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1 novembre 2011
FILOSOFIA AL FEMMINILE
di Antonella
Cattorini Cattaneo
Due preziosi
contributi nella filosofia femminile contemporanea. Il primo è
di Francesca Rigotti, che insegna Concetti e metafore della politica presso
la Facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università
della Svizzera italiana di Lugano. Il secondo di Luisa Muraro, filosofa
e fondatrice della Libreria delle donne di Milano. La Muraro insegna filosofia
all'Università di Verona dove ha dato vita alla comunità
filosofica "Diotima".
Hanno in comune molte idee, pur nella distanza delle impostazioni filosofiche
e nello stile linguistico. Ne individuiamo una, importante: il richiamo
alla maternità, come fonte primaria del pensiero. Come forma archetipica,
troppo a lungo dimenticata ma - come tutte le cose di cui si avverte la
propria importanza nel momento della loro perdita - ora ritrovata e resa
capace di far fiorire nuovi e fertili pensieri femminili, per donne e
per uomini che vogliano leggerle e ascoltarle.
La recente pubblicazione di FRANCESCA RIGOTTI, Partorire con il corpo
e con la mente (2010) ritorna sul tema del pensiero femminile, ovvero
di donne che pensano e che intendono superare quel che l'autrice chiama
"il paradosso di Arianna". Come la mitica e intelligente liberatrice
di Teseo non fu valorizzata per la sua geniale mossa con il famoso filo
nel labirinto ma bensì tradita e - in una versione del mito - persino
uccisa, anche le donne sono state nei secoli espropriate delle attività
loro proprie quali il partorire, il tessere, il filare. Queste operazioni,
considerate banali e insignificanti finché praticate da donne,
hanno assunto ben altra valenza allorché trasfigurate in un processo
di purificazione metaforica e di astrazione da parte degli uomini. E quindi
"il parto della mente" o "il filo del logos" hanno
preso stanza in luoghi considerati ben più degni delle domestiche
dimore.
Se in altri testi la Rigotti ha cercato di recuperare la dignità
concreta e metaforica, tutta femminile, di queste attività (Filosofia
in cucina, 1999, Il filo del pensiero, 2002. La filosofia delle piccole
cose, 2004) con uno stile linguistico capace di metter in gioco paragoni
e analogie, in quest'opera difende il contributo femminile alla riproduzione,
spesso e a lungo oscurato. La gravidanza spirituale e la generazione delle
idee da Platone in poi hanno allontanato lo sguardo dalla matrice femminile
che fa nascere, che dà vita. È stato oscurato quell'archè
che invece i presocratici avevano inteso nella sua fisicità, ci
si è progressivamente dimenticati della cosa da cui si avvia l'astrazione,
privilegiando quest'ultima a discapito della prima.
Nel promuovere questa prospettiva vengono fatte parlare "voci amiche",
soprattutto femminili. Ma non manca anche quella di qualche autore illuminato
come ad esempio il poeta R.M. Rilke. Due filosofe, tra le altre citate,
ci sembrano particolarmente vicine alla nostra autrice: Janet McCracken,
che intende dimostrare come la coscienza morale e il giudizio estetico
nascano nel mondo domestico (è infatti fondamentale per la formazione
del carattere morale di ciascuno il modo in cui si soddisfano i bisogni
di sopravvivenza, come si mangia, come ci si veste e si arreda la casa)
ed Elisabeth M.Anscomb (1912-2001), una della figure di maggior spicco
della filosofia anglosassone del XX secolo. A questa studiosa, madre di
ben sette figli e altrettanto feconda pensatrice, si deve tra l'altro
una riflessione importante sul concetto di azione intenzionale. La presenza
dei figli e delle loro innumerevoli domande anche a sfondo filosofico
(gli inquietanti "perché?" dei bambini) è stata
sicuramente uno stimolo fondamentale per l'elaborazione filosofica di
questa autrice che non ha posto un aut aut - come altre filosofe tra cui
persino la stessa Simone de Beauvoir - tra figli e libri. Invece un nuovo
monito esce da queste pagine: et liberi et libri.
