|
Circolo
della rosa - 2005
IRIS
MURDOCH: L'INCONTRO
a
cura di Serena Fuart
"In un tempo in cui le parole girano intorno e
si riferiscono a cose già definite e quindi perdono la sostanza
naturale quasi sparendo, incontro questa filosofa, scrittrice, impegnata
in una lotta contro l'irrealtà, perché il nostro parlare
sia un parlare di qualcosa di reale. Questa sua lotta prende la forma
di un'anti anti metafisica" E' uno dei pensieri espressi da Luisa
Muraro nel corso dell'incontro su Iris Murdoch introdotto da Liliana Rampello,
tenutosi alla Libreria delle donne, il 7 maggio. Iris Murdoch, romanziera
e filosofa, due mondi, due scritture. Scritture, secondo Luisa Muraro,
concomitanti e pur tuttavia indipendenti.
Di fatto
un incontro, quello avvenuto tra Luisa Muraro e Iris Murdoch. A parlarne
è Liliana Rampello. Si tratta di uno scambio più che di
un incontro, sostiene, uno scambio che ha modificato il pensiero di Luisa
Muraro e non solo il suo.
Nel corso del suo intervento Liliana ci parla più precisamente
di un doppio incontro. Doppio perché "mi era capitato cinque
o sei anni fa a Londra di vedere un volume di Iris Murdoch intitolato
Esistenzialisti e mistici con tutti gli scritti filosofici di lei,
un testo complesso che mi interessava. Ho preparato la scheda per l'editore
(Il Saggiatore) e nel farla mi sono resa conto che stava toccando molte
problematiche che di sicuro incrociavano il pensiero di Luisa Muraro,
che aveva già scritto molto sulla mistica. C'era tutta una parte
di questo testo che sicuramente, se presa in mano da Luisa, avrebbe permesso
all'editore di far arrivare questo testo in Italia, cosa di cui ho avuto
conferma poi vedendo il suo lavoro"
Iris Murdoch era conosciuta in Italia nel periodo che va dagli anni '60
fino agli anni '70 grazie ad alcuni suoi romanzi, Il sogno di Bruno,
Il rosso e il verde, (pubblicati da Feltrinelli) e un piccolo racconto
La ragazza italiana (Einaudi). Poi era scomparsa dalle librerie italiane.
Il suo lavoro filosofico, poi, era quasi del tutto sconosciuto in Italia.
"Si trattava di capire - continua Liliana - come portare un volume
di questo genere quasi all'improvviso in Italia. Luisa Muraro sa di mistica
e c'è un grosso lavoro della Murdoch sulla mistica, quindi si trattava
di tradurre il testo da una parte e farlo poi introdurre da Luisa Muraro
con uno scritto che sostituisse quello dell'introduzione inglese. Anche
l'edizione inglese aveva avuto bisogno di una serie di scivoli. Questo
mi è stato d'aiuto per far capire all'editore che c'era già
un pubblico in Italia, il pubblico di Luisa Muraro sulla mistica e su
Margherita Porete, come Le amiche di dio, Lingua materna scienza
divina. D'altro canto c'era la possibilità di far incontrare
due filosofe perché, di fatto, questo è quello che è
avvenuto. Nel lavorare su questo testo, nel leggere i romanzi che man
mano la Rizzoli stava ripubblicando (ce ne sono tre), quello che è
avvenuto, secondo me, è che i due pensieri si sono incontrati.
Quando dico incontrare intendo dire che non si è trattato di metterli
semplicemente a fianco. Anche a partire dal testo di Luisa nel testo collettivo
Concepire l'infinito (La Tartaurga) in cui è presente il
saggio Una scrittura infinita. Un'introduzione a Iris Murdoch e
dal suo lavoro introduttivo ai saggi filosofici in via di pubblicazione
nel prossimo gennaio, mi è parso di capire che questo incontro
sia di fatto avvenuto come scambio. Luisa Muraro ha rilanciato già
da questo saggio, con grande originalità, un pensiero filosofico
che era conosciuto, ma non troppo in Inghilterra, considerato e messo
in parte ai margini da una discussione filosofica tradizionale. L'operazione
di Luisa è stata quella di restituirla alla sua radicalità,
cosa molto importante filosoficamente parlando. Una radicalità
che poi ha avuto una ripercussione sullo stesso pensiero di Luisa Muraro.
