Libreria delle donne di Milano
paradiso
"A volte penso che il paradiso debba essere un continuo infinito leggere"
(Virginia Woolf, luglio 1934)

il manifesto - 9 settembre 2004

Alice Sebold di qua dal paradiso
"Mi piace l'idea romantica che in un romanzo spetta ai personaggi il compito di ampliare, tra le pagine, i confini delle loro esistenze"
Un incontro con Alice Sebold. All'inaugurazione del festivaletteratura l'autrice americana di "Amabili resti" e di "Lucky", entrambi editi da e/o e basati sullo stupro subito al primo anno di università, parla delle immagini di cui si nutrono i suoi libri e della militanza contro Bush ma non per questo favorevole a Kerry
FRANCESCA BORRELLI

Penserà il pubblico del festivaletteratura, a stabilire un ponte tra questa contingenza storica così drammatica e le tentazioni narcisistiche degli autori invitati, ai quali è sacrosanto rivolgersi perché raccontino gestazione e approdi dei loro libri, purché se ne abbia in cambio anche un qualche segnale di coscienza rattristata, se non proprio infelice, per l'impotenza che condividono con tutti noi, a fronte di guerre che sfuggono sia alla possibilità di arginarne gli esiti, sia agli strumenti consueti con cui siamo soliti interpretarne le immagini. Sembra che Alice Sebold sia approdata a Mantova portando con sé un certo disincanto per la politica estera americana, che pure ha avuto modo, in passato, di gratificare dei suoi aggettivi più sanguinosi. Quel che la preoccupa è piuttosto la prospettiva di ritrovarsi a rispondere a domande già mille volte sentite, ragione per la quale ci si è affrettati a scorrere la rassegna stampa che la riguarda, per un ammontare di pagine ormai superiore a quelle da lei stessa scritte nei due romanzi che le conosciamo, e effettivamente la concentrazione sul trauma dello stupro subìto la notte in cui terminava il suo primo anno di università a Syracuse è martellante; ma bisogna pur dire che sia in quella sorta di memoir titolato Lucky, sia nel romanzo che da quei ricordi ha preso forma, Amabili resti (entrambi lodevolmente scoperti dalle edizioni e/o) tutto ruota intorno allo stesso episodio, cui è stata necessaria una lunga metabolizzazione prima del distacco che ha consentito di relegarlo nella finzione. Interamente vestita di nero, la carnagione risaltata nel suo pallore, Alice Sebold è ormai così nota al pubblico italiano da rendere superflui i convenevoli dedicati alle presentazioni.

Lei crede che il successo di "Amabili resti" sia principalmente dovuto all'episodio dello stupro che muove l'intreccio, allo stile singolare con cui fa parlare la protagonista dal cielo, o al fatto - come è stato detto - che essendo il libro uscito un anno dopo l'11 settembre ha lusingato, con il suo tono leggero, la necessità del pubblico americano di tornare al proverbiale ottimismo cui era stato strappato?

In quanto autrice del libro, credo di essere l'ultima a saperlo. La voce secondo la quale il pubblico americano sarebbe stato emotivamente più permeabile in seguito agli attentati dell'11 settembre è stata messa in giro da una persona della casa editrice, e la cosa non mi è paciuta affatto. Quel che mi sembra certo è che tocco un argomento, la perdita di una persona amata, capace di oltrepassare tutti i confini geografici e temporali per investire un problema di portata universale.

Sempre, quando lei si è trovata a parlare di Susie, la voce narrante che coincide con la ragazzina violentata e uccisa in "Amabili resti", le ha attribuito decisioni che esorbitano dal suo controllo: sembra che lei non sappia bene cosa pensarne. Condivide l'idea un po' romantica secondo la quale, una volta "creati", i personaggi se ne vanno per la loro strada, in barba alle pretese di dominio dell'autore?

Mi sono posta questa questione anch'io, e l'ho risolta assimilando il rapporto tra i personaggi e il loro autore alla relazione tra figli e genitori. Conviene pretendere di subordinare tutto al proprio controllo, o è meglio lasciare maggiori margini di libertà? Io naturalmente propendo per la seconda ipotesi: ai genitori non spetta che il compito di indirizzare i ragazzi, tanto alla fin fine saranno loro a decidere quel che vogliono fare nella vita. Un po' la stessa cosa avviene con i personaggi letterari, dunque è vero, condivido questa idea romantica per cui io mi limito a dare inizio a nuove vite, poi spetterà loro ampliare, tra le pagine, i confini delle loro esistenze. Quando ci si riesce, è una delle maggiori soddisfazioni che possono derivare dalla scrittura di finzione.

Sembra che lei abbia bisogno di vedere le scene che descriverà fin nei minimi dettagli. Riconosce a se stessa una attitudine alla visualizzazione particolarmente sviluppata?

So solo che mentre scrivo le mie fonti principali sono due: da una parte le fotografie o i dipinti a me cari e dai quali attingo rappresentazioni che influenzano il mio paesaggio mentale, d'altra parte, la lettura di molta poesia. Trovo che i versi siano dei condensati di allusività, veri e propri concentrati di immagini precipitate in poche parole.

