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repubblica - 15 gennaio 2005
Susan Sontag
Nadine Gordimer
Riandare allo scaffale dei libri di Susan Sontag è come se, pur
conoscendo quei libri tanto bene, ci fosse voluta la sua morte perché
io mi rendessi conto della straordinaria varietà di ciò
che ha realizzato. Sette volumi di saggi, sei romanzi, due sceneggiature
per il cinema, diversi lavori teatrali; tutti di straordinaria profondità,
di intelligenza con grande senso dell' indagine e fortemente immaginativi.
Della sua narrativa disse: "Raccontare una storia è dire:
questa è la storia importante. è ridurre l' ampiezza e la
simultaneità di tutto a qualcosa di lineare, a un sentiero".
Per le sue opere saggistiche e per la sua filosofia personale sarebbe
più giusto usare le sue stesse parole piuttosto che tentare uno
zoppicante riassunto. Susan Sontag sosteneva che "essere un essere
umano morale era sentirsi obbligati ad avere un certo tipo di attenzione".
La sua era la generosa attenzione di una mente brillante che interpretava,
nei tanti modi in cui era maestra, i nostri tempi, il nostro mondo. Era
analisi minuziosa, era empatia senza confronto. Susan Sontag è
appartenuta a quel pugno di intellettuali universali che rappresentano
e creano il pensiero contemporaneo al più alto livello della sua
essenza. Susan Sontag conta. Attraverso i suoi scritti, continuerà
a contare nella nostra era di conflitto e di sconcertante ambiguità
dei valori, rispetto ai quali lei non si tirava mai indietro, ma al contrario,
si assumeva delle responsabilità per il suo talento come artista
e per le sue qualità come essere umano. Susan Sontag non era mai
soddisfatta di ciò che aveva realizzato se le mutate circostanze,
rispetto alle quali si muoveva vigorosamente nella vita come in una impresa
senza soluzione di continuità, la portavano a dover rivedere, con
una prospettiva più lontana, le implicazioni del lavoro realizzato.
Il suo libro del 1973, Sulla fotografia, è un classico della rivendicazione
della fotografia come arte e, nella storia, come lo scambio più
influente tra realtà e immagine. Non era soddisfatta di lasciarlo
così com' era. La sua esperienza in Vietnam e quella più
recente a Sarajevo, dove aveva scritto un' opera teatrale per mantenere
viva l' audace incrollabilità dello spirito sotto i bombardamenti,
l' avevano riportata indietro a rivedere gli estremi del significato del
rivolgere la macchina fotografica all' esperienza umana. Nel 2003, il
suo lavoro più recente, Davanti al dolore degli altri, l' aveva
spinta a rivisitare audacemente e polemicamente il ruolo della fotografia
e dei suoi spettatori ultimi. Un' accusa? A se stessa e a tutti noi? "Le
immagini non-stop (televisione, video ininterrotti, film) sono il nostro
ambiente, ma quando si tratta di ricordare, la fotografia colpisce più
profondamente... Le immagini di sofferenze patite sono così diffuse
oggigiorno che è facile scordare quanto recentemente queste immagini
sono diventate ciò che si aspetta dai fotografi". Questo breve
libro, scritto come un respiro profondo, si domanda se nel nostro considerarci
degli esseri umani morali, c' è spazio per "certi tipi di
attenzione morale" a come recepiamo le immagini di orrori. Susan
Sontag non ha mai girato il suo forte e bel volto a nessun aspetto della
vita umana. Il suo sguardo non risparmiava neppure la sua stessa persona.
Nel 1978, dopo il cancro, Susan Sontag scrisse Malattia come metafora.
L' argomento non era la malattia fisica in quanto tale, ma il marchio
e le metafore socio-religiose che rappresentano questa condizione come
punizione, per comportamenti censurabili di qualche tipo, oppure, come
nel caso della tubercolosi nel 19° secolo (è sempre presente
nel lavoro di Susan Sontag, il procedere con l' arricchimento di una prospettiva
storica), come simbolo di non terrenità, isolando, per esempio,
sacralmente, una giovane ragazza che si consumava. Nel 1989, con la consapevolezza
che l' Aids, in quanto epidemia associata al sesso in maniera diretta,
era diventata una nuova metafora, ebbe cura di elaborare un approfondito
pensiero di ammonimento da aggiungere al suo libro precedente. All' inizio
di L' Aids e la sua metafora, Susan Sontag dice: "La metafora, ha
scritto Aristotele, consiste nel dare alla cosa un nome che appartiene
a un' altra cosa... ovviamente, il pensiero è tutto interpretazione.
Ma ciò non implica che a volte non sia corretto essere contro l'
interpretazione". Impiegare la metafora "piaga" per l'
Aids è marchiare coloro che ne soffrono con l' immagine degli intoccabili,
come le vittime medievali della peste bubbonica. Mi ha fatto capire che
io stessa sono colpevole di ciò... Non è forse la qualità
speciale di una mente meravigliosamente originale, quella che scuote il
nostro pensiero? Simboleggiare la malattia come un anatema è, in
un certo senso, primitivo, se è la realtà stessa a sostenere
lo spirito delle persone affinché resistano alla malattia fisica
durante le cure, e la scienza medica affinché trovi la cura. Questa
è la sua tesi. Sarebbe andata incontro alla sua stessa morte per
malattia, lottando con coraggio. Io ho avuto l' immensa buona fortuna
di essere amica di Susan Sontag. Nella sua esilarante presenza ci si sentiva
più vivi, con un nuovo gusto della vita. Oltre alla sua formidabile
capacità intellettuale, alla sua familiarità con molte culture,
con le arti e la politica, era una persona affettuosa e calorosa, che
dava brillanti e mordaci risposte alla stupidità, ma che restava
sensibile ai sentimenti degli altri. Ora certamente controbatterebbe:
e i miei romanzi? Spesso ha ritenuto che le sue stesse concezioni su come
la vita dovesse essere vissuta l' avessero allontanata dalla sua vocazione
immaginativa: la narrativa. Scrisse: "Molte cose nel mondo non sono
state nominate... anche se sono state nominate, non sono mai state descritte".
L' ultima volta che le ho parlato, al telefono, lei era a letto in ospedale,
mi ha detto due cose di grande importanza per lei. Se, determinata a resistere
com' era, si fosse ripresa ancora una volta dal cancro, che aveva sconfitto
già due volte, sarebbe ritornata in Sudafrica, alla gente e ai
paesaggi ai quali si era immediatamente legata nel 2004. Che quel tempo
trascorso da noi sarebbe stato l' ultima delle sue imprese di comprensione
e interpretazione del mondo nella sua maniera tanto significativa, è
qualcosa di cui ci dobbiamo sentirci grati. La seconda cosa importante
era che doveva sopravvivere per continuare un nuovo lavoro che aveva cominciato.
Sono. certa che era il romanzo che voleva scrivere - il romanzo che ancora
doveva darci. Spero che il suo adorato figlio, David Rieff, lui stesso
un ottimo scrittore, trovi quello che lei aveva già scritto e così
avremo, pubblicata, la prova di quale meraviglia della forza creativa
Susan Sontag sia stata, fino alla fine. Non ci sarà un' altra Susan
Sontag. Ma i suoi eccezionali scritti esistono, così come la sua
personalità.
(traduzione di Guiomar Parada)
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