Sento un'eco nel suo pensiero più recente, nel movimento abbastanza
continuativo con cui torna ad alcuni testi della Murdoch sia narrativi
sia filosofici"
Non solo un incontro quindi ma uno scambio, "non si è trattato
di mettere quel tipo di filosofia a oggetto di analisi del pensiero, né
in qualche modo Luisa ha accompagnato il pensiero della Murdoch introducendolo
e spiegandolo".
Le due scritture
"
la felice carriera di una pensatrice la cui opera si distribuisce
nettamente su due versanti: quello della letteratura e quello della filosofia
e in entrambi eccelle. Un unico percorso e due scritture..." Da
Una scrittura infinita. Un'introduzione a Iris Murdoch.
"Ma queste due scritture, che potrebbero essere rubricate semplicemente
come due registri diversi di un farsi del pensiero - continua Liliana
Rampello -, sono, secondo Luisa Muraro, concomitanti e pur tuttavia indipendenti.
Quando si dice di due scritture che sono concomitanti e indipendenti si
è già fatta un'operazione molto precisa di lettura di questi
testi.
In quali punti avviene lo scambio tra le due filosofe, scambio che porterà
una modificazione che riguarda anche il pensiero di Luisa Muraro?
"Lei ci parla dell'esistenza di un'asimmetria - dice Liliana - di
quello che si può immaginare e rappresentare con l'arte del linguaggio
e quello che si può argomentare e spiegare con la logica. Asimmetria
di cui la Murdoch ha saputo fare una vera e propria risorsa del pensiero
filosofico. A me sembra che in qualche modo Luisa si sia sentita sfidata
dal lavoro artistico di Iris Murdoch più che da quello filosofico.
Quello filosofico le era più consueto. E' qualcosa che lei conosceva
molto bene. Mentre il mettere al centro la scrittura creativa, scrittura
che lavora attraverso le immagini, che impasta quindi linguaggi metaforici
è qualcosa di diverso. E' come se Luisa avesse incrociato un Giano
bifronte. Le due cose sono concomitanti e non si eludono mai a vicenda.
Il suo pensiero è stato sfidato dal segreto della bellezza, perché
un'opera d'arte deve ambire ad essere bella, non deve eludere questo nodo
ed è lì che, a me pare, si sia messo in moto qualcosa di
Luisa, qualcosa di importante. Oltretutto sia nella scrittura letteraria
che filosofica di Iris Murdoch, il problema della bellezza è fortemente
e costantemente affiancato al problema del bene."
Luisa e Iris
L'approccio ai romanzi è la via principe alla sua personalità
sostiene Luisa Muraro. "Vorrei spiegare il perché del mio
interesse. Quello che dice Liliana delle risonanze che lei ha avvertito
è giusto, ma io ho sentito anche la sfida del suo pensiero filosofico,
sebbene indubbiamente la cosa di cui avrei voluto venire a parlare era
della romanziera Murdoch. Quello che volevo spiegarvi è perché
mi interessa e in quale contesto: un contesto di sfida filosofica del
tempo presente che ha generato una filosofia che viene chiamata post strutturalista.
Non è tanto la filosofia che questo tempo ha generato, è
il problema di questa civiltà sempre di più parlata attraverso
discorsi autoreferenziali. Le parole girano intorno e si riferiscono a
cose già definite e quindi perdono la sostanza naturale, quasi
sparendo.
In questo tipo di situazione incontro questa filosofa, scrittrice, impegnata
in una lotta contro l'irrealtà, perché il nostro parlare
sia un parlare di qualcosa di reale. Questa sua lotta in lei prende questa
forma di un'anti anti metafisica: cioè davanti alla chiusura di
qualsiasi possibilità di altro rispetto a quello che è interno
al nostro sistema referenziale, rispetto a qualsiasi possibile trascendenza,
lei lotta perché una trascendenza sia possibile. Lo fa sia nella
filosofia che nei romanzi. Quindi c'è questa lotta contro l'irrealtà
che ha due registri e due scritture. Quella filosofica, con scambi e contrasti,
mi affascina molto indagare.
