasciarlo per Mortimer, il cugino di Horace da lui mantenuto perché non possiede nulla e non lavora. Mortimer, questo cugino di Horace, il tiranno, è un personaggio che possiede una libertà interiore maggiore degli altri personaggi. Ho letto i resoconti che mi ha dato Luisa Muraro di questo suo seminario (dal quale sono stata colpita perché Servo e Serva è piaciuto moltissimo a questi studenti che lo hanno letto). Queste allieve e allievi della Scuola di filosofia di Luisa Muraro a Verona, dicono che attraverso il personaggio di Mortimer (io questo non l'avevo notato) Ivy Compton-Burnett ci dice la verità sull'infanzia, dandoci così la possibilità di riappropriarci dell'esperienza infantile e di farne un sapere spendibile nell'età adulta. Cioè Mortimer (come lui stesso afferma in una frase del libro) è uno che ha solo ricevuto, non ha mai dato ma proprio per questo è il personaggio più libero, perché i bambini in effetti ricevono non danno, e quindi c'è questa invenzione della libertà e dello spirito dell'infanzia in fondo indomabile. Se nei suoi venti romanzi possiamo vedere dei punti in cui da questa stringata struttura linguistica c'è un momento di sollievo, è in due bambini, uno dei quali Avery, di tre anni, di Servo e Serva, e, come ho detto, in alcune governanti, per il resto (e forse per questo non piace molto alle donne) non c'è un respiro di sollievo, non c'è un qualcosa che alluda alla psicologia dei personaggi. Tra l'altro, mi sono dimenticata di dirlo, un'interpretazione mia del perché Ivy Compton-Burnett piace così poco alle femministe (perché dei diecimila libri venduti in altre librerie ci potrebbero essere delle donne, comunque noi sappiamo alla Libreria delle donne le diciotto copie; comunque potrebbe essere le donne) perché Ivy Compton-Burnett è una donna spietata e le donne secondo me amano troppo scambiarsi indulgenze, soprattutto le femministe, mentre io credo che lo scambio di indulgenze sia una cosa che blocca l'intelligenza e la creatività.
In questo libro, oltre a questo cugino Mortimer, c'è un episodio fondamentale: i due figli maschi del tiranno Horace tentano di uccidere il padre. Vale a dire, c'era un ponte in cui si erano rotte delle assi, degli operai vengono ad avvisare la famiglia di non attraversare il ponte, incontrano i due figli maschi e gli danno la notizia. Subito dopo esce il padre e dice: vado a fare una passeggiata, e i due figli maschi non gli dicono che le assi del ponte sono rotte. Tentano di uccidere il padre come vorrebbe anche il servo giovane della famiglia. E' intitolato Servo e serva, vale a dire: ci sono due generazioni di servi, il maggiordomo Bullivant che è uno dei protagonisti principali del romanzo e la cuoca e poi ci sono due giovani servi George e Miriam. Anche George non voleva accettare la sua condizione di servitù…quella condizione in cui la vita l'aveva situato - George era vissuto nell'orfanotrofio e…ecco anche George a un certo momento, suggestionato dal fatto dei due ragazzi maschi, decide anche lui che forse… prima pensa di suicidarsi perché è stato rimproverato, poi in sostanza tenta anche lui di uccidere Horace, il tiranno. L'autrice però lascia nell'ambiguità se è avvenuto veramente un parricidio (Horace si salva poi) oppure è il delirio paranoico di Horace, del tiranno, lascia nell'ambiguità. E come fa? Lei costruisce la tipica scena del parricidio, perché i due ragazzi praticamente si dicono: glielo diciamo o non glielo diciamo a questo padre, e lei intreccia indizi e colpi di scena da giallista su questo parricidio. Nello stesso tempo, sospendendo qualche gesto, dice un'altra cosa, che i figli, anche il servo George, non avevano nessuna intenzione di uccidere il padre e padrone, che tutto il processo è stato loro attribuito da Horace, dalla sua paranoia in sostanza, dalla sua nevrosi. Ivy Compton-Burnett sembra dire che solo al prezzo di queste due dichiarazioni: voglio uccidere mio padre, amo mio padre, è garantita l'appartenenza alla famiglia patriarcale e quindi lascia nell'ambiguità se i figli volevano uccidere o amavano il padre. Dall'inizio del libro, la Compton-Burnett di Servo e serva, pone una chiave del romanzo, quella psicanalitica e infatti il romanzo (romanzo, poi, nella Compton-Burnett, è un po' difficile chiamarlo, comunque…) inizia così:
- Quel camino sta fumando? - disse Horace
- Pare di sì, caro ragazzo
- Non sto chiedendo cosa pare che faccia. Ho chiesto se sta fumando
- Le apparenze non vengono mai considerate una chiave della verità, - disse suo cugino. - Ma temo che non ne abbiamo un'altra.
