Luisa Cavaliere
Rosella Postorino, L'ESTATE CHE PERDEMMO DIO
Einaudi 2009
Un testo incandescente.
L'autrice è giovanissima, ha un tratto gentile ed è di
rara modestia.
Il libro è un racconto che parla di noi, e affida la narrazione
a una bambina innocente e adulta insieme; consapevole e ignara come
l'infanzia sa essere.
Parla di quanto difficile sia essere meridionale. Di quanto coraggio
(e lo dico senza retorica senza, cioè, quella malattia che spesso
prende le rappresentazioni del sud che noi meridionali facciamo) ci
voglia per non cadere prigionieri di dinamiche che soffocano la libertà,
tolgono la gioia, mortificano la vita.
L'impatto con il male assoluto che le organizzazioni criminali rappresentano
per la nostra realtà viene descritto con inaudita sapienza e
con una tensione (che non esito a definire politica) che lascia senza
fiato.
Lo dico per cercare di spiegarmi: altro che Gomorra o, che forse è
meglio, oltre Gomorra.
Qui si analizzano i legami, le complicità, i silenzi di una condizione
che sembra un destino.
Ed è Laura la madre di Caterina la narratrice, che rompe il gioco
indicando nell'esilio, nello sradicamento, la salvezza.
Straordinario è il pezzo che racconta di Salvatore, il padre,
che torna al paese per partecipare a un funerale familiare e che è
una vera prova del fuoco: da una parte le seduzioni del passato dall'altra
le bambine e la moglie che lo aspettano in altitalia per salvarsi.
Non c'è una concessione ai luoghi comuni, non c'è una
banalità, non c'è un eccesso, non c'è compiacimento.
C'è la grande letteratura.
Parla di lei di noi e lo fa conservando il suo status di giovane donna
colta, straordinaria osservatrice grandissima narratrice
Basterebbe saper ascoltare quello che le donne dicono, scrivono, pensano,
praticano, per trovare una via di uscita dal grigio che sembra sommergere
le nostre giornate.