Alle donne filosofe, allora, il compito di parlare della nascita e della
dimensione creativa che dalla nascita ha origine, superando la dicotomia
tra corpo gravido (femminile) e mente gravida (maschile). La donna, madre
e filosofa Rigotti utilizza con abilità un pregevole attrezzo creativo,
quello della metafora, e invita le donne e gli uomini a recuperare i termini
che fanno capo alla esplicazione della creatività: nascita, parto,
concepimento, fertilità, individuando in essi la matrice del corporeo
femminile. In particolare alle donne porge l'invito a recuperare le parti
vitali della propria corporeità, più predisposta a dare
alla luce che ad evidenziare le ombre e le "selve oscure" percorse
da letterati e poeti. Inoltre è proprio delle donne indagare la
scena della nascita, dove il nuovo appare ma sempre in relazione con un
altro individuo che non va dimenticato. Come afferma Luce Irigaray, "L'umano
originariamente è: non uno ma due, due che non sono né metà,
né complementari, né opposti". Riconsiderare il momento
del parto insieme alla nascita significa recuperare la parte del femminile
(nella sua concretezza e fisicità) che è stata oscurata
dalla tradizione filosofica occidentale, troppo allineata a cogliere la
verità a partire dalla morte o dalla seconda nascita piuttosto
che da quella della vita. Significa anche recuperare la caratteristica
"natale/nascibile" e non solo "mortale" dell'umano.
Il modello della maternità può invece offrire stimoli all'attività
creativa mentale. Nel momento della nascita e del parto avviene il presentarsi
di una creatura nuova, originale, autentica e aderente alle origini, a
quell'"elemento" che come l'acqua per Talete ha fatto essere
e continua a mantenere nell'essere.
Inoltre - e qui rintracciamo il cuore del testo - proprio analizzando
la metafora del parto e della creatività e associandola all'evento
concreto da cui essa nasce è possibile rintracciare alcuni caratteri
del pensiero creativo, di come nascono le idee. Tre aspetti, in particolare,
risultano caratterizzanti sia i pensieri sia le creature originali: la
polisemia, la tensione con l'oscillazione, la forma gianusiana del pensiero,
termine tratto dal dio Giano, come riferisce Albert Rothenberg ideatore
di tale espressione. Nel primo aspetto è originale l'idea capace
un infinita varietà di effetti, ricchi di significato proprio,
come un nuovo figlio aperto a infinite possibilità espressive e
di vita. Inoltre come nella piccola creatura appena nata riscontriamo
somiglianze con i genitori, con intermittenze spontanee e non imposte,
così il pensiero innovativo gioca con altre idee in un ritmo mobile
e oscillante, irrispettoso di gerarchie e capace di congedarsi dal vecchio.
Infine come la divinità romana che sorvegliava le soglie e le cui
due facce permettevano di osservare interno ed esterno dell'edificio,
il pensiero creativo è gianusiano come l'atto creativo che comporta
la diade madre-figlio insieme. Così il concepimento di un figlio
e di una idea non rischiano più diversi livelli valutativi e anche
così alla donna che pensa sono debitamente restituiti dignità
e valore .
FRANCESCA RIGOTTI, Partorire con il corpo e con la mente. Creatività,
filosofia, maternità, Bollati Boringhieri,Torino 2010
Il testo di LUISA MURARO, L'ordine simbolico della madre,
non è recente. Apparso per la prima volta nel 1992, esce in una
seconda edizione nel 2006, emendato da una serie di minuti errori e con
una "tardiva recensione della sua ex-autrice". È stato
un libro molto importante per chi lo ha scritto: in queste pagine è
presentato il passaggio avvenuto nella pensatrice dalla filosofia accademica
(ha studiato alla scuola dell'Università Cattolica di Milano con
Bontadini, Severino, Sofia Vanni Rovighi) a quella finalmente personale,
capace di rintracciare un inizio, un fondamento del proprio pensiero e
soprattutto una corrispondenza fra il linguaggio e le cose dette. Si può
quindi leggere come un percorso autobiografico, intenso e persino commuovente
a tratti, pur nella sua difficoltà concettuale che la stessa autrice
riconosce nella nota finale. Nel titolo la tesi dell'opera e la rivelazione
di chi scrive: la svolta del pensiero è avvenuta con la scoperta
della simbolica potenza materna, necessaria per l'esistenza libera di
ogni donna. Una scoperta personale ma anche pubblica poiché avvenuta
con la politica delle donne e grazie a questa proseguita nel tempo. Infatti
questo testo, dibattuto all'interno di gruppi di donne e di - pochi -
uomini, ha avviato altre pubblicazioni a più voci (tra le quali
ricordiamo quella della Comunità di Diotima, L'ombra della madre,
Liguori Editori, Napoli 2007, dove le autrici si sono firmate anche con
il cognome della propria madre), dibattiti, incontri in vari ambiti e
soprattutto nell'accogliente sede milanese della Libreria delle donne.
L'amore per la madre da parte delle donne è gravemente rimosso
nella nostra cultura. Dopo la stagione infantile, di grande attaccamento
alla figura materna, la donna perde di vista e spesso arriva a rinnegare
colei che le ha dato la vita e la parola. Non basta criticare il patriarcato
per superare questa vicenda: occorre imparare ad amare la madre, anche
e nonostante l'ostilità che si possa nutrire nei suoi confronti.