Un altro motivo per cui la Murdoch mi piace è perché è
una donna sicuramente molto laica, non ha tentativi di recupero della
religione".
Iris Murdoch, spiega Luisa, è nata nel 1919, all'interno di una
famiglia laicissima. Si è formata tra Oxford e Cambridge tra gli
anni '30 e '40. Diventata professoressa a Oxford negli anni 50-60 è
sempre vissuta lì, in un ambiente quindi molto laico "Nonostante
questo ho sentito in lei una parentela lontana con Giacomo Leopardi -
dice Luisa.
"L'ho sentita quando constata la caduta delle illusioni religiose
e piange su questo fatto come una perdita. Leopardi è il primo
pensatore del disincanto che registra lucidamente la fine della civiltà
religiosa. La registra diversamente da Nietzsche che la considera una
specie di trionfo. Leopardi, al contrario, coglie aspetti di perdita,
perdita della possibilità di essere felici. Questo atteggiamento
lo ritroviamo anche in Iris Murdoch. Lei sa che la civiltà religiosa
veicola delle cose importanti. C'è anche in lei il constatare la
difficoltà di impegnarsi ad esplorare le difficoltà, c'è
un discorso filosofico sulla trascendenza e il suo dio si chiama il bene".
Il bene
Enorme l'importanza che questo tema ha nel pensiero della Murdoch e nei
suoi scritti, raccolti sotto il titolo La sovranità del bene,
continua Luisa. Il bene è il nome che lei dà a Dio.
Qualcuna però, racconta Luisa riferendosi a una sua studentessa,
tutto questo trionfo del bene non l'ha trovato. Secondo la sua lettura,
nel romanzo Una sconfitta quasi onorevole, assistiamo proprio alla
sua sconfitta.
Si narra la storia di tre coppie. In queste si intromette un uomo, George,
un personaggio che ha intenzioni maligne. Sembra tranquillo, non soffre
di sensi di colpa. Provocherà la disunione di una coppia con un'astuzia
diabolica, grazie anche al suo fascino. La separazione porterà
al suicidio di uno dei due amanti che non reggerà il venir meno
dell'amore e il distacco dalla donna amata. George, 'il cattivo' è
un uomo maligno, freddo ragionatore sulla natura umana che agisce e ragiona
con lucidità, sostenendo che l'amore non c'è. Questo lo
vorrà dimostrare e di fatto lo farà.
Il quadro è molto complesso. Verso la fine compare Charles, un
personaggio buono ma con poco credito, poche qualità, poca statura
e studi, però con la caratteristica di essere buono. Charles ha
autorità su George, gli chiederà infatti di lavare i piatti.
Questo atto svelerà qualcosa: George, nel sollevarsi le maniche,
renderà visibile il distintivo del campo di sterminio. Spiegherà
poi che il suo nome è di origine ebraica. In questo romanzo trionfa
il male, male che è inestinguibile, che gli è entrato dentro.
"I romanzi sono difformi non solo nella scrittura - dice ancora Luisa
- ma anche dalle aspettative della sua filosofia. Ci sono delle invenzioni
letterarie nella sua filosofia.
Quello che mi ha colpito è il fatto che questa giovane filosofa
a trent'anni era già da tempo orientata alla filosofia".
Luisa racconta di una delle sue primissime conferenze presso la Società
Aristotelica di Londra. Davanti al ghota della filosofia di Oxford e Cambridge
e ad altri personaggi importanti, lei (trentenne appunto) agirà
molto coraggiosamente prendendo le distanze dalla filosofia dominante.
Una filosofia analitica del linguaggio da cui si distanzierà in
una maniera particolare: non di sfida, evitando di rifugiarsi in una delle
filosofie minori presenti in quelle città pullulanti di pensatori
di altre tendenze.