Ecco qui posta immediatamente una lettura in chiave psicanalitica dei fatti. Compton-Burnett ci dice cioè che le apparenze, gli indizi che abbiamo per leggere la verità, non vanno decifrate con la chiave della verosimiglianza, non è necessario sovrapporle e farle coincidere con l'ordine delle cose verosimili perché bastano da sole a mostrarci il vero. La verità emerge dal gioco tra ciò che è detto e ciò che non è detto ma si fa sentire. Il libro Servo e serva è un tentativo esplicito questa volta (abbiamo detto che probabilmente la Compton-Burnett conosceva Freud perché il padre aveva studiato con Freud a Vienna, sicuramente non conosceva però Lacan eppure questa frase è lacaniana). Poi in questo libro ci sono tantissime altre cose, i discorsi tra il maggiordomo e la cuoca, c'è un vero e proprio giallo perché c'è una donna che tiene un negozio che è analfabeta e fa di tutto per nasconderlo, anzi è lei che smista le lettere, con strani trucchi per poter capire i nomi delle persone e gli indirizzi,. C'è tutta una trama che invece che psicanalitica allora potrebbe essere giallistica su come si viene a scoprire che questa signorina Buchanan è analfabeta. E infatti poi ho dovuto dare un taglio se no avrei dovuto parlare troppo, dietro la tragedia greca, dice sempre Manganelli, si sente ansimare il romanzo nero. Cioè, come se la Compton-Burnett avesse preso tutto il ciarpame della cultura popolare inglese del giallo e l'avesse linguisticamente usato nei suoi libri.
In Madre e figlio abbiamo una tiranna domestica, Miranda, nel testo è posta subito, senza giudizio morale, la regola della relazione privilegiata tra madre e figlio, cioè Miranda ha una preferenza assoluta anche rispetto al marito e a qualsiasi altra persona per il figlio maschio Rosebery. Si intravede un amore quasi incestuoso. Vi dico appunto come inizia Madre e figlio.
- È arrivata quella persona, signora
- Quale persona?
- Quella che doveva venire, signora.
- Venire da chi?
- Da lei, credevo. Era l'idea più naturale.
- E chi sarebbe secondo lei la persona che sto aspettando?
- Se ho capito bene va presa in esame, signora.
- È una risposta alla mia domanda?
- Quella signora è qui, signora. Ha trovato la strada, - disse la cameriera in tono diverso.
- Trovato la strada? Come sarebbe a dire?
- Sul viale che viene dalla stazione, signora, all'ombra di tutti quegli alberi. C'è già un buio tremendo.
- La faccia passare, - disse Miranda Hume, senza sollevare né lo sguardo né le mani dal giornale che teneva in grembo. - Voi mettetevi nel vostro angolo, bambini, e fate finta di essere occupati. Tu, figliolo, puoi rimanere dove sei.

Questo è il figlio prediletto Rosebery. In altri romanzi avremmo avuto la storia di un figlio schiacciato dalla madre, cioè da questo rapporto privilegiato amoroso, quasi incestuoso, quella relazione gli sarebbe stata fatale e avremmo la storia di una nevrosi. Negli ironici romanzi di Ivy Compton-Burnett le situazioni non si chiariscono solo essenzialmente in termini psicanalitici, spesso vi si allude, ma con particolari che introducono un sospetto. Cioè io vi ho detto che una chiave di lettura dall'inizio di Servo e serva può essere la psicanalisi, tuttavia Compton-Burnett emette un sospetto anche sulla psicanalisi.
