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Alias
- 14 maggio 2011
Il
poeta laureato è lesbica
di Viola Papetti
Un'antologia
di poesie che raccolga autori affini per contagio poetico o che provengano
dalla stessa piccola patria o che abbiano scritto nel medesimo arco di
tempo, è accettabile anzi godibile. Dunque, ricchezza e voluttà
delle antologie di poeti per cui diventiamo degustatori se non proprio
giudici della loro qualità, confrontando un poeta con l'altro,
e stilando classifiche a nostro piacere. Ma non è questo il caso
di un'antologia di un poeta vivente, per giunta poco conosciuto in Italia.
Il collage di testi scelti dai curatori è spesso surreale: qui
un naso, là un piede, a margine un orecchio. Si sente il bisogno
almeno di una sua foto per guardarlo negli occhi, di un'intervista per
quanto banale, di sapere almeno quanti amanti ha avuto, e figli ecc. ecc.
In fondo il signor Testo è pur stato partorito dalla testa appunto
di un essere umano e si rivolge a noi in quanto partecipi della stessa
umanità, anche se non della stessa lingua. Questo a proposito dell'antologia
di poesie scelte di Carol Ann Duffy, La donna sulla luna (a cura di Giorgia
Sensi e Andrea Sirocchi, testo inglese a fronte, Le Lettere, pp. 195,
€ 19,00), arricchito di informazioni biografiche e bibliografiche.
Di Duffy - da non confondere con Maureen Duffy, anche lei poetessa e lesbica
- era già uscito nel 2002, sempre presso Le Lettere e curato sempre
da Sensi e Sirocchi, La moglie del mondo (1999), una serie di monologhi
di personaggi femminili, spesso mitologici, mogli figlie amanti di uomini
celebri. Spiritosi, paradossali, raramente romantici, spesso irresistibili
come quelli di Frau Freud, Anne Hathaway, Queen Kong, Little Red-Cap.
Quest'ultimo è l'autoritratto di Duffy stessa, vigoroso Cappuccetto
Rosso sedicenne, figlia di operai, che nel bosco- la gang degli intellettuali
di Glasgow dove lei era nata nel 1955 - incontra il Lupo, ossia Adrian
Henri, uno dei Liverpool Poets di ventitre anni, suo senior. Lui declama
versi con vocione lupesco, la zampa pelosa, la barba macchiata di vino
rosso, una stagione dopo l'altra le stesse facili rime, gli stessi bislacchi
ragionamenti. Lei lo ascolta e impara, e per dieci anni resta nella sua
tana. Nel 1977 pubblicano insieme Beauty and the Beast, in cui si prevede
un finale capovolgimento dei ruoli: lei, diventata la Bestia, con la sua
accetta virile abbatte la Bella, verseggiatrice monotona, e esce dalla
foresta, con I suoi fiori, cantando, tutta sola (Little Red Cap). Adrian
Henri (1932-2000), insieme a Roger McGough (1937-) e Brian Patten (1946-),
sono conosciuti come The Mersey Sound dal titolo del Penguin Modern Poets
10 del 1967, che raccoglie buona parte delle loro poesie, lette o meglio
cantate o agite nei pub e nei coffee bar della Liverpool degli anni sessanta.
Il loro pubblico erano i ragazzi che andavano ai concerti pop, i comportamenti
e i temi erano quelli quotidiani (sesso, guerra del Vietnam, i Beatles,
Liverpool e non Londra, le droghe di moda). Erano performer, come Hopkins
avrebbe voluto fossero tutti i poeti. La performance poetry, con il suo
linguaggio demotico, irrisorio e l'impatto fisico dei poeti-attori trionfava
nella provinciale Scozia, mentre a Londra i poeti del Movement leggevano
compostamente i loro testi ai microfoni della Bbc e subito li pubblicavano.
A Roma, dai microfoni del Terzo Programma, Manganelli traduceva e commentava
quei poeti: Alvarez, Amis, Conquest, Fuller, Gunn, Hill, Hughes, Larkin.