La conferenza 'Nostalgia del particolare' portava un titolo un po' romanzesco,
novellistico. Al tempo Iris era già una romanziera e il suo scudo
era quello di esserlo, di pubblicare e di venir letta.
Tutti i filosofi presenti erano pieni di arroganza, ce n'era solo uno
buono, che tra l'altro morirà precocemente - racconta ancora Luisa-.
Ma Iris neanche era buona, aveva un disordine sessuale marcato, tradiva
sistematicamente il marito, confessandoglielo quasi ogni volta. Il biografo
Peter Conradi racconta che in un'occasione lui, stanco di questo suo atteggiamento,
le chiese per lo meno, di non raccontargli più nulla. Iris però
non era un'arrogante e davanti a quel pubblico inizia la sua sfida molto
misurata. Qualè la modalità del suo distacco?
Dicono che possiamo parlare dei fatti senza parlare dell'esperienza,
ma uno che non è d'accordo potrebbe dire: possiamo veramente?
Tutto ciò con la presenza di qualcuno che non è d'accordo,
The Objector, personaggio che sarà presente in tutta la conferenza.
Questo personaggio esordisce con un ma possiamo veramente? Questa,
da un punto di vista filosofico, è una sfida grandissima: togliere
la nozione di esperienza dal linguaggio filosofico. Recentemente, Joan
Scott ha prodotto uno scritto molto importante in cui proponeva di togliere
la nozione di esperienza dal linguaggio storico, perché, sosteneva
tra le altre cose, non è scientifica. Iris combatte tutta la sua
battaglia su questa questione e anche un'altra e inventa questo personaggio,
The Objector come fosse un personaggio romanzesco. Ogni tanto espone le
risposte all'obiezione, allora The Objector si alza sempre dicendo che
però c'è dell'altro.
Nel corso di quella conferenza, uno dei colleghi, Isaiah Berlin, andatosene
maleducatamente, (come racconta il biografo di Iris), commenta dicendo
"Quella signora che certo non è famosa per la chiarezza delle
sue idee". La battuta è maligna perché fa riferimento
alla libertà sessuale che Iris si permetteva, libertà che
pochi uomini si concedevano per non parlare delle donne"
Iris, racconta Luisa, aveva delle ottime amiche e questo lato della sua
vita è molto affascinante: le amicizie femminili l'hanno sempre
accompagnata e a vi è stata fedelissima tutta la vita. Le sue amiche,
(ben cinque) erano tutte filosofe che si occupavano di filosofia morale"
"Comunque - continua Luisa - ,le sue relazioni personali, le sue
amiche hanno sanato un aspetto della sua personalità molto maligna
che il biografo prontamente descrive"
Riguardo la sua filosofia "lei ha concepito e proposto una filosofia
che ha la vita morale e politica, la dimensione della moralità
e della politica come base, e, in questo senso, è tutta la filosofia
che è intesa in chiave di vita morale e politica senza soluzione
di continuità .
L'altro aspetto di lotta, l'altra battaglia che ha vinto, è stata
quella contro il dogma che separava i fatti dai valori. Questo vuol dire
la descrizione delle cose unita all'impegno personale, morale e politico
che abbiamo nei confronti di esse. C'era allora il dogma, che alcuni sostengono
ancora ma in filosofia non vale più, che pretende che è
possibile e si devono separare le due questioni in quanto dimensioni diverse:
una è la dimensione delle cose, dimensione scientifica, e una è
quella dei valori, morale, etica che si aggiunge indipendentemente. La
Murdoch sostiene che non è così. Lo sforzo di non confondere
le proprie posizioni soggettive con la descrizione e il racconto delle
cose, è lo sforzo di una posizione morale lodevole, ma è
una posizione morale. Lei combatte un paradigma scientifico presuntamente
neutro, un paradigma di una scientificità neutra con una soggettività
che non interviene".
L'esperienza di lettura
"I personaggi incarnano un problema - sostiene Liliana Rampallo -,
letteralmente, come se qualcuno avesse un problema nella sua testa e ne
facesse carne, sangue e ossa di figure che vuole presentarci. Le trame
mi sembrano un po' bislacche nel senso che ogni tanto lascia dei fili
che non porta avanti, costruisce delle cose abbastanza rocambolesche.