Dunque qui Miranda Hume, siccome si sente anziana e stanca, aspetta una governante che è quella appunto introdotta dalla cameriera. Questa governante non piacerà a Miranda e quindi finirà a vivere con due signorine che vivevano in una casa vicina a quella degli Hume. Poi una di queste due signorine, siccome non ha soldi e vive in sostanza dei soldi della sua amica, deciderà di fare la governante di Miranda Hume. Vi leggo questo pezzo che credo assolutamente magistrale, nel quale la Compton-Burnett fa capire che sa tutto della psicanalisi e che comunque questa non è definitiva.
Plauto, che è un gatto, e le due signorine atee…(perché queste poi verranno definite così, e in questo senso si può trovare un segno autobiografico della relazione tra la Compton-Burnett e Margaret Jourdain perché le due erano atee, e le due signorine lo sono). Una di queste aveva la mania del gatto, Plauto.

- Sì, Plauto fa tutto quello che ci si aspetta da lui, - disse Hester, - e alcune altre cose che non si può impedirgli di fare.
- Sì, Plauto, vieni qui e dimmi se penserai a me quando non ci sarò più.
(dice la signorina appassionata del gatto).
Plauto si avvicinò al fuoco senza dar segno di pensare a lei nemmeno adesso che c'era.
- Chiudiamo la porta? disse Emma. - Pare che abbia deciso di fermarsi.
- Ah, ecco perché la tenete aperta, - disse la signorina Burke.
(La signorina Burke era la governante che si era presentata da Miranda e poi finisce con loro).
- Be', non è che ci piacciano le correnti d'aria, - disse Hester
- Si direbbe che teniate casa per il gatto.
- Per Plauto? Be', è casa sua. Noi siamo qui per fargli compagnia.
- Allora ha fatto pratica. Può dire alla signora Hume che è un'esperta
- Ma lei può anche non sapere che un gatto è umano
- Ah, questo è possibile, - disse la signorina Burke.
- Con noi l'ironia è sprecata, cara, - disse Emma
- Tutto quello che abbiamo è di Plauto, - disse Hester. - La signorina Burke imparerà anche lei a sentire così.
- Quello che ho io non gli servirebbe molto, se vuole cose tanto in grande
- Oh, Plauto deve avere una sistemazione sicura. È un suo diritto
- In realtà, il vostro affetto per lui è una manifestazione dell'istinto materno, - arrivò a dire la signorina Burke.
- Naturalmente siamo frustrate, cara, - disse Emma, - siamo il prodotto dell'eccesso di civiltà, quantunque io non creda all'esistenza di una cosa simile, se no ce ne sarebbero altri segni. Ma soltanto le persone frustrate possono vivere per se stesse. Le persone soddisfatte sembrano vivere per gli altri e noi non ne siamo capaci.
- Credevo che viveste per Plauto
- Si cara, sappiamo quello che lei credeva .
- Non intendevo dire proprio niente di speciale.
- No, no, cara, era il libro a dirlo. Quei libri sostengono sempre che una cosa è qualcosa altro, e spiegano che cosa. E naturalmente è vero, e noi lo sappiamo; ma è meglio non dire quello che si sa. Potrebbe esserci una ragione che lo si sappia. Proprio come c'è una ragione che lo si dica.

Ecco, in questo senso, dicevo, introducono un sospetto anche nella psicanalisi.
Per concludere sul punto della differenza sessuale: è difficile da estrapolare nei testi di Compton-Burnett, perché lei dice con una virgola, con un aggettivo, un silenzio le differenze di sesso, di potere, di età, di collocazione sociale e quindi per vedere come gioca la differenza sessuale bisogna leggerla parola per parola. E infatti lei lo diceva, "mi rendo conto che i miei libri devono essere letti parola per parola".
Tuttavia in questi due tiranni domestici, un uomo (un padre) e una donna (una madre), mi sembra che nel caso di Horace, la tirannia unita al fatto che è un padre ne fa un mostro, mentre nel caso di Miranda, che è una madre, senz'altro intrusiva nella vita dei figli, del marito e degli altri (tutto il testo fa vedere come questa tirannia domestica di Miranda sia forte), lei non è un mostro perché è sempre presente la soddisfazione che ricava da questo esercizio del suo dominio, che ne ricava per se stessa, senza il tormento dei sensi di colpa proiettati sugli altri, che li spinge a progettare delitti, il parricidio nel caso di Servo e serva e del tiranno padre, Horace. Compton-Burnett infatti diceva che lei non aveva mai provato sensi di colpa.