Non solo i suoi romanzi, ma molti libri di autori suoi coetanei - tra cui Eugenides e Franzen, ma anche un artista come Keith Edmier - hanno concentrato il fuoco della narrazione sulla famiglia. Si è chiesta come mai sia tornato in auge un tema così caro al romanzo ottocentesco?

E' una questione che mi interessa anche perché mi induce a chiedermi se il tema della famiglia non goda di una diversa attualità dal momento che a dedicarcisi sono ora scrittori di sesso maschile, per di più dotati di un prestigio letterario notevole. Negli Stati uniti non si è mai smesso di mettere al centro degli intrecci la famiglia: autrici come Alice McDermott e la canadese Carol Shields si sono sempre dedicate a questo tema, sebbene in modo molto discreto. Ma se ne parlava di meno, forse perché si tendeva a confinare nella domestic fiction questo genere di narrativa, connotandolo negativamente. Ora che uomini relativamente giovani hanno cominciato a investire sulle emozioni quotidiane, sembra che esse meritino una diversa attenzione.

Parliamo della rapporto che intercorre tra il memoir titolato "Lucky" e il suo primo vero e proprio romanzo. Entrambi prendono avvio dallo stupro che lei subì la notte in cui terminava il suo primo anno di università, ma sembra che lei abbia avuto bisogno di depositare lo shock in una sorta di narrazione vicina al diario, prima di riuscire a costruire sullo stesso soggetto quell'intreccio di finzione che è "Amabili resti". E' così?

Sì, ho preferito non esordire con un romanzo autobiografico, mi sono data la possibilità di liberarmi delle mie emozioni, e anche dei dettagli di quanto è effettivamente successo, depositandoli tra le pagine di un memoir, proprio per acquisire quel distacco che mi avrebbe messo in grado di sollevare la protagonista dall'onere dei pesi di cui sono gravati i miei ricordi. Il che mi ha consentito, tra l'altro, di emancipare il romanzo dalla vena polemica che aveva il memoir, così non ho avuto più bisogno di inserire nella narrazione alcun accenno al processo seguito al mio stupro.

E il distacco le ha reso possibile anche quella leggerezza e quella grazia ironica con cui Susie parla del suo paradiso a dimensione domestica...

Certo, tanto più che diffido di tutto quel che si dice sulle meraviglie del paradiso. Nella descrizione del cielo dal quale Susie parla ho lasciato molti spazi vuoti per dare la possibilità al lettore di completare il quadro. Vale per il paradiso quel che vale per molti passaggi della nostra vita: vi si agitano questioni terra terra.

Come si sta a Los Angeles dopo l'elezione di Schwarzenegger?

Per fortuna io vivo appena più a nord della città, in una piccola comunità agricola chiamata Ojai: è un luogo molto caldo, pieno di aranceti, di alberi da frutta, insomma dista un mondo rispetto a Los Angeles. Questo è un periodo molto particolare della storia americana, il paese è davvero diviso in due tra chi sta con Bush e chi lo avversa, ma non per questo è detto che tenga per Kerry. E io sono ben contenta di passare due settimane fuori dagli Stati uniti mentre si sta svolgendo la campagna elettorale.

Certo, non si può dire che gli scrittori americani si stiano spendendo molto, né contro Bush, né a favore del ritiro dell'esercito dall'Iraq. Eppure le loro simpatie politiche non sono equivocabili...

A mia memoria non c'è mai stata una campagna elettorale più commentata di quella attuale, però è vero che rispetto agli scrittori di altri paesi quelli americani amano sedersi col culo comodo. Sia io che mio marito siamo attivi in due diverse organizzazioni, entrambe contro Bush e non per questo favorevoli a Kerry. Io milito in Downtown for democracy, che organizza letture pubbliche, a una delle quali, tra tre settimane, parteciperò sperando di raccogliere forze contro Bush. Mio marito fa parte di Moveon.Org, che invita gli scrittori a tenere dei reading destinati anche a andare su Internet. Tutti gli autori si rendono disponibili a venire contattati dai sigoli cittadini, e loro stessi cercano di responsabilizzarne altri. L'importante è riuscire a influenzare i swinging states, ovvero gli indecisi. Però le do ragione, non si sente in giro una grande passione politica.

Lei ha avuto tra i suoi "maestri" di scrittura Tobias Wolff, che ha raccolto per primo il suo racconto della violenza subita e l'ha incoraggiata a tradurlo in un romanzo. E' stato un insegnamento significativo il suo?

Tobias Wolff era il mio insegnante quando avevo diciannove anni, ma già quando mi misi a scrivere non lo era più. La cosa curiosa è che se c'è una persona davvero significativa nella mia formazine quella è piuttosto il fratello maggiore di Tobias, Geoffrey Wolff. In seguito al divorzio dei genitori, i due fratelli vennero separati molto presto. Tobias restò a vivere con la madre, mentre Geoffrey andò a stare dal padre. Poi scrissero entrambi un memoir, ed è davvero interessante vedere come manipolano la materia prima della loro infanzia, dando luogo a due mondi paralleli e straordinariamente diversi. Comunque, soprattutto mentre scrivevo Lucky, Geoffrey mi seguì con grande rigore, insegnandomi con il suo esempio qualcosa della vita che va oltre i confini della tecnica narrativa.