E' come se fossimo di fronte a un lavoro che non tiene tanto alla perfezione
dell'architettura della trama, dell'armonia delle parti, quanto piuttosto
che sia veramente sollecitata in modo, che io direi drammatico, quasi
shakespearianamente sollecitata a mettere in scena i suoi problemi".
"Mentre nella scrittura filosofica la Murdoch è
piuttosto sobria, nella narrazione è sontuosa - interviene Luisa
Muraro -: ci sono dei paesaggi, il suo ideale è situare un personaggio
e far sì che questo cominci ad avere una paura o qualche problema.
Il tutto all'interno di un paesaggio naturale, difficile, pericoloso,
malconcio, paludoso oppure in un mare freddo, magari con dei vortici.
E' il suo sogno accostare un essere umano con la tremarella e questi scenari.
Liliana Rampello diceva che le sue trame sono un po' bislacche. Le trame,
Iris, non le costruiva prima, le creava man mano, come gli scrittori dell'Ottocento
che pubblicavano sui giornali. Tuttavia quelli avevano il romanzo incarnato
in testa, lei invece sapeva che il romanzo realista dell'ottocento era
ormai perso, avrebbe voluto fosse il suo modello, ma non lo segue. Antonia
Bayatt sostiene che lei abbia scritto romanzi metafisici. Sotto la rete
è un romanzo filosofico.(i titoli mettili sempre in corsivo senza
virgoette)
L'altra cosa che piace alla Murdoch sono i grandi tormentoni concettuali,
psicologici e morali. Questi personaggi continuano sempre, a letto, a
pranzo, dentro le grotte, in barca, a disquisire e trattare problemi,
perché sono i problemi che tengono occupatissima lei. Però
poi ci sono sempre i personaggi taciturni che sono i suoi preferiti.
Sotto la rete è un po' filosofeggiante però ha una
caratteristica che è anche della sua filosofia: quella di non mettere
mai personaggi eroici solitari. Ci sono i momenti terribili di solitudine
nei suoi scritti soprattutto in mezzo alla natura infida e pericolosa
(grotte, paludi, buio), ha delle descrizioni molto vive, da fare impressione.
Teniamo conto però che lei era fisicamente molto coraggiosa. Nel
romanzo Sotto la rete già si sente la follia della trama. Sia per
me che per lei le trame dei romanzi che stanno insieme sono le più
distanti dal vivere vero. Più queste invece sono strampalate più
somigliano alle nostre vite.
Il protagonista di Sotto la rete, va in giro un po' 'strampalato'
ma alla fine diventa portantino a mezzo tempo e si mette al lavoro per
diventare scrittore. C'è nei suoi romanzi l'impegno al moral change.
Gli esseri umani sono sempre immersi in questo moral change, falliscono,
ritentano e vanno verso il cambiamento morale. Il protagonista va verso
questo. I personaggi non ci vanno mai eroicamente da soli, ma sempre aiutati
da tanti altri personaggi. Lei aborrisce l'eroe esistenzialista, però
le piacciono questi personaggi scalcagnati che però quasi tutti
ce la fanno.
La campana è caratterizzato dalla figura della badessa, personaggio
vero che ha conosciuto. Questa ricerca della dimensione religiosa che
era in lei non aveva una grande tenuta ma un'autentica attenzione alla
cultura e civiltà religiosa. Ha scritto di un ordine religioso
anglicano sopravvissuto alle riforme fornendo un quadro storicamente esatto.
Ogni volta che scrive un romanzo inventa un mondo. Alcuni le riescono
benissimo, altri no, ma lei sostiene che fallisce anche la grande arte
e poi aggiunge: "chi vuole bene non fallisce mai". Per lei l'artista
e l'essere umano buono si corrispondono, sono in rispondenza: uno sul
piano del bello l'altro sul piano del buono.
