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il manifesto - 9 settembre 2004
Alice Sebold di qua dal paradiso
"Mi piace l'idea romantica che in un romanzo spetta ai personaggi
il compito di ampliare, tra le pagine, i confini delle loro esistenze"
Un incontro con Alice Sebold. All'inaugurazione del festivaletteratura
l'autrice americana di "Amabili resti" e di "Lucky",
entrambi editi da e/o e basati sullo stupro subito al primo anno di università,
parla delle immagini di cui si nutrono i suoi libri e della militanza
contro Bush ma non per questo favorevole a Kerry
FRANCESCA BORRELLI
Penserà il pubblico del festivaletteratura, a stabilire un ponte
tra questa contingenza storica così drammatica e le tentazioni
narcisistiche degli autori invitati, ai quali è sacrosanto rivolgersi
perché raccontino gestazione e approdi dei loro libri, purché
se ne abbia in cambio anche un qualche segnale di coscienza rattristata,
se non proprio infelice, per l'impotenza che condividono con tutti noi,
a fronte di guerre che sfuggono sia alla possibilità di arginarne
gli esiti, sia agli strumenti consueti con cui siamo soliti interpretarne
le immagini. Sembra che Alice Sebold sia approdata a Mantova portando
con sé un certo disincanto per la politica estera americana, che
pure ha avuto modo, in passato, di gratificare dei suoi aggettivi più
sanguinosi. Quel che la preoccupa è piuttosto la prospettiva di
ritrovarsi a rispondere a domande già mille volte sentite, ragione
per la quale ci si è affrettati a scorrere la rassegna stampa che
la riguarda, per un ammontare di pagine ormai superiore a quelle da lei
stessa scritte nei due romanzi che le conosciamo, e effettivamente la
concentrazione sul trauma dello stupro subìto la notte in cui terminava
il suo primo anno di università a Syracuse è martellante;
ma bisogna pur dire che sia in quella sorta di memoir titolato Lucky,
sia nel romanzo che da quei ricordi ha preso forma, Amabili resti (entrambi
lodevolmente scoperti dalle edizioni e/o) tutto ruota intorno allo stesso
episodio, cui è stata necessaria una lunga metabolizzazione prima
del distacco che ha consentito di relegarlo nella finzione. Interamente
vestita di nero, la carnagione risaltata nel suo pallore, Alice Sebold
è ormai così nota al pubblico italiano da rendere superflui
i convenevoli dedicati alle presentazioni.
Lei crede che il successo di "Amabili resti"
sia principalmente dovuto all'episodio dello stupro che muove l'intreccio,
allo stile singolare con cui fa parlare la protagonista dal cielo, o al
fatto - come è stato detto - che essendo il libro uscito un anno
dopo l'11 settembre ha lusingato, con il suo tono leggero, la necessità
del pubblico americano di tornare al proverbiale ottimismo cui era stato
strappato?
In quanto autrice del libro, credo di essere l'ultima
a saperlo. La voce secondo la quale il pubblico americano sarebbe stato
emotivamente più permeabile in seguito agli attentati dell'11 settembre
è stata messa in giro da una persona della casa editrice, e la
cosa non mi è paciuta affatto. Quel che mi sembra certo è
che tocco un argomento, la perdita di una persona amata, capace di oltrepassare
tutti i confini geografici e temporali per investire un problema di portata
universale.
Sempre, quando lei si è trovata a parlare di
Susie, la voce narrante che coincide con la ragazzina violentata e uccisa
in "Amabili resti", le ha attribuito decisioni che esorbitano
dal suo controllo: sembra che lei non sappia bene cosa pensarne. Condivide
l'idea un po' romantica secondo la quale, una volta "creati",
i personaggi se ne vanno per la loro strada, in barba alle pretese di
dominio dell'autore?
Mi sono posta questa questione anch'io, e l'ho risolta
assimilando il rapporto tra i personaggi e il loro autore alla relazione
tra figli e genitori. Conviene pretendere di subordinare tutto al proprio
controllo, o è meglio lasciare maggiori margini di libertà?
Io naturalmente propendo per la seconda ipotesi: ai genitori non spetta
che il compito di indirizzare i ragazzi, tanto alla fin fine saranno loro
a decidere quel che vogliono fare nella vita. Un po' la stessa cosa avviene
con i personaggi letterari, dunque è vero, condivido questa idea
romantica per cui io mi limito a dare inizio a nuove vite, poi spetterà
loro ampliare, tra le pagine, i confini delle loro esistenze. Quando ci
si riesce, è una delle maggiori soddisfazioni che possono derivare
dalla scrittura di finzione.
Sembra che lei abbia bisogno di vedere le scene che
descriverà fin nei minimi dettagli. Riconosce a se stessa una attitudine
alla visualizzazione particolarmente sviluppata?
So solo che mentre scrivo le mie fonti principali sono
due: da una parte le fotografie o i dipinti a me cari e dai quali attingo
rappresentazioni che influenzano il mio paesaggio mentale, d'altra parte,
la lettura di molta poesia. Trovo che i versi siano dei condensati di
allusività, veri e propri concentrati di immagini precipitate in
poche parole.
Non solo i suoi romanzi, ma molti libri di autori suoi
coetanei - tra cui Eugenides e Franzen, ma anche un artista come Keith
Edmier - hanno concentrato il fuoco della narrazione sulla famiglia. Si
è chiesta come mai sia tornato in auge un tema così caro
al romanzo ottocentesco?
