Letizia Artoni
Manuela Dviri, VITA NELLA TERRA DI LATTE E MIELE
Ponte Alle Grazie 2004
Manuela Dviri, autrice di Vita nella
terra di latte e miele, è oggi una giornalista israeliana,
ma è nata a Padova nel 1949 da famiglia ebraica e sionista. Nella
metà degli anni sessanta decide di trasferirsi in Israele, dopo
aver sposato Abraham Dviri un ragazzo israeliano "dall'aria tranquilla
e buona, ma con le spalle muscolose e le mani forti" conosciuto
sulla nave che la stava portando insieme ad altri ragazzi e ragazze
da Napoli a Haifa.
Erano i figli e le figlie di agiate famiglie ebree italiane che partivano
per il "classico" viaggio in Israele, entusiasti di poter
conoscere questo paese "nuovo, giovane, fresco, tutto rivolto verso
il futuro, la speranza".
Qui l'aspettano tempi difficili, ma il coraggio non le manca. Sposata
e giovane madre, con pochi soldi e il marito spesso al fronte, riesce
a finire gli studi - l'ha promesso alla madre preoccupata di vederla
partire con un uomo praticamente sconosciuto - e col tempo a vivere
una buona vita. Il marito, ebreo ortodosso, è un avvocato divorzista,
lei lavora presso un istituto di ricerca scientifica, i figli sono diventati
grandi, la situazione politica non è ancora l'inferno di oggi.
Così fino alla morte del figlio più piccolo, Yoni, ucciso
nel 1998 in Libano, dove era stato inviato con altri militari a difesa
di un piccolo villaggio di confine
"Mamma" - mi aveva
detto - "il comandante ci ha fatto vedere il villaggio di notte,
tutte le luci erano accese, e ci ha detto che i bambini lì dormivano
tranquilli grazie a noi". Una scelta convinta quella di Yoni, una
morte inutile, ingiustificata per lei che da quel momento, incapace
di accettarla come semplice casualità, si impegna a chiederne
conto e a testimoniare nel maggior numero di luoghi possibili l'assurdità
di questa guerra e la necessità della pace.
E' un libro corale. La scrittura non è sempre uguale. Si passa
dal racconto, ai monologhi, ad alcune parti della pièce teatrale
che Silvano Piccardi ha scritto insieme a lei e che Ottavia Piccolo
sta interpretando. Alcune di queste testimonianze sono più vicine
a noi per esperienza e sensibilità, come quella di Margherita,
l'amica d'infanzia, quando ci racconta che cosa è stata per lei
la morte di Yoni, altre sottolineano invece la diversità delle
vite e del sentire, dell'autrice in primo luogo, e il fatto che per
quanto informati, la distanza che ci separa è enorme. Il racconto,
molto articolato, l'accorcia.
Andare di persona, come hanno fatto alcuni dei protagonisti, è
forse il modo migliore per poter capire un po' di più e meglio.