Il romanzo L'apprendista inizia con un personaggio che, per frivolezza,
dà dell'acido di nascosto a un suo amico carissimo in quanto quest'ultimo
era contrario ad assumere droghe. Glielo mette nel cibo, l'amico va 'in
trip' e, per una distrazione di quello che aveva fatto lo scherzo, si
butta dalla finestra e muore. Il libro quindi inizia con questo antefatto:
l'orribile senso di colpa di questo personaggio.
Lei scrive i romanzi per sé, cioè per noi, ma noi siamo
al servizio di lei. Lei aveva bisogno di scrivere, era la sua vita, la
scrittura l'ha tenuta in vita. Era una donna violenta e scrivendo romanzi,
che avevano poi successo, trovava gratificazione, e questo l'ha aiutata
a vivere e a pensare."
Sullo spunto di un intervento, Luisa racconta poi del
rapporto di Iris Murdoch con la psicoanalisi.
"Dalla biografia della Murdoch emerge il fatto che avesse avuto un
rapporto di attrazione-rigetto per questa. Mi sono chiesta se la scrittura
dei romanzi fosse la sua psicoanalisi. No, mi sono detta, è fare
a meno della psicoanalisi. E poi l'altra questione è la difficoltà
di entrare in relazione: nei saggi filosofici entrare in relazione con
gli altri è ossessivamente martellante, è importantissimo,
continua a dirlo. Come dire che la scrittura dei romanzi mette in scena
una possibilità che le fa difetto.
Tra le sue trame.
Relazioni, teatralità, il bene
Questi alcuni nodi principali che si intrecciano tra gli interventi
di alcune partecipanti e delle relatrici.
"Lei attua una messa in scena drammatica del teatro
classico inglese, che si sente benché scelga di tenere quella trama
che altrimenti non saprebbe tenere nelle mani dell' io narrante: se si
tira il filo dell'io narrante, tutto si disfa essendo senza nuclei - interviene
Liliana Rampello e continua -
Luisa sosteneva che, per Iris, in
qualche modo l'uomo buono è meglio dell'artista. Io sento lenorme
difficoltà della Murdoch di avere esperienza di relazione, mentre
si sente che ha esperienza di ciò che lei presenta come malignamente
capace di rompere i legami, che nei suoi romanzi continuamente si rompono.
E' questo che viene messo in scena, se poi dopo questo fatto si traveste
da bene riuscirà da qualche parte, dove la bellezza non riesce.
Può darsi però che la maschera sua sia la maschera di chi
conosce. Chi è buono nei suoi romanzi? Quelli che tacciono o si
perdono di vista?"
Sul tema della relazioni
"
la cosa che
mi ha colpito ancora di più - ammette una partecipante - è
questa difficoltà delle relazioni che si traduce nell'ossessione
a tormentare l'altro tormentandosi, però un altro che non viene
mai visto, tant'è che quando accade questo famoso cambiamento avviene
perché qualcosa succede che fa vedere l'altro a questo io narrante.
Inizialmente ero stordita da tutte queste interrogazioni dell' io narrante
che sembrava essere un grande approfondimento di relazione"
C'è una grande presenza di relazioni secondo Clara
Jourdan "E' vero che si rompono, però cambiano, si modificano
e, come diceva prima Luisa, l'io narrante e i vari personaggi non sono
mai soli. Non c'è la questione dell'esistenzialismo, c'è
invece una forte relazionalità e una grande libertà della
scrittrice".
Sulla questione della teatralità di Iris Murdoch
interviene Luisa Muraro "In verità negli scritti della Murdoch,
a parte la conferenza 'La nostalgia del particolare' con il suo The Objector
( che si può definire un'invenzione teatrale), soprattutto nei
romanzi, c'è la questione del teatro. Lei ha idea che questo sia
l'espressione letteraria più alta e lo spiega: il teatro coniuga
la forma e la contingenza, cioè ci sono cose che capitano per caso
ma capitano in una forma conclusa, in quanto, sostiene, abbiamo bisogno
di questa unità della forma e, nel teatro, questo avviene".
Luisa precisa poi il suo pensiero circa il discorso del fallimento dell'arte.