E' una questione che mi interessa anche perché
mi induce a chiedermi se il tema della famiglia non goda di una diversa
attualità dal momento che a dedicarcisi sono ora scrittori di sesso
maschile, per di più dotati di un prestigio letterario notevole.
Negli Stati uniti non si è mai smesso di mettere al centro degli
intrecci la famiglia: autrici come Alice McDermott e la canadese Carol
Shields si sono sempre dedicate a questo tema, sebbene in modo molto discreto.
Ma se ne parlava di meno, forse perché si tendeva a confinare nella
domestic fiction questo genere di narrativa, connotandolo negativamente.
Ora che uomini relativamente giovani hanno cominciato a investire sulle
emozioni quotidiane, sembra che esse meritino una diversa attenzione.
Parliamo della rapporto che intercorre tra il memoir
titolato "Lucky" e il suo primo vero e proprio romanzo. Entrambi
prendono avvio dallo stupro che lei subì la notte in cui terminava
il suo primo anno di università, ma sembra che lei abbia avuto
bisogno di depositare lo shock in una sorta di narrazione vicina al diario,
prima di riuscire a costruire sullo stesso soggetto quell'intreccio di
finzione che è "Amabili resti". E' così?
Sì, ho preferito non esordire con un romanzo autobiografico,
mi sono data la possibilità di liberarmi delle mie emozioni, e
anche dei dettagli di quanto è effettivamente successo, depositandoli
tra le pagine di un memoir, proprio per acquisire quel distacco che mi
avrebbe messo in grado di sollevare la protagonista dall'onere dei pesi
di cui sono gravati i miei ricordi. Il che mi ha consentito, tra l'altro,
di emancipare il romanzo dalla vena polemica che aveva il memoir, così
non ho avuto più bisogno di inserire nella narrazione alcun accenno
al processo seguito al mio stupro.
E il distacco le ha reso possibile anche quella leggerezza
e quella grazia ironica con cui Susie parla del suo paradiso a dimensione
domestica...
Certo, tanto più che diffido di tutto quel che
si dice sulle meraviglie del paradiso. Nella descrizione del cielo dal
quale Susie parla ho lasciato molti spazi vuoti per dare la possibilità
al lettore di completare il quadro. Vale per il paradiso quel che vale
per molti passaggi della nostra vita: vi si agitano questioni terra terra.
Come si sta a Los Angeles dopo l'elezione di Schwarzenegger?
Per fortuna io vivo appena più a nord della città,
in una piccola comunità agricola chiamata Ojai: è un luogo
molto caldo, pieno di aranceti, di alberi da frutta, insomma dista un
mondo rispetto a Los Angeles. Questo è un periodo molto particolare
della storia americana, il paese è davvero diviso in due tra chi
sta con Bush e chi lo avversa, ma non per questo è detto che tenga
per Kerry. E io sono ben contenta di passare due settimane fuori dagli
Stati uniti mentre si sta svolgendo la campagna elettorale.
Certo, non si può dire che gli scrittori americani
si stiano spendendo molto, né contro Bush, né a favore del
ritiro dell'esercito dall'Iraq. Eppure le loro simpatie politiche non
sono equivocabili...
A mia memoria non c'è mai stata una campagna elettorale
più commentata di quella attuale, però è vero che
rispetto agli scrittori di altri paesi quelli americani amano sedersi
col culo comodo. Sia io che mio marito siamo attivi in due diverse organizzazioni,
entrambe contro Bush e non per questo favorevoli a Kerry. Io milito in
Downtown for democracy, che organizza letture pubbliche, a una delle quali,
tra tre settimane, parteciperò sperando di raccogliere forze contro
Bush. Mio marito fa parte di Moveon.Org, che invita gli scrittori a tenere
dei reading destinati anche a andare su Internet. Tutti gli autori si
rendono disponibili a venire contattati dai sigoli cittadini, e loro stessi
cercano di responsabilizzarne altri. L'importante è riuscire a
influenzare i swinging states, ovvero gli indecisi. Però le do
ragione, non si sente in giro una grande passione politica.
Lei ha avuto tra i suoi "maestri" di scrittura
Tobias Wolff, che ha raccolto per primo il suo racconto della violenza
subita e l'ha incoraggiata a tradurlo in un romanzo. E' stato un insegnamento
significativo il suo?
Tobias Wolff era il mio insegnante quando avevo diciannove
anni, ma già quando mi misi a scrivere non lo era più. La
cosa curiosa è che se c'è una persona davvero significativa
nella mia formazine quella è piuttosto il fratello maggiore di
Tobias, Geoffrey Wolff. In seguito al divorzio dei genitori, i due fratelli
vennero separati molto presto. Tobias restò a vivere con la madre,
mentre Geoffrey andò a stare dal padre. Poi scrissero entrambi
un memoir, ed è davvero interessante vedere come manipolano la
materia prima della loro infanzia, dando luogo a due mondi paralleli e
straordinariamente diversi. Comunque, soprattutto mentre scrivevo Lucky,
Geoffrey mi seguì con grande rigore, insegnandomi con il suo esempio
qualcosa della vita che va oltre i confini della tecnica narrativa.
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