La vera grandezza del femminismo non consiste nel criticare il patriarcato
ma nel ritrovare quella grandezza incontrata nei primi mesi e anni di
vita e poi tristemente perduta e quasi rinnegata. Al di là della
critica e insieme alla critica occorre far nascere il desiderio, così
necessario per le donne e la loro identità passionale e mentale.
Il senso dell'essere, dell'essere finito è così recuperato
a livello metafisico. Anche a partire dalla miseria della propria madre
è quindi possibile restituire il senso della sua presenza, così
come la presenza della realtà fisica nella sua finitudine e contraddittorietà.
Per "salvare i fenomeni" non si imboccherà allora la
strada della metafisica classica e la sua tendenza - da Platone in poi
- a raddoppiare gli oggetti e i valori svilendo l'esperienza concreta,
molteplice e finita.
"Ritornare come bambini" (e bambine!), pur nell'ampio credito
che si può attribuire a questa espressione che hanno in comune
il Vangelo, l'estetica pre-verbale, le indagini psicoanalitiche, non significa
tuttavia valorizzare quella esperienza umana come l'unica e la più
vera. Certo molto dobbiamo al momento in cui eravamo tutt'uno - corpo
e mente - con la madre e a quando, da lattanti, provavamo gli stessi desideri
della madre al punto di creare il mondo secondo quel che la madre creava
per noi e credere così che esso era posto da noi stessi. La diade
originaria madre-figlio/a, infatti, non va dimenticata; tuttavia appare
un momento in cui il bimbo/a passa alla sua creazione del mondo, forgiando
propri significati a un mondo che (il bambino in qualche misura si accorge
di questo) già a lui preesisteva. In questa fase la creazione originaria
precedente non è negata né va creduta illusoria; una traccia
di essa si conserva nel pensiero e nella parola della nuova creatura.
La tesi gnoseologica della Muraro è pertanto la seguente: "L'esperienza
creatrice delle origini è quella di un soggetto in relazione con
la matrice della vita, soggetto distinguibile dalla matrice ma non dalla
sua relazione con essa".
Abbiamo dato volentieri la parola all'autrice che proprio al tema della
parola lega la questione nodale dell'"ordine simbolico". Infatti
la matrice della vita è anche la matrice della parola, ovvero dell'ordine
simbolico che si stabilisce necessariamente con la relazione materna.
Nel nostro linguaggio abita chi lo ha fatto sorgere così come il
nostro corpo risente di un'impronta materna. La separazione dalla madre,
con la nascita del nostro modo di leggere la realtà e di parlare
non può dimenticare l'originaria autorità da cui la nostra
parola dipende. Quell'arte dello scambio che è la lingua deriva
da uno scambio originario, tra l'autorità primitiva a cui dobbiamo
corpo e parola e la nostra autonomia. Quest'ultima risulta falsa e impersonale
- e soprattutto dominata dalle autorità patriarcali - senza il
riconoscimento, da parte del soggetto, di quella fonte e autorità
iniziale. Ciò che rende veramente dicibile il reale, l'ordine logico
del nostro pensiero si basa sull'accettazione di quella necessità,
di quella relazione originaria.
L'autrice ammette di formulare in tal modo una sua intuizione molto forte
e importante, che tuttavia non è ancora espressa in una teoria
compiuta.
Prova nel contempo la sua proposta rivelando innanzitutto la sua esperienza
di donna filosofa, che ha visto come atto di nascita del suo proprio pensiero
proprio la scoperta di questo debito materno; riporta però anche
altre esperienze di donne letterate, poetesse e mistiche che hanno diversamente
affrontato questo tema e anche di coloro che non sono riuscite a staccarsi
dalla madre e manifestano sintomi nevrotici, come nel caso del fenomeno
isterico. Le isteriche - secondo la Muraro - vivono un attaccamento intero
alla madre, non accettano di vederla sostituita; arrivano a odiarla, rivoltandosi
contro di lei con anima e corpo. Restano nell'avversione, come unico tentativo
di indipendenza simbolica. In queste donne non è infatti avvenuta
quella sostituzione o mediazione che ha inizio col riconoscimento di quel
tantissimo che la madre ha dato: la vita, la parola. La parola che la
madre insegna diventa una parola propria solo nel momento in cui essa
viene sostituita. Ma alla sostituzione vera si accompagna necessariamente
il riconoscimento e la vera restituzione alla madre della sua autorità.
Per varie ragioni storiche e culturali il pensiero maschile vive questa
riconoscenza al materno senza sforzo; quello femminile invece ne è
carente e per questo in tale direzione ha da dirigersi. A partire dall'ascolto
ascolto delle voci femminili presenti e passate il pensiero delle donne
può così crescere e maturare.
LUISA MURARO, L'ordine simbolico della madre. Seconda edizione, Editori
Riuniti, Roma 2006.
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