"Anche la grande arte fallisce anzi si distingue proprio perché
questi sono fatti in un certo modo, sono speciali, come se l'arte si arrendesse
alla contingenza ultima delle cose. La grande arte ha questa capacità,
i suoi difetti li esibisce come qualcosa di teatrale mentre l'arte media
e mediocre hanno la caratteristica di cercare di tamponare, di sanare".
Prima veniva detto da qualcuna che la Murdoch non si lascia colpire dalle
relazioni
io correggerei in questi termini: lei in verità
non si lascia colpire...
Poi seguita a parlare del suo saggio in cui "
dicevo che la
bravura di Murdoch sta nel parlare della libertà e di pensare la
libertà nei termini di non farsi trovare nelle traiettorie del
potere. C'è quella mossa della schivata, mossa che fanno gli animali
inseguiti dal predatore che fanno la schivata di lato e il predatore resta
nella sua traiettoria. La questione della schivata a Judith Butler in
Scambi di genere manca, seppur la tenti, la immagini, cerchi di descriverla.
Proporrei di dire: Iris non si lascia colpire dal difetto di relazioni.
Questa povertà relazionale che si porta dentro è che in
qualche maniera c'è, lo hanno notato più persone. E' difficile
identificarsi con i personaggi della Murdoch, sono personaggi che hanno
qualcosa di scostante. Lei fa della povertà simbolica il lavoro
dell'arte, è questo che c'è in lei: le goffaggini di trama
sono giocate alla grande. Lei non è una grande romanziera è
una romanziera difettosa ma non è infilzata dalla sua difettosità,
è come se questa difettosità la offrisse a chi la legge.
Bisogna leggerla così, spartendo insieme a lei qualcosa di doloroso
e di mancante, profondamente mancante".
"L'ulteriore grande idea di Iris Murdoch è
di pensare che il lavoro simbolico dei segni dentro di noi, nei rapporti
con gli altri e con il mondo e preso in ogni senso dell'esprimere, del
comunicare, del rappresentare in ogni direzione, che questo lavoro può
prendere dalla grande arte alla conversazione quotidiana, quando è
lavoro consapevole e deliberato, quando è una pratica di parola
è anche per sua natura un lavoro morale e perciò positivamente
sensibile all'orientamento del bene..." (Da Una scrittura infinita.
Un'introduzione a Iris Murdoch). Secondo Luisa questa intuizione l'ha
portata alla pratica della scrittura. "Appoggio quest'ipotesi - continua
Luisa - , la Murdoch ha avuto l'idea che c'è un ordine simbolico.
L'ha avuta scoprendo che le cose sono caotiche, contingenti, mal fatte
e capita sempre qualcosa che fa disordine e crea sofferenza e scoprendo
che la parola, se è fatta come pratica di parola, può far
ordine. Ho capito che questa idea del bene l'ha messa in termini molto
platonizzanti e in questo senso poco credibili per noi, ma il concetto
dentro questa intuizione è che il parlare, quando è un parlare
vero e bello, non necessariamente artistico e filosofico, è il
parlare di chi vuol bene, di chi cerca di dire la verità, ed ha
un orientamento interno al bene, cioè fa ordine, c'è un
ordine libero".
Sul tema del bene una partecipante suggerisce che "in
questo momento mi è venuto da pensare che il bene o e il buono
non sono delle evidenze -. , Mentre ciò che è bello può
avere un'evidenza nell'apparire, il bene o il buono no, e quindi non può
che essere come nel titolo di quel romanzo citato...non risulta nella
mia esperienza che ci sia un apparire del bene e del buono".
A questo proposito Luisa risponde che nel testo La sovranità
del bene, disgraziatamente il bello si mostra e la perfezione in quest'ordine
di cose la cogliamo, siamo capaci, la sentiamo ma nell'ordine della moralità
è tutto una confusione, incertezza. "Forse queste parole sono
una chiave per capire quello che diceva la mia studentessa, cioè
che nei romanzi tutto questo trionfo del bene non c'è. Lei citava
le parole inglesi che esprimono, nel linguaggio della Murdoch, la confusione,
il pasticcio l'impasto"
Sull'importanza delle relazioni nei romanzi della Murdoch
interviene Liliana Rampello
"Premettendo che una vita non spiega l'opera e l'opera non spiega
una vita, certamente la conoscenza di alcuni elementi della vita di un'artista
possono fare da bussola ma non vanno intese come una reciprocità.