All'università invitammo i tre Liverpool Poets che si scatenarono
pazzamente nell'aula affollatissima ed eccitata. Per noi tutti fu un'esperienza
insolita: per la prima volta la poesia ci arrivava con tanta energia e
semplicità, senza aura. Il romantico lupo Adrian Henri recitò
Love is, venti versi e venti ripetizioni del titolo, e Without You, trenta
ripetizioni del titolo che ritorna a conclusione. Sono i trucchi che i
poeti orali hanno sempre praticato e Duffy pure li usa, ma con più
sottigliezza, quando vuol far salire la febbre del pubblico (Nome, Se
fossi morta, Assenza, Risposta, Appeal e in altre occasioni). Ama spesso
iniziare una poesia l'If di Kipling, poiché come lui essendo un
buon cattivo poeta, deve aprire con autorità un tema ad alto rischio,
ed esplorarlo in tutte le sue pieghe. "Se tu fossi fatta di fuoco,/
la tua testa una Medusa selvaggia che sibila fiamma,/ la lingua un attizzatoio
incandescente in gola,/ il cuore un piccolo carbone ardente in petto,/
le dita marchi a fuoco vivo sulla carne,/ se fossi acqua, se fossi fatta
di acqua, sì, sì". E il crescendo finale: "Se
tu fossi fatta di aria, se fossi aria,/ se tu fossi fatta di acqua, se
fossi acqua,/ se tu fossi fatta di fuoco, se fossi fuoco,/ se tu fossi
fatta di pietra, se fossi pietra,/ o se tu non fossi niente di tutto questo
se non la morte,/ la risposta è sì, sì". Mail
suo "If" è erotico, non didattico come quello di Kipling,
né beffardo come quello di Cecco Angiolieri, non riguarda né
la morale, né la società, ma la donna amata, alla quale
è riconosciuto un potere assoluto di vita e di morte. Certi critici
non sono stati indulgenti con Duffy e le hanno rimproverato i difetti
comuni ai Liverpool Poets e ai loro discendenti: improvvisazione, sfrontatezza,
sciatteria, trovatine spiritose, poesie da bere d'un colpo e dimenticare
subito dopo. Le hanno anche trovato tanti maestri. Browning per monologhi
drammatici: ecco Cesare e Cleopatra nell'intimità: "Sul suo
letto/ lei gli si stendeva sopra, lo truccava,/gli sbaffava le labbra
col rossetto,/ la sua cipria gli arrossava la barba incolta,/ il turchese
degli occhi sulle palpebre./ Lo sfidava, bicchiere dopo bicchiere/ nelle
gare di bevute
" (Bellissima) - non stupisce che abbia scritto
anche per il teatro e la radio. Molte citazioni da scrittrici, Plath e
Carter, specie nella rielaborazione di fiabe, racconti e poesie per ragazzi,
e dai classici Shakespeare, Donne, e aggiungerei anche l'Hopkins dei sonetti
disperati che echeggia nell'ultima raccolta Rapture (2005), un lungo poema
d'amore che va dalla piena felicità dell'inizio al vuoto della
fine "Mi sveglio a un'ora cupa fuori del tempo, vado alla finestra./
Non una stella in questo cielo buio, nemmeno la luna, non un nome/ o numero
per l'ora, né una scheggia di luce. Inspiro" (È finita).
Il paesaggio aveva benedetto il tenero abbraccio degli amanti: "La
pietà della primavera è qui, un addolcirsi dell'aria,/ lamluce
di un'ora più luminosa, il tempo/ come perdono, concesso nel sussurrato
colorarsi/ dei fiori, nel mantra della pioggia, sollievo, sollievo, sollievo"
(Primavera). Il corpo dell'amata è un gioiello che non si vuole
percepire con i sensi, ma che invece è visto pienamente in cielo,
come astro: "La perla nera della pupilla/ montata nell'oro del tuo
occhio -/ e non vedo/ il frutto scuro del capezzolo/ maturo sul tuo seno
-/ e non sento/ la punta
della mia lingua/ bruciare nell'astro della tua bocca -/ e non avverto/
il lieve battito del tuo polso/ sotto il pollice - osservo invece/ il
transito di Venere/ sulla faccia del sole" (Venere). OrmaiDuffy è
divenuta un poeta classico, studiata nelle scuole, acclamata nelle letture
pubbliche, premiatissima persino dalla National Lottery con una vincita
di 75.000 sterline. Donna, scozzese, lesbica, madre singola e felice di
Ella, è stata finalmente nominata Poet Laureate. Ma sul Poet Laureate
ha pesato il compito di celebrare il matrimonio di Kate e William: se
la sarà cavata meglio che nella commemorazione del tallone di Achille
e di David Beckham, colpiti l'uno in guerra e l'altro durante una partita?
Non sempre il mito si presta in aiuto al postmoderno.
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