Permettono di capire meglio cosa fa avvenire nel romanzo. Che cosa lei
fa avvenire? Il disfarsi delle relazioni, che poi questo presupponga che
lei ha un mondo di relazioni, che le cura, è un'altra cosa. Quello
che avviene è un continuo slegarsi delle relazioni che secondo
me è legato al fatto che tutte ripetiamo di non identificarci con
i suoi personaggi. Io credo che lei non permetta di identificarsi con
un suo personaggio. Secondo me lei disfa continuamente la propria identità.
Un discorso è 'mi identifico con l'Io narrante o non mi identifico
con nessun personaggio', un'altra cosa è quello che lei fa avvenire,
che è un disfarsi dell'identità. Tanto è vero, è
la cosa che mi ipnotizza di più, che lei ha un tipo di scrittura
proprio ipnotica. Forse per questo fatto la mia cadenza è legata
al maligno, lavoro che si vede molto in atto. Il problema del rapporto
tra il bello e il bene passa, ma passa fortemente da questa malignità
rappresentata e la rappresentazione della malignità è lo
slegare il legame altrui. Il diabolico slega i legami".
"Lei vede l'umanità immersa nella possibilità
della trasformazione di sé che può essere orientata verso
il meglio - dice Luisa Muraro -, verso un ordine simbolico, il bene, dice,
in filosofia non nei romanzi dove però c'è questa drammaticità.
Le sue trame non danno quel gusto estetico della risoluzione della perfetta
parabola e bisogna vedere questa pluralità.
Il fatto del disfarsi dell'identità di cui diceva Liliana è
molto post moderno ma va preso in considerazione perché c'è
un disfarsi dell'identità che lei è capace di raccontare,
è capace di raccontarlo anche con un ri-farsi. Anche Judith Butler
parla di un disfarsi e di un rifarsi. Mi veniva in mente quando Liliana
sottolineava questa capacità di raccontare il disfare i legami,
che questo è alla lettera il proprio del diabolico. Nell'origine
della parola diabolico, diabolico è opposto a simbolico che è
il mettere insieme, "sum", mentre "dia" è separare".
Continua poi: "quell'enfasi sul bene, che viene dal platonismo e
che ha molte spiegazioni nel contesto in cui si pone, è difficile
da governare filosoficamente, si può vederla nella prospettiva
di un ordine simbolico. Ci sono elementi che ho raccolto abbastanza consistenti
in questo senso per cui ho azzardato di dire che la Murdoch antepone Platone
ma in realtà ha un'intuizione e che ha una polarità con
il diabolico del disfare i legami che lei sa raccontare molto bene nei
suoi romanzi"
Sul tema del disfare i legami interviene anche Clara Jourdan:
"in parte c'è un disfare ma anche un rifare dei legami. Il
cambiamento che avviene, il moral change di cui parlava prima Luisa, avviene
grazie a un mutamento delle relazioni. Vengono disfatti legami fasulli.
Le relazioni non le vedo idealizzate
lei non le idealizza: vede il
cambiamento delle relazioni attraverso le relazioni".
Luisa Muraro chiude l'incontro con il suo ultimo intervento
"Iris Murdoch è post post moderna, anti anti metafisica, è
facile da leggere ma ti frastorna un po', ci si chiede cosa si sta leggendo.
Aveva in mente il modello dell'Ottocento ma non lo seguiva, aveva bisogno
di scrivere tanto, uno via l'altro e in fretta. Un intervistatore una
volta le ha chiesto quanto tempo passava tra quando ne finiva uno e quando
ne iniziava un altro. Lei rispose: un'ora.
Il mio suggerimento: leggetela come una vostra compagna di banco che scrive
bellissimi romanzi senza aver avuto a disposizione tutto il tempo che
aveva il nostro bellissimo Manzoni. Il tempo mettetecelo voi: si può
scrivere ragionare pensare e godersela con lei, lei si